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martedì 29 ottobre 2019

VIAGGIO TRA CIPRO E TURCHIA 2: CIPRO


CIPRO: AFRODITE NON ABITA PIU’ QUI

Museo Pierides, Larnaca

Il mese trascorso a Cipro non ha offerto difficoltà particolari, a parte l’impossibilità per chi viaggia in bus di visitare i villaggi sulle montagne dell’interno o la penisola di Karpas, celebrata come area paesaggistica ancora preservata dal cemento e costellata di interessanti monasteri, a meno di non andare intruppati in un torpedone affollato o in taxi, due opzioni che ho scartato come non appetibili o troppo costose.

Veneri neolitiche, Museo Pierides
 Il Museo privato Pierides di Larnaca conserva reperti unici: stupefacente l’estatico e ridente personaggio di ceramica di epoca calcolitica (5500/4000 a.C.) con i gomiti appoggiati alle cosce e la bocca spalancata per ricevere un’acqua che doveva sgorgare dal grosso foro del pene. Interpretazione della mia guida: l’uomo urla, non ride (come pare a me). Ce ne sono altre di statuette calcolitiche simili, ma più piccole e meno icastiche; in un’altra teca ancheggiano leggiadre Veneri neolitiche. 
 
Forte di Larnaca
Aghios Lazaros, Larnaca
Il castello-fortezza di epoca ottomana prospiciente il mare è ben conservato anche se non spettacolare come quello che vedrò a Lemesos, la spiaggia e il mare sono mondi di plastiche e affini. La più bella immagine di Larnaca è però notturna: la chiesa bizantina di Aghios Lazaros illuminata dai riflettori è una visione dorata in fondo a una piazza buia e sembra quasi sospesa a mezz’aria, irreale e perfetta, armonica nelle proporzioni nonostante le demolizioni e i rifacimenti attraverso i secoli, compresa la transizione passeggera a moschea. 
In compenso il lungomare è una parata di orrori: Mac Donald, Burger King, spocchiosi alberghi, ristoranti e bar poco accoglienti con prezzi gonfiati, e un via vai continuo di turisti doc in calzoncini e cappelloni. La spiaggia è irta di ombrelloni con relativi lettini fino alla striscia sottile di sabbia davanti al castello, finalmente libera da ostruzioni e aperta ai non paganti.
Lemesos, interno castello

Sulla costa più a ovest, Lemesos ha un bel centro storico e un castello con probabili origini bizantine; l’attuale imponente fortezza, trasformata in un ricco e originale museo medievale, è stata ricostruita dagli Ottomani. In mostra preziose ceramiche dai colori pastello di epoca crociata nella cornice di una architettura interna molto movimentata, tra arcate e cunicoli, scale strette e ripide a chiocciola, corridoi tappezzati di lapidi e pietre tombali o visi di pietra, a volte stranamente sfregiati. Tra le curiosità sono esibite delle granate a mano di terracotta, di provenienza sconosciuta e non datate. 
Granate di terracotta

Purtroppo è stato creato recentemente, con grande dispendio di fondi, un nuovo porto turistico con relativa zona di boutiques e uffici di società immobiliari, un mega-progetto battezzato La Marina dai developers, concepito dall’architetto francese Xavier Bohl. Giganteschi cartelloni esibiscono ireniche visioni di isolette edilizie azzurrine dove danarosi pensionati e giovani leoni potranno godersela tra piscine saune giardini in penta o esa-stellati hotel di venti piani … immagini che fanno a pugni con il vicino centro storico di stradine, antiche chiese e case a due piani. Notevole spudoratezza falso-avveniristica. Mi viene in mente Bastia in Corsica, dove la distanza tra porto antico e nuovo porto commerciale smussa completamente ogni possibilità di cacofonia visiva.
Speculazione edilizia a Lemesos (cartellone pubblicitario)

La mia sosta successiva è Paphos, con due estese aree archeologiche ambedue affascinanti affacciate sul mare e addossate a rocce di arenaria. La prima è giusto a fianco del piazzale della stazione autobus e vanta magnifici mosaici appena sfocati dal tempo nella cosiddetta Dimora di Dioniso e nella Villa di Teseo, un teatro ellenistico-romano, l’Odeion, ben restaurato, e una fortezza medievale diroccata, oltre ad altre numerose e scenografiche rovine.


