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giovedì 17 gennaio 2013

INVENZIONI UTILI




TRA INVENTARE E POTER UTILIZZARE C’E’ DI MEZZO IL MARE




La copertina dell’Economist del 12 gennaio 2013 è assai provocatoria e rimanda ad un servizio interno basato su un paper  di Robert J.Gordon (Robert J. Gordon) consacrato ad una riflessione sulla agognata chimera dei governi d’occidente: la crescita.  Riprenderà? Continuerà? Si  fermerà? Declinerà?
Le innovazioni  essenziali che l’hanno innescata a partire dal 1750 secondo l’autore sono suddivise in successione secondo  tre fasi storiche:  la prima rivoluzione industriale (invenzioni fatidiche:  macchine a vapore e ferrovie); la seconda (elettricità, motore a scoppio,  acqua corrente e servizi igienici casalinghi, comunicazioni, l’industria del divertimento, prodotti chimici e petrolio) e la terza ( computers, la WWW e i telefoni cellulari). Ora la vena sembra languire: di qui l’interrogativo che si pone il personaggio seduto sul wc: inventeremo mai di nuovo qualcosa di altrettanto utile? Ovvio: per crescere ancora e sempre.

Vorrei consigliargli  di cambiare un po’ la sua ottica e meditare  su altri interrogativi, forse più pertinenti al (possibile) benessere dell’umanità, e non alla crescita per pochi, a partire dalla sua domanda.

Infatti, ciò che sembra così utile a lui, e verosimilmente comodo e confortevole a tutti noi, tanto è vero che nei nostri bagni è usuale trovare giornali, riviste o addirittura libri accanto al sedile forato, non appare altrettanto comodo a ben più della  metà dei sette miliardi e più di esseri umani, che usano (quando ce l’hanno) le cosiddette latrine alla turca, e sono incapaci di defecare su una  tazza di wc.  Vari anni fa, su un volo alla volta di Islamabad, di notte, dalla porta semiaperta di una ritirata a metà cabina ho intravisto un vecchio inturbantato accovacciato e traballante sul wc, con le babbucce che spuntavano dal caffetano marroncino piantate sui bordi dello stesso e le braccia protese alle pareti per non perdere l’equilibrio. Una fotografia mentale che vedo ancor oggi  tanto mi rimase impressa. E  mi chiedo:perché negli aerei non ci sono anche latrine?
Ancora. Tali “invenzioni” geniali e fondamentali per l’umana salute come i servizi igienici (appunto, igienici) sono disponibili soltanto per il 65% circa della popolazione mondiale (stima 2008, International Programs Center: Population Clocks), e personalmente ritengo che sia una stima per eccesso. Ancora nel 2011, in Mozambico, andando per villaggi anche non remoti ma su strade nazionali, percorse da centinaia di camion e veicoli giornalieri, si faceva fatica a trovare una latrina decente. E non molti anni prima,  in altri paesi africani, spesso mi hanno indicato come “toilets” recessi poco più grandi di una cabina telefonica, con pareti di paglia dove mancava la fossa,  e che avevano solo un pertugio  aperto tra gli steli secchi ove far scorrere l’acqua. Fogne e acquedotti sono stati “inventati” da tempo ma questo non impedisce che “ acqua non potabile, igiene inadeguata per mancanza di acqua e mancato accesso ai servizi igienici provochino circa l’88% di morti per diarrea.”….” E muoiono di diarrea ancora  annualmente  quasi  800. 000 bambini  sotto i cinque anni“. (Safer water, better health: costs, benefits and sustainability of interventions to protect and promote health. Adobe PDF file [PDF - 60 pages]External Web Site Icon WHO, Geneva).
Koch ha da tempo scoperto il bacillo della TBC, ma ciò impedisce forse centinaia di migliaia di morti per questa malattia?  Negli Stati Uniti e in Europa sono state quasi azzerate le morti per AIDS grazie alle triterapie, ma quante ce ne sono ancora in Africa o in Asia?
E per cambiare terreno, che ne dire dell’elettricità? Tra il 1986 e il 1988 ho vissuto con l’illuminazione di lampade a petrolio in Mali, nel capoluogo di un Cercle amministrativo. La luce ce l’aveva, col generatore che faceva un gran baccano, l’amministratore del Cercle.  Idem come sopra nel 2009, mancava la luce a Mapuordit, in Sud Sudan, ma stavolta il generatore ce l’avevo ( a casa) anche io, due ore al giorno. Oltre che l’ospedale, per fortuna, quasi 24 ore su 24, grazie ai comboniani. E mancava la rete elettrica e manca tuttora in quasi tutto il paese
Allora forse l’interrogativo che il personaggio seduto sul wc si dovrebbe porre andrebbe riformulato come segue: quando riusciremo a far ricadere i benefici  delle invenzioni utili a TUTTA la popolazione del globo e non solo a una parte fortunata? In tempi non geologici.

