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martedì 30 maggio 2017

LA GLOBALIZZAZIONE DAL BASSO: TRILEMMA CIVILTA'



LA GLOBALIZZAZIONE DAL BASSO E LA GRANDE CECITA’



Per anni si è lamentata l’assenza di una politica europea coerente e univoca concernente l’immigrazione; oggi se ne delinea una che assomiglia alla doppia faccia del dio romano Giano [1]. Da un lato si continua ad affermare in linea di principio il diritto all’accoglienza di minori, profughi, rifugiati, perseguitati in patria, ma dall’altro ci si allinea sempre di più sul respingimento alla fonte, si ergono barriere e finanziano “centri di accoglienza”, spesso lager, sempre più lontani dalle mete dei migranti.

Tale politica è dettata soprattutto dal timore di perdere il consenso di un’opinione pubblica disinformata e turbata da timori irrazionali di “invasioni”, “perdita di identità culturale”, perdita di status. Diffusi quanto infondati sono i commenti di chi teme che i migranti rubino posti di lavoro agli italiani. Non si sono mai condotte campagne serie di informazione e comunicazione sociale sulle realtà, ciascuna diversa dall’altra, dei luoghi di origine di chi fugge dal proprio paese, condizioni complicate e inoltre cangianti a livello individuale. Né si conoscono le condizioni di lavoro e di vita dei migranti nei paesi di arrivo, con la condanna del lavoro ricattato e in nero a causa della condizione di irregolari senza documenti. 

L’opinione pubblica si può e si dovrebbe formare sulla base di fatti, analisi e conoscenze, mentre la si è lasciata in preda a imbonitori ignoranti e miopi. I governi vengono meno al loro dovere di avere una visione di lungo periodo e anticipare quelle che sono tendenze inarrestabili già in atto, mentre non si fanno scrupolo di venire a patti con i peggiori figuri della storia contemporanea, pur di tentare di arrestare l’inarrestabile e riuscire a stare a galla fino alla prossima scadenza elettorale.
Si rimuove la consapevolezza che i grandi movimenti migratori attuali mettono in scena un assaggio del futuro, rappresentano la globalizzazione che nasce dal basso e non può che espandersi e dilatarsi nei prossimi decenni per sfociare in una nuova umanità meticcia. Sempre che si riesca a superare gli stravolgimenti inevitabili inerenti al cambiamento traumatico del clima e le sue conseguenze sul piano ambientale, economico, sociale, culturale. E’ questo il primo fattore che non potrà non innescare un aumento dei movimenti migratori, il primo angolo di un metaforico triangolo delle Bermude che minaccerà di inghiottire la stessa civiltà (o inciviltà) costruitasi negli ultimi diecimila anni, dal neolitico ad oggi.

Il riscaldamento climatico che accelera ogni decennio di più, ogni anno di più, è una realtà ineludibile e quel che più conta, ormai ineluttabile, e stupisce, con le parole di Amitav Gosh, “la grande cecità” [2]non solo e tanto della letteratura che non riesce a farne un soggetto di narrazione, ma quella ben più gravida di conseguenze dei gruppi industriali, dei policy makers, che non agiscono né prendono decisioni all’altezza dell’urgenza dettata dal surriscaldamento. Tutti gli indicatori sono in rosso: ogni giorno s’allontana la prospettiva di poter limitare l’aumento medio della temperatura del pianeta rispetto all’era preindustriale a meno di 2 °C[3], in barba all’impegno preso alla COP 21 a Parigi di limitarlo a 1,5°C. Il sommario rivolto ai decisori politici del Rapporto dell’IPCC 2013 (International Panel on Climate Change) non è di lettura agevole, dato il continuo riferimento alle modellizzazioni elaborate in base al variare delle ipotesi sugli scenari futuri possibili, a loro volta determinati dalla gamma delle variabili climatiche in gioco, ma alcune frasi, in grassetto, sono inequivocabili e si riferiscono a tutti gli scenari, dal più ottimistico al più pessimistico. Come ad esempio: “Il livello medio globale del livello dei mari continuerà a salire durante il 21° secolo. Sulla base di tutti gli scenari, il tasso di aumento del livello marino supererà molto probabilmente quello osservato tra il 1971 e il 2010 a causa del riscaldamento dell’oceano e dello scioglimento delle masse dei ghiacciai e delle lastre di ghiaccio.” [4]
 