Mosaico a Paphos
 Un faro bianchissimo svetta vicino al teatro.  Parte dell’incanto del luogo, nonostante il sole a picco e le distanze da percorrere, lo si deve al contesto di terra riarsa cosparsa di radi arbusti e cespugli, con il mare che respira vicino. Si continua a camminare sui polverosi tracciati tra erbe secche e macchie di fiori azzurrognoli, aria cristallina e cielo terso, e non si vorrebbe più uscire dal magico cerchio luminoso che racchiude l’area. Stessa sensazione il giorno successivo durante la visita alle cosiddette tombe dei re, tutte ipogee: tempo fatto pietra sotto un sole ardente tra “le antiche mani dell’arenaria[1]” e l’erba assetata ma chiazzata di fiori. A dispetto della denominazione, non re ma alti funzionari e aristocratici romani vi furono seppelliti tra il 3° secolo a.C. e il 3° d.C.
Tomba ipogea a Paphos
Dopo il tuffo ammaliante nel remoto passato, il brusco ritorno alla moderna inciviltà: di fronte alla massicciata dove sono allineate le sdraio e gli ombrelloni, se si vuole nuotare verso il largo bisogna guardarsi dalle stolte giravolte (inquinanti) dei motoscafi che innalzano su seggiolini appesi a dei simil-paracadute coppie in cerca di brividi blu, oppure le sballottano avanti e indietro in divanetti di plastica galleggianti, con contorno immancabile di prodezze dei vari ragazzotti a bordo di scooter d’acqua.

Lasciata Paphos, a Nicosia riesco a scovare un piccolo albergo in una stradina pedonale, e la stanza al terzo piano senza ascensore è dotata miracolosamente di una porta finestra con imposte di legno[2] che dà sulla terrazza dalla quale si vedono (e odono) bambinetti che scorrazzano tutto il giorno con biciclette o giocano a palla. 


Signora di Lempa, Museo Archeologico
La visita al Museo Leventis è oltremodo istruttiva e coinvolgente: la prima cosa che mi colpisce è il perfetto parallelo tra il mito della nascita di Afrodite dalla
Venere singolare, Museo Leventis
spuma del mare e l’effettivo sorgere dell’isola dalle profondità dell’antica crosta oceanica. I primi ad emergere dal fondo in seguito alle scosse telluriche furono i monti Trodoös, circa 20 milioni di anni fa; seguì la catena montuosa dei Pentadactylos, che da Kyrenia/Girne si prolunga verso nord-est nella penisola di Karpas e infine venne alla superficie la pianura intermedia di Mesaoria che saldò i due tronconi montagnosi 1.800.000 anni fa. Dopo la geologia, il museo ricostruisce la storia dell’isola a partire dal più antico sito archeologico, uno dei più importanti del Mediterraneo orientale, il villaggio di Choirokoitia[3] che risale a circa 9000 anni fa. Si precisa che le salme sepolte in pozzi, a volte con corredo funebre, avevano addosso pesanti pietre, si ipotizza “affinché non tornassero!” Belle le prime cartografie di Cipro del 1500 e raccapricciante il racconto dell’assedio di Nicosia da parte degli Ottomani nel 1570 di Pietro Contarini, testimone del massacro che ne seguì, descritto nelle pagine della sua Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim Ottomano, pubblicata nel 1572, uno tra i molti libri dei viaggiatori che si avventurarono in Oriente tra il 1600 e il 1800 esposti nel museo. 

Molto ricco il museo archeologico, singolare la “signora di Lempa”, ceramica neolitica, bellissime le donne-uccello della tarda età del bronzo (1450/1200 a.C.) usate nei rituali associati alla fertilità e fantasoso il lampadario ellenistico.
 
