ISRAELE-TERMINATOR: IL GENOCIDIO NOIOSO
Ricordo che ai tempi delle esternazioni fuori dalle righe del non compianto Presidente della Repubblica Cossiga, che si susseguivano in modo preoccupante e potevano presagire ricadute rovinose a breve sulla realtà politica italiana sempre traballante, il quotidiano Il Manifesto aveva coniato l’accostamento esilarante di “golpe noioso”. Ogni giorno una, uffa.
Per assurdo tragico paradosso, Israele sta producendo un effetto simile con la sua efferata guerra a Gaza e l’allargamento delle aggressioni al Libano, già oltre 3200 morti, bombardamenti in Siria e in Yemen, i paesi dell’asse della resistenza, mirando al pesce più grosso, l’Iran. Il genocidio, perseguito con imperterrita crudeltà e alacrità (non si contano gli ospedali bombardati, 180 giornalisti uccisi, medici e operatori sanitari arrestati, sterminio per bombe, fame, infezioni, aiuti umanitari al lumicino, distruzione di acquedotti e serbatoi d’acqua, niente carburante, funzionari ONU dichiarati terroristi), non fa più notizia, lo stillicidio di morti quotidiano intristisce, deprime, e infine “annoia”. Monotono. L’incapacità di incidere dopo centinaia di manifestazioni di protesta per chiedere il cessate il fuoco e lo scambio tra gli ostaggi israeliani e i prigionieri palestinesi, numerose Risoluzioni ONU, le richieste di mandati di arresto per Netanyahu e Gallant e l’ideatore presunto dell’assalto cruento di Hamas il 7 ottobre 2023, Sinwar, già ucciso da Israele, niente si é concretizzato, dato l’appoggio indefesso principalmente degli Stati Uniti, e la guerra genera una stanchezza passiva, un disgusto che paralizza lo spirito. Le trattative pantomima in Qatar e in Egitto si sono concluse con un nulla di fatto, almeno per ora. Senza tregua.
Ancora a molti non è chiaro che la mattanza di questi tredici mesi viene da molto lontano. Già Ben Gurion, primo Presidente di Israele, diceva: “C’è un conflitto di fondo. Noi e loro vogliamo la stessa cosa. Vogliamo entrambi la Palestina…I nostri progressi, la nostra semplice presenza qui, ha nutrito il movimento nazionalista arabo”.[1] Gli Israeliani sono stati pazienti, hanno tessuto la loro tela di ragno con costanza e determinazione decennale, con strategia forse apparentemente ondivaga, tattiche diverse, ma con un obiettivo di fondo che riemerge a tratti e poi sempre più coerentemente proprio dopo i trattati di Oslo, che hanno avuto la funzione di ammansire, addomesticare il nemico mentre lo erigevano a partner nel perseguimento di una mitica pace. Basti pensare che anche il “santino” Rabin, dopo la sua stretta di mano con Arafat, mai smise di appoggiare sostanzialmente la strisciante colonizzazione della Cisgiordania, alias Giudea e Samaria secondo gli oltranzisti israeliani che ne vogliono ricordare i nomi biblici. Nel 1991 c’erano circa 75.000 coloni israeliani in colonie illegali ma mai sgomberate, oggi ce ne sono 750.000. Che spadroneggiano, sradicano e distruggono gli ulivi dei contadini palestinesi, li cacciano a fucilate sotto gli occhi benevoli della polizia. L’iniziativa di pace globale della Lega Araba che proponeva territori contro pace nel 2002 cadde nel vuoto.
Le numerose Risoluzioni ONU dal 1948 in poi circa i diritti dei Palestinesi sono state tutte disattese, sia quelle non vincolanti della Assemblea Generale sia quelle in teoria vincolanti del Consiglio di Sicurezza, anche le più recenti relative alla ingiunzione di un cessate il fuoco. La prima dopo la nascita dello stato di Israele, dell’Assemblea Generale, la 194, sanciva il diritto dei profughi palestinesi cacciati dalle loro case e dai loro terreni, al ritorno. Una delle ultime dichiara l’occupazione di Gaza e Cisgiordania illegali. Flatus vocis.
Allora quello cui assistiamo a partire dall’8 ottobre dello scorso anno non è che il tragico epilogo di un programma che mai era sparito dall’agenda dei governanti di Israele, anche dei più concilianti in apparenza e che ora è affermato esplicitamente dagli ultras al potere: prendersi tutta la Palestina storica. E tentare di eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di questo obiettivo, dentro e fuori della Palestina, quindi non solo l’azzeramento di Hamas e della popolazione di Gaza, ma anche l’annessione della Cisgiordania, l’annientamento di Hezbollah e la distruzione di un Libano stravolto già da una crisi economica e politica da anni, lo smantellamento di altre forze ostili in Yemen, in Siria, in Iraq, mirando al pesce più grosso, l’Iran di un conciliante Pezeshkian. La pace in un immenso cimitero.
L’esplosione della rivolta di Hamas del 7 ottobre 2023, molto probabilmente messa in conto e prevista[2], il cui cruento svolgimento di fatto non è stato ostacolato se non tardivamente e rovinosamente (fuoco amico israeliano su chi era intrappolato nei kibbutz[3]) è stata l’occasione d’oro, attesa da tempo, per piombare come avvoltoi su Gaza con un solo obiettivo principe: debellare, sterminare, spopolare, distruggere. Ma l’atroce disegno, ormai riconosciuto anche dall’ONU come “compatibile con un genocidio”, i bombardamenti a tappeto su macerie e campi di tende, su ospedali, scuole, condomini ancora in piedi, le infamie che si susseguono giorno dopo giorno in una girandola infernale, l’indifferenza totale nei confronti dei disgraziati ostaggi israeliani ancora in vita, seppelliti vivi da più di tredici mesi, manifestazioni a catena in tutto il mondo, ora più sporadiche, pressione mediatica, Risoluzioni ONU, mandati d’arresto non esecutivi grazie a giudici latitanti (si pensi alla rapidità dell’emissione del mandato di arresto internazionale per Putin), lo stillicidio quotidiano di morti e feriti, il primo genocidio in diretta mondovisione, a lungo andare generano assuefazione all’orrore, e non fanno più notizia. Gaza e il Libano tendono a sparire dai titoli di prima pagina, relegati magari a trafiletti o nelle pagine interne dei quotidiani. Prevale un senso di impotenza di fronte alla imperterrita continuazione dei rifornimenti di armi per continuare la strage quotidiana da parte degli Stati Uniti, Germania, Italia, mentre la Francia prova a defilarsi timidamente. L’accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele non è stato sospeso malgrado la campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) e la richiesta da parte di sessanta associazioni internazionali di sospenderlo. L’uccisione di 180 giornalisti (durante la guerra del Vietnam furono uccisi 63 giornalisti e 68 durante la seconda guerra mondiale), di più di 300 operatori sanitari, l’arresto di medici e personale sanitario, tutto ciò documentato, mediatizzato, descritto, non sono sufficienti a fermare la macelleria israeliana. La saturazione delle opinioni pubbliche, la ripetitività delle stragi generano un moto di rigetto, prevalgono. La china è terribile, Gaza e i suoi cadaveri spariscono in una nebbia che ha solo un nome: barbarie: siamo tutti trasformati in barbari vagolanti in una notte nera come la pece. Ancora non si intravede la fiammella della speranza, ma aguzziamo la vista. Il nostro mondo a sghimbescio metabolizzerà anche questo.