A partire dal 2014, ogni anno è stato più caldo del precedente. Già nel 2008 lo scenario più benevolo, disegnato da un gruppo di scienziati, the Stockholm Network Thinktank, secondo il quale la transizione energetica a fonti rinnovabili non impattanti veniva abbracciata con convinzione dalle principali nazioni fonti di emissioni di gas di serra e il picco dei veleni nell’aria veniva raggiunto nel 2017 (il che sembra si stia verificando, a 40 miliardi di tonnellate/anno di Co2[5]) implicava un aumento di temperatura rispetto al 1850 di 2,89°C[6] nel 2100.
Le conseguenze sulle aree più fragili del pianeta, che coincidono quasi sempre con quelle di provenienza dei flussi migratori, sono piuttosto facili da intuire: vaste zone del Bangladesh sott’acqua, terre sempre più salinizzate e sterili per privazione dell’humus dilavato da piogge torrenziali (eventi climatici più violenti e frequenti), conflitti per accesso a risorse sempre più scarse (già da tempo si sono acuiti scontri tra allevatori e agricoltori nel Sahel), urbanizzazione e degrado delle bidonvilles, disoccupazione cronica, crisi idriche. A Gaza già il 97% dell’acqua non è adatta a usi domestici, allerta l’UNRWA, e nel 2020 l’enclave potrebbe non essere semplicemente abitabile, se nessuna misura sarà presa. Israele non sembra preoccuparsene. E la grande cintura verde che dovrebbe attraversare tutta la fascia saheliana dal Senegal a Gibuti e rigenerare i terreni restituendo fertilità sta avanzando a passo di lumaca, né egualmente pare essere in cima alle preoccupazioni dei governi dei paesi della regione[7]. Attualmente assomiglia a una pelle di leopardo, e non può non risentire delle vicende politiche turbolente nel Sahel.

Quindi in futuro non potremo che constatare un aumento dei cosiddetti profughi ambientali. Li vogliamo buttare tutti a mare? Mettere in carcere in un deserto in bollore?