Donne uccello, Nicosia
Tra il tesoro di una tomba trovata a Kalavassos risalta una fluente chioma di capelli castani che sembrano appena tagliati: sono della tarda età del bronzo.
Il giorno seguente visito la Nicosia turca, ribattezzata Lefkoşa, quasi indenne dalla speculazione edilizia che imperversa nella parte greca, ma visibilmente più povera. Andando verso il centro dal posto di controllo passaporti mi imbatto nell’avanguardistico progetto di case popolari risalente all’inizio del ‘900, quindi di epoca ottomana, varato da tal Musa Irfan Bey, direttore di Evkaf, una Fondazione tuttora esistente che ha per mission dichiarata l’impiego di risorse a beneficio delle classi meno abbienti. C’è una targa che illustra le caratteristiche del quartiere come fu concepito allora: acqua potabile distribuita da una fontana centrale, piazzuole con panchine, verde e giardinetti. Percorro i corridoi tra i vari filari delle case basse bianche e uguali, tutte e 72 abitate ancora oggi, graziose anche se modeste: una signora mi fa visitare la sua e vedo che i tetti sono costruiti in modo da lasciare una intercapedine tra tetto e soffitto in modo da fare da tampone sia al freddo che al caldo. Lodevole lungimiranza. Oggi la fontana non distribuisce più acqua perché l’acquedotto l’ha rimpiazzata. Astrale distanza dall’attuale speculazione edilizia tesa al profitto.
Samanbahce
Procedo verso il Museo Mevlevi Tekke che mi affascina. Tekke significa in turco dimora, albergo. I tekkes erano istituzioni caritatevoli che offrivano cibo e alloggio ai poveri oltre che istruzione gratuita nelle discipline liberali anche ai rampolli di aristocratici e li istradavano alla carriera amministrativa o militare. I fondi provenivano da istituzioni caritative musulmane, le Wakifs, nate subito dopo il 1570, alla caduta della Cipro veneziana. Vi si formavano i dervisci che seguivano un severo apprendistato di 1001 giorni, a partire dalla…cucina, sotto la supervisione del capocuoco e dei suoi assistenti. I pasti venivano consumati in silenzio e iniziavano e finivano con un pizzico di sale. Quando un allievo derviscio voleva bere staccava un pezzetto di pane e lo alzava verso la spalla sinistra, poi guardava il compagno che serviva il pranzo: questi allora gli versava l’acqua e tutti gli altri smettevano di mangiare finché l’assetato non avesse finito di bere. Alla fine del pasto si cantavano in coro le preghiere. Il lungo rosario serviva a recitare i nomi di Dio[4]. Il mistico iniziatore dell’ordine dei dervisci rotanti fu il Mawlana Jalaluddin Rumi, nato a Balkh in Afghanistan nel 1207 e morto a Konya, dove c’è la sua tomba venerata a tutt’oggi.
Museo Mevlevi, sala da pranzo
Visito poi il il Büyük [5]Han Cultural Centre, un antico caravanserraglio trasformato in centro di intrattenimento dove sono in vendita articoli di artigianato, libri, stampe e guide turistiche. Gli Han che vedrò numerosi in Turchia hanno un grande cortile quadrangolare con porticati da ogni lato che era anticamente adibito a stazionamento di dromedari e carri, mentre il piano superiore aveva camere per i viaggiatori tutte intorno al cortile centrale. 
Centro culturale ex Han

In mezzo al cortile c’è una piccola moschea a chiosco con cupola, il tutto molto suggestivo. Infine visito la grande e magnifica chiesa di Santa Sofia che è stata mascherata da moschea e appare assai poco credibile come tale, con la maestà delle sue linee e il rosone della navata centrale. A Lefkoşa si gira comodamente a piedi mentre a Nicosia si è continuamente disturbati dal traffico.

Santa Sofia con minareto

Girne/Kyrenia (turca) si trova sulla costa settentrionale ed è una paciosa cittadina con stradine ripidissime che sboccano sul vecchio porto e la passeggiata a mare fino al castello, un tempo dimora dei Lusignano signori di Cipro dal 1191 al 1489. Questa antica fortezza è forse la più interessante delle due precedenti in quanto possiede affascinanti reperti di due naufragi, uno avvenuto in epoca bizantina e l’altro più antico, nel 288 a.C. Di quest’ultimo si conserva parte dello scafo di legno di pino d’Aleppo: trasportava 410 anfore e un carico di 9000 mandorle “molto ben conservate” (il ritrovamento è degli anni ’60 del ‘900), che sono in mostra. Analisi sulle mandorle hanno dimostrato che si trattava del raccolto del 288 a.C[6]. 
Scafo del 288 a.C.