17 gennaio 2013



giovedì 10 gennaio 2013

MALINTESI CULTURALI E CONTABILITA'

CONTABILITA' EURO-AMERICANA E CONTABILITA' MEDIORIENTALE
 
Early 19th-century German ledger

Leggendo le ultime pagine del libro di Luciano Gallino dedicato all’anatomia del sistema di funzionamento del capitalismo finanziario attuale, mi ha colpito la breve digressione sul ruolo della “contabilità euro-americana” nel favorire l’egemonia politica delle élites ad esso favorevoli. Si sta discutendo delle tecniche di assoggettamento invisibili, inserite nei meccanismi stessi di funzionamento di tutte le principali istituzioni di cui tutti noi “occidentali” facciamo parte. Forse in modo non del tutto trasparente, il termine “contabilità” mi ha richiamato alla mente un episodio vissuto durante una esperienza di lavoro in Giordania, nel 1999, rivelatore quanto a relazione  occulta o comunque non evidente tra tecniche apparentemente anodine  e modelli culturali. Il che vuol dire anche: uso diverso dei medesimi termini.

 Il mio ruolo come consulente per la Commissione Europea era quello di fare una valutazione  a metà percorso di un Progetto di sanità pubblica che consisteva nella gestione di un certo numero di cliniche sparse per il paese dedicate alla salute riproduttiva. I rapporti inviati a Bruxelles erano seriamente carenti per quanto concerneva la rendicontazione finanziaria: infatti, questa mancava quasi completamente: non si capiva come  la prima tranche del  finanziamento erogato fosse stata spesa. I dirigenti dell’ organizzazione giordana, legata tra l’altro a un membro influente della casa regnante hascemita, protestavano perché affermavano di avere speso completamente tale prima tranche e sollecitavano l’invio della seconda, pena il blocco totale delle attività delle cliniche. Dal canto loro, i dirigenti della Commissione reiteravano che avrebbero ottemperato alla richiesta . secondo le regole sottoscritte da ambedue le parti, solo quando fosse stato rendicontato almeno il 90% (o altra percentuale, non ricordo) delle spese effettuate. Durante il briefing a Bruxelles mi fu mostrato l’incartamento con uno scambio pletorico di missive, solleciti, recriminazioni, precisazioni, ecc..Una storia che andava avanti da un anno o quasi, comunque da molti mesi, e che sembrava il classico dialogo tra sordi.
 Scendendo  ad Amman, ero piuttosto preoccupata. Mi sembrava di avere intravisto qualche bagliore sardonico negli occhi di alcuni dei funzionari della Commissione,  soprattutto di quello che aveva già effettuato una missione ad Amman e non ne aveva cavato nulla.
Il  primo incontro con alti funzionari  politici giordani e i gestori del progetto fu tempestoso, come previsto, non potevo che ascoltare e annuire, e soprattutto cominciare  a cercare di capire quale fosse  il quid della situazione di stallo. Ci impiegai parecchio, ma dopo una ventina di giorni tutto fu chiaro: dal lato giordano, rendicontazione e cioè elenco minuzioso per voci di spesa e capitoli di tutti gli esborsi  effettuati non aveva un significato diverso dalla affermazione in buona fede, bisognava ammetterlo anche se sembra incredibile a noi,  che quei soldi loro li avevano spesi per far funzionare le cliniche. Stop. E non si peritavano di andare a recuperare gli innumerevoli pezzettini di carta, fatture e ricevute, per ricostruire il “dove” e “come” quei soldi li avessero spesi. Quisquilie.  Noi li abbiamo spesi e voi ci dovete inviare il resto dei soldi come statuito nell’accordo di cooperazione. Per fortuna non avevano buttato via niente e con grande pazienza, una volta instaurata la fiducia reciproca, requisito essenziale di ogni transazione umana, emersero e fioccarono montagne di  ricevute, contratti e affini. Ricordo che alla fine mancava una cifra irrisoria per completare la ricostruzione, per capitoli di spesa, del bilancio per il mobilio delle ciniche, e finalmente spuntò fuori un pezzettino di carta scarabocchiato in lapis con il prezzo delle tende!
Fu un ritorno trionfale a Bruxelles: con gli occhi sgranati gli stessi funzionari prima leggermente sprezzanti guardavano la ricostruzione  analitica che avevo ricomposto e che finalmente avevano sotto  gli occhi. In modo buffo, la coordinatrice del debriefing mi chiese: Come ha fatto? E mi trattenni dal risponderle: segreto del cuoco. Una sola parola sarebbe bastata: fiducia. Invece di: arroganza.