Il secondo fattore non preso sufficientemente in considerazione dagli attuali policy makers, sia europei che statunitensi, e secondo angolo del triangolo delle Bermude, riguarda la demografia. Basta scorrere qualsiasi rapporto recente recante i tassi di crescita della popolazione o gli indici di fertilità per donna per rendersi conto che nei prossimi 30 anni in molti paesi della UE la popolazione o crescerà di poco o addirittura diminuirà (crescita negativa oggi in Germania, Ungheria, Lettonia, Lituania, Moldavia, debole crescita in Italia, Olanda, Francia, Portogallo, Svezia). Nel 2050 l’Europa perderà circa il 24% della popolazione lavorativa mentre gli ultrasessantenni rappresenteranno il 47% della popolazione[8]. Negli Stati Uniti la popolazione crescerà da 321 milioni nel 2015 a 438 milioni nel 2050 grazie al contributo (per l’82%) dell’immigrazione[9].
Ma il Sud-est asiatico e soprattutto l’Africa sub-sahariana continueranno ad avere nei prossimi decenni una popolazione in robusto aumento: ancora i tassi totali di fertilità (TFR) nella maggioranza dei paesi a sud del Sahara oscillano tra 3/4 e un massimo di 6, con un minimo di 1,5 delle Mauritius e di 2,3 delle Seychelles[10]. Se si pensa al principio dei vasi comunicanti –e comunicanti non potranno non essere a prezzo più o meno alto, ad onta di tutte le barriere – è facile trarre le conseguenze da quanto sopra. Quando la Germania nel 2015 ha aperto le porte a un milione di profughi pensava precisamente al suo futuro deficit demografico.
Ed infine il terzo angolo del fatale triangolo è costituito dalle realtà politiche attuali prevalenti nella maggioranza dei paesi di provenienza dei migranti, realtà che a breve e medio termine non paiono promettere di cambiare in meglio. Se mai potrebbero peggiorare. Continua il caos in Libia, che non ha mai avuto uno Stato degno di questo nome ed è, come la Somalia, un coacervo di clan e sotto-clan, non si vede la fine della dittatura militare in Egitto, il Mali è ancora destabilizzato non solo a nord dai Touareg e da Isis ma anche al centro da una crescente guerriglia peulh [11]; il Burundi resta sotto il tallone di Nkurunziza che continua a eliminare gli oppositori[12], la Repubblica Centrafricana è ancora in subbuglio a sud, il Corno d’Africa è non solo poverissimo ma percorso da conflitti, repressione (Eritrea ed Etiopia seppure in scala inferiore) e gruppi jihadisti come in Somalia con gli Shabaab e ora anche Isis[13] .La Nigeria non riesce a sconfiggere Boko Haram, che arretra ma si disperde in mille rivoli come d’altra parte fa l’Isis in Siria; Il Medio Oriente è stato sbranato e la destabilizzazione si allunga fino all’Asia Centrale (Afghanistan); la Palestina è una ferita aperta; lo Yemen è spaccato e in preda a una crisi umanitaria gravissima dopo l’inizio della guerra contro il movimento Houthi guidata dall’Arabia Saudita e foraggiata dagli USA, che  ha provocato il rafforzamento di Al Qaida. La situazione intorno al lago Ciad è migliorata dal punto di vista militare, ma manca sempre l’intervento statale in termini di servizi, opportunità di lavoro e finanziamenti sociali (http://www.adiac-congo.com/content/autour-du-lac-tchad-se-joue-un-gigantesque-drame-de-survie-62010). Anche in Niger e Burkina Faso la risposta al crescere preoccupante di attacchi e attentati di marca jihadista è più militare che sociale, a dispetto delle raccomandazioni di esperti e consiglieri strategici dell’International Crisis Group. La Guinea era già poverissima prima del flagello Ebola, che non deve aver migliorato le condizioni di vita, ed ora è anche in rivolta a nord perché l’estrazione della bauxite è fattore di inquinamento agricolo, mentre i proventi della vendita del minerale non arrivano alla popolazione. Tutte queste situazioni sono frutto di decenni di mala storia e malgoverno e non miglioreranno prevedibilmente né a breve né a medio periodo in modo decisivo. E allora? Chiudere gli occhi di fronte alla realtà non può non produrre mostri. E non si dica che un territorio ricco come l’Europa con 500 milioni di anime non può assorbire dieci, quindici milioni di migranti quando un Libano piccolissimo con 6 milioni di abitanti ne ha accolti più di un milione (a dx, dintorni Lago Ciad).
 
Chi oggi guarda con obbrobrio e condanna come crimini contro l’umanità la schiavitù, il colonialismo e il commercio triangolare sul quale l’Europa costruì la rivoluzione industriale e la sua prosperità non si rende conto che tra cinquanta o cento anni, se l’umanità sarà riuscita a superare senza collassare la sfida del cambiamento climatico, con eguale raccapriccio si guarderà indietro a questa nera parentesi in cui il negazionismo del sacrosanto diritto di attraversare frontiere per cercare una vita migliore o per fuggire guerre e persecuzioni, siccità e inondazioni, disoccupazione e disperazione, provocò decine, centinaia di migliaia di cadaveri, un immenso carico di sofferenze e di vite fallite, e fu vilipeso il diritto internazionale.


[1] http://www.governo.it/sites/governo.it/files/immigrazione_0.pdf
[2] Titolo del suo ultimo libro dedicato al cambiamento climatico, edito da Neri Pozza.
[3] http://www.lemonde.fr/planete/article/2017/05/09/tous-les-indicateurs-du-rechauffement-climatique-sont-au-rouge_5124694_3244.html
[4] E.6 p. 23 Global mean sea level will continue to rise during the 21st century (see Figure SPM.9). Under all RCP scenarios, the rate of sea level rise will very likely exceed that observed during 1971 to 2010 due to increased ocean warming and increased loss of mass from glaciers and ice sheets. {13.3–13.5}
[5] Stéphane Foucart. Tous les indicateurs du réchauffement sont au rouge. Le Monde, 20/5/2017
[6] Mark Lynas. There’s no escape from meltdown. The Weekly Guardian, 20/06/2008
[7] http://edition.cnn.com/2016/09/22/africa/great-green-wall-sahara/
[8] Jack Goldstone. The New Population Bomb. Foreign Affairs, Gennaio 2010. http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Fertility_statistics
[9] http://www.pewsocialtrends.org/2008/02/11/us-population-projections-2005-2050/
[10] http://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/fertility/world-fertility-patterns-2015.pdf
[11] http://www.liberation.fr/planete/2017/03/03/paix-au-mali-l-espoir-fragile_1552847
[12] http://www.jeuneafrique.com/419261/societe/burundi-deuxieme-pays-plus-malheureux-monde-dapres-world-happiness-report/
[13] Rapporto C.E.S.P.I. Sviluppo, Sostenibilità e Sicurezza. L’Italia e le sfide nel Corno d’Africa. Aprile 2017.