A pochi chilometri da Girne ci sono il Castello di sant’Ilarione, un castello perfetto per la strega di Biancaneve, in cima ad un cocuzzolo roccioso e irto di arbusti, semidiroccato, e le rovine dell’Abbazia di Bellapais resa celebre dal soggiorno di Lawrence Durrel tra il 1953 e il 1956, con le sue monche ogive gotiche: chiesa, chiostro, sala capitolare, magazzini a volta sullo sfondo di un paesaggio bucolico-marino.

Castello di Sant'Ilarione
La mia penultima tappa cipriota è Famagosta, già caldissima a fine giugno: molte le belle chiese – la più spettacolare è San Nicola - quasi tutte divenute improbabili moschee; del palazzo veneziano resta la facciata, il porto e la marina non sono aree pedonali e pittoresche come a Girne. Il piatto forte è anche qui il castello- fortezza con la cosiddetta torre di Otello governatore di Cipro, castello che Shakespeare apparentemente scelse per l’ambientazione della sua tragedia almeno secondo la tradizione letteraria, dato che Famagosta non è menzionata esplicitamente nel testo.

Torre detta d'Otello a Famagosta

Dopo la visita alla rovine di Salamina[7] sotto un sole di Satana, anche queste disperse in un’area vastissima, lascio Famagosta che bolle a 40°C per una cittadina sul mare un po’ più a nord, Iskele, con una spiaggia che sarebbe bella se fosse meno affollata e più pulita, battezzata pomposamente Long Beach. Cammina e cammina sul bagnasciuga, si riesce a trovare angoli solitari e dune dove l’acqua è trasparente (ma il fondale scomodo). L’unico ristorante del piccolo centro si trova dentro un gigantesco complesso edilizio con tanto di cancelli esterni, e ha un menu ben poco appetitoso. La simpatica e comprensiva gerente dell’Hotel Boutique mi concede per fortuna l’uso della sua moderna e attrezzata cucina, per cui passo giorni piacevoli con lei e con le dune marine.
Vista di Famagosta

Statuetta del dio Bes,divinità egizia, Museo archeologico di Iskele

Area archeologica di Paphos


[1] Di montaliana memoria
[2] Dico miracolosamente perché sarà l’unica stanza da letto trovata in tutto il viaggio dotata di imposte. Sia a Cipro che in Turchia le si ignorano, e le tende spesso chiare che le dovrebbero sostituire fanno sì che la luce del mattino irrompa su chi dorme all’aurora.
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Choirokoitia
[4] La teoria dei nomi di Dio è parte integrante della mistica ebraica.
[5] Büyük signifia “grande” in turco.
[6] Visitando il dungeon, antro e pozzo dove venivano relegati i prigionieri, registro la toccante storia di Joanna l’Aleman, la favorita di Pietro I Lusignano, re di Cipro e Gerusalemme, che fu qui imprigionata e torturata in ogni modo mentre era incinta del re per ordine della moglie di Pietro, gelosa dell’amante dello sposo infedele mentre questi era assente. Arrivarono a metterla in fondo al pozzo della prigione, digiuna per giorni e giorni e con una grossa pietra sul ventre per farla abortire. Joanna resistette a tutto e riuscì a partorire un bambino che sopravvisse, e fu di nuovo accolta a corte dal re reduce dalle sue spedizioni contro i musulmani.
[7] Da non confondere la Salamina cipriota con quella greca, famosa per la battaglia dei greci contro i Persiani nel 480 a.C.

venerdì 25 ottobre 2019

VIAGGIO TRA CIPRO E TURCHIA (1)


TRA ANTICHE CIVILTA’ E MODERNE INCIVILTA’

INTRODUZIONE


Mosaico di Poseidon, Villa di Teseo, area archeologica di Paphos, Cipro greca

Avevo esitato a lungo prima di decidermi a scegliere le due mete del viaggio: Cipro e Turchia. 