giovedì 3 gennaio 2013

Coefficiente di Gini e diseguaglianza


Si fa un gran parlare di diseguaglianze di reddito in crescita dappertutto, di forbice crescente tra le fasce di reddito del, diciamo, dieci per cento più povero e del dieci per cento più ricco della popolazione in vari paesi (sia OCSE che a livello più vasto), e si menziona (a volte) il coefficiente di Gini. Ma di rado si spiega esattamente cosa è, a parte la menzione frettolosa di: indicatore di diseguaglianza di reddito e quindi di ingiustizia sociale. Può variare tra un minimo di 0 che indica perfetta equità ad un massimo di 1, che rappresenta la perfetta iniquità. Ma perchè?
Il coefficiente di Gini è un rapporto tra due aree geometriche, e per capire esattamente come si calcola bisogna ricordare la curva di Lorenz (Max O. Lorenz) , sviluppata nel 1905 . Guardiamo la figura qui sotto.

Lorenz-curve1.png

Sull'asse delle ascisse, orizzontale, sono marcate le percentuali della popolazione di un paese, per tranches di 20% . Sull'asse verticale delle ordinate figurano  le percentuali di reddito cumulativo accaparrato dalle varie fasce di popolazione, sempre per tranches di 20%.
La retta inclinata di 45° che parte dall'origine O rappresenta chiaramente la perfetta eguaglianza. Se ora chiudiamo la figura con due rette che partono dalle estremità del 100%, sia del reddito che della popolazione, abbiamo un quadrato, tagliato dalla diagonale (la perfetta eguaglianza: 50% della popolzione ha il 50% dei redditi, l' 80%  possiede l'80% dei redditi, ecc. La curva di Lorenz disegna per ogni tranche di popolazione l'effettiva fetta di reddito accaparrato: e quindi, più la curva si abbassa, più si allarga l'area delimitata dalla curva e dalla retta a 45°, più il paese è socialmente iniquo. Possiamo immaginare dove stia un punto che incroci il  60% della popolazione e il 15% di reddito, ad esempio!

Ora, il coefficiente di Gini è il rapporto tra l'intera area del triangolo inferiore dove si configura la curva di Lorenz e l'area delimitata dalla curva stessa e "la retta dell'equità". Ecco che si capisce che se il coefficiente è basso, l'area è piccola, la curva non si discosta molto dalla retta e c'è una certa equità nella distribuzione di reddito, se invece è alto, diciamo maggiore di 0.40-0.45, c'è da preoccuparsi.
In Italia secondo l'ISTAT nel 2009 l'indice di Gini era  0, 312 (http://noi-italia.istat.it/fileadmin/user_upload/allegati/107.pdf), ma secondo la Banca d'Italia, nel 2008 era di 0.35 (riportato da Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, p.162, nota a piè di pagina). E l'indice di disparità della ricchezza era, sempre secondo Gallino, di 0,60. Chi avrà ragione? Ma che sia cresciuto negli ultimi dieci anni, non si discute, e non certo solo in Italia.

 Qua sotto ho incollato una cartina simpatica: mostra le diseguaglianze di reddito a livello planetario: interessante notare che la Cina è più ingiusta degli Stati Uniti, e che mancano i dati per l'Arabia Saudita.

File:GINIretouchedcolors.png