giovedì 11 maggio 2017

VIVA LA STATISTICA!



LIGHT INTERMEZZO

VIVA LA STATISTICA: ESEMPIO DI DISTRIBUZIONE DI POISSON

Moderna Teiera Richard Ginori
sana
Se ignorate cosa sia una distribuzione di Poisson, questo aneddoto fa per voi.

Sono venuta a conoscenza di che cosa sia una distribuzione di Poisson durante il primo anno di studio di statistica con un corso di estremo interesse tenuto da un fascinoso professore (per intelligenza, non beltà) che si chiamava Andy Anderson, il che è già notevole in quanto nome e cognome suonano come una simpatica allitterazione.  Presi una cotta per la statistica. La detta distribuzione, studiata dopo la curva classica a campana di Gauss, ci fu spiegata come distribuzione campionaria di eventi rarissimi. Per fare un esempio, mi sembra che Andy menzionasse una qualche meteorite che cadesse sulla soma di un asino carico di dolci. Potrebbero anche essere fichi. Abbastanza raro. Se ciò accade una volta ogni 5.000.000 di asini ogni 100 anni, calcolate la probabilità che dieci asini vengano colpiti nel giro di cinquecento anni e disegnate la curva. Facile.
Proprio oggi mi si è materializzato in casa un esempio di evento degno di un processo (si chiama anche così) di Poisson e mi sono compiaciuta del fatto che ho potuto senza sforzo mnemonico identificare la distribuzione cui appartiene tale accadimento grazie a Andy Anderson. Nonostante il dispiacere per l’evento in sé.

Stavo cucendo (evento già rarissimo) e ascoltavo incidentalmente la sesta sinfonia di Prokofiev (nonostante non sia tra i miei dischi preferiti) quando ho sentito un gran fracasso poco dietro di me e un sospetto rumore di cocci. Mi sono detta: al solito ho messo male in equilibrio i piatti sul pensile, si staranno assestando senza danno. Ma mi volto e vedo con raccapriccio frammenti di candida porcellana sul pavimento della cucina. Ohibò. In cucina constato lo scempio. La mia bellissima bianchissima e amatissima teiera Richard Ginori - una fabbrica artigiana toscana vecchia di duecento anni che ha ripreso la produzione dopo una interruzione di qualche anno-, eredità familiare che risale ai primi decenni del 1900, era stata amputata del suo elegante manico da due ordinarissime piastrelle rimaste, loro colpevoli di teiericidio, intatte a terra. Staccatesi inspiegabilmente senza alcuna sollecitazione da metà altezza della parete della cucina sono piombate proprio sulla collottola della teiera, che spesso non lavo immediatamente dopo l’uso (lasciandola sullo scolatoio dell’acquaio), ma che malauguratamente stamattina, in preda ad attivismo smodato, avevo non solo lavato ma riposto nella solita posizione pronta all’uso sul tavolino accanto al frigorifero, esattamente sotto le piastrelle che si sono staccate senza una qualsiasi scusante o ragione e senza che fossero mai stati registrati precedenti simili o sospetti  in 28 anni.

Quante probabilità ci sono che due piastrelle della parete di una cucina si stacchino improvvisamente e piombino su una preziosa teiera facente parte delle porcellane di famiglia da decenni, rovinandola per il resto dei suoi giorni? Chi vuole partecipare a un’inchiesta maoista e capire che frequenza può avere? E tracciare la distribuzione sui due assi cartesiani?


Annosa Teiera Richard Ginori
sinistrata

(novembre 2012)