In Turchia ero stata nel 2013, visitando Istanbul e la costa anatolica occidentale compresa la candida Pamukkale, e ne ero rimasta estasiata, non solo per le meraviglie di Istanbul ancora in fermento dopo le lotte popolari per salvare Gezi Park[1], o per l’unicità monumentale dei resti della Magna Grecia, ma anche per gli incontri, dall’indimenticabile generosità dell’aiuto ricevuto, appena scesa a piazza Taksim  (Istanbul) dall’autobus di Alexandropolis, da parte di un gruppo di giovani attivisti delle recenti proteste, all’insegnante di Bursa che mi aveva fatto da guida e introdotto in un circolo riservato dove i dervisci danzavano la sema[2] per sé e non per i turisti, all’incontro in treno con una studentessa e sua madre che mi avevano poi accolto a casa loro. L’ultima visione del paese che mi portavo dietro era l’incanto di Dalyan[3], del lento incedere della barca sul canale nella luce dorata di fine settembre tra due pareti a strapiombo di rocce scolpite dalle tombe Licie, intagliate come facciate di templi greci, con timpani e colonne - e il sapore del succo di melograno ancora in bocca. 
Cartolina di Dalyan, Anatolia occidentale, comperata nel 2013

Negli anni successivi l’avevo evitata per ragioni politiche, dato l’inasprimento del regime dell’AKP e il vero e proprio assedio e bombardamento del Kurdistan turco dopo il “golpe” del 2016. Quest’anno però la vittoria dell’opposizione a Erdoğan ad Ankara e Istanbul mi ha spronato ad andarci per cercare di capire se le basi del potere del Sultano si stavano cominciando a sgretolare. Quanto a Cipro, rifuggita anche in seguito alla conversazione con una ragazza greco-cipriota incontrata in Grecia che mi aveva edotto sulla sua cementificazione selvaggia, il film “Torna a casa Jimi!” mi ha incuriosito e incoraggiato ad andare a vedere come i ciprioti vivessero questa divisione dell’isola così anomala dopo secoli di convivenza.

Particolare, Castello di Lemesos, Cipro greca
Ma di fatto ho mancato in gran parte ambedue gli obiettivi di partenza. In Turchia, le due persone di riferimento con le quali speravo di poter discutere e chiarire i miei interrogativi, per varie circostanze, si sono rivelate deludenti a tal fine.  A parte due eccezioni – una ragazza che fa la guida turistica e una coppia di ristoratori innamorati della cucina italiana ad Adana- nessun incontro significativo ha marcato il viaggio. E in più mi ha disorientato la sensazione persistente che ogni scoperta di tipo archeologico e culturale di per sé entusiasmante fosse poi percepita come priva d’anima, perché non riuscivo a raccordarla con il contesto odierno che restava dissonante, di una incongruità inquietante; erano diamanti dispersi in mezzo a cianfrusaglie e bric-à-brac dozzinale, quadri di Rembrandt appesi a pareti di canne e fango. 
Preparazione caffe turco, Iskele, Cipro turca

Inoltre la Turchia sud-orientale e centrale compreso il Kurdistan sono un osso duro quanto a comunicazione: zero inglese, zero francese, nemmeno da menzionare spagnolo o portoghese, solo turco, e raramente ci si imbatte fortunosamente in qualcuno che parla tedesco. Sulla costa meridionale soltanto a partire da Alanya verso ovest cambia completamente l’atmosfera (anche i prezzi!) perché, ovvio, ci sono i turisti stranieri, mentre in Anatolia orientale e centrale, in un mese, salvo in Cappadocia beninteso, ho incontrato soltanto un ex-insegnante statunitense in pensione, logorroico e un po’ strambo e, in cima al monte Nimrud, un esperto rumeno della Delegazione UE di Bucarest.

Monte Nimrud, Anatolia Centrale, rovine del Regno di Commagene

In certo modo i tragici avvenimenti di questi ultimi giorni di ottobre, con l’assalto deciso dal Sultano-macellaio alla democrazia del Rojava, mi confermano e spiegano meglio le ragioni del mio disagio, della distanza umana e culturale che provavo verso la media degli abitanti del centro-est-sud anatolico, nella maggioranza sostenitori dell’attuale Presidente. E’ prevalentemente un ambiente chiuso in un orizzonte che mi è sembrato di un’angustia insostenibile, dove non ho mai visto in vendita un giornale internazionale. La presenza ubiqua del volto di Ataturk che spuntava sui vetri delle finestre, pendeva affisso sulle pareti dei negozi, negli uffici, ovunque, era diventata ossessiva, come le immancabili bandiere a ogni piè sospinto. 

Silifke, salita al Castello

Ho visto quest'anno una Turchia che aveva poco a che fare con la Istanbul scanzonata e accogliente del 2013 e con le città dall’atmosfera fatata come Pergamo e Fethye della costa ovest che avevo conosciuto sei anni prima, una Turchia che non comunicava neppure con i suoi stessi tesori custoditi nei meravigliosi musei, con le civiltà sepolte alla radice della sua stessa storia.
Il massimo della sensazione di estraneità e di alterità culturale rispetto al contesto quotidiano turco è culminato in quel di Taşucu, piccolo centro balneare e terminal dell’unico traghetto da e verso Cipro, durante (e dopo) un kafkiano sequestro di quasi cinque ore nella stazione di polizia locale da parte di poliziotti naturalmente solo turcofoni, con l’accusa (ho capito dopo un’ora) di furto ai danni di un sedicente bagnino (il calunniatore), increscioso equivoco che descriverò successivamente a perpetuo memento per altri eventuali viaggiatori. Fate attenzione se passate da Taşucu!! Hic sunt leones.


Fiume di Silifke dove annegò Federico Barbarossa
Quanto a Cipro, certamente la comunicazione è stata più facile per una maggiore omogeneità culturale; le aree archeologiche non mi sono apparse isole in un mare alieno; a Iskele, vicino a Famagosta, ho incontrato una simpatica e accogliente gerente turca di un hotel boutique. Peccato che la spiaggia e la campagna intorno all’hotel, fino a cinque anni fa intatte, siano oggi assediate e squartate da società immobiliari, soprattutto russe, di una voracità senza limiti, responsabili della cementificazione di terreni su terreni e di una lottizzazione infinita: i temibili “property-developers”, gli odierni yeti.

Speculazione a Iskele, Cipro turca


 E peccato che Nicosia fosse sventrata qua e là da voragini sulle quali incombevano i colli mostruosi di lunghe gru, e che le facciate delle sopravvissute case tradizionali, con persiane accostate e scalini consumati dall’uso davanti al portoncino con battenti di ferro lavorato fossero soffocate e sovrastate da palazzacci sgraziati.
Nicosia parte greca
Quanto alla partizione dell’isola, mi è sembrato di percepire rassegnazione/accettazione per la situazione che dura da 45 anni, e ho constatato con un certo stupore che gli scarsi trasporti pubblici - che non servono l’interno dell’isola -  sono rigidamente mono-nazionali, e quindi non contemplino nessun transito tra zona greca e zona turca, per cui ad esempio da Larnaca, greca, non si può andare direttamente a Famagosta, turca, a pochi chilometri di distanza  a est sulla stessa costa meridionale, ma bisogna salire a Nicosia, passare alla parte turca e scendere di nuovo a sud. Le due popolazioni prima mescolate ovunque sono ora rigidamente divise e abitano nelle rispettive enclaves. C’è solo un villaggio, Pyla, abitato ancora sia da greci che da turchi, dove non sono riuscita ad andare per la complicazione degli orari del bus. E d’altra parte in che lingua avrei potuto comunicare non conoscendo né greco né turco? L’unico passaggio pedonale da un’area all’altra previo controllo passaporto nei due rispettivi posti di blocco è in una via centrale di Nicosia. 

A Larnaca, nell’ex quartiere turco, ci sono molte vecchie case ridotte a ruderi, con portoni sprangati, e qualche cartello di “vendesi” sulle mura rosicate.
Larnaca, strada vicino all'ex quartiere turco


Rovine di Salamina vicino a Famagosta, Cipro turca


[1] Nella primavera del 2013 c’era stato il tentativo di eliminare un parco a lato della grande piazza Taksim ,nel cuore di Istanbul per costruirvi palazzi o uffici, il che aveva innescato una violenta lotta popolare per difendere il verde e contro il potere autocratico che stava dietro alla decisione. Vi erano state morti e feriti. Ancora in agosto, durante la mia visita, c’erano frequenti sit-in e la polizia stazionava in permanenza nei pressi della piazza.
[2] Parola turca che designa la danza trascendentale dei dervisci rotanti.
[3] L’antica Caunos.