LA FABBRICA DELL’ODIO
Se nel 1945 a Norimberga le potenze vincitrici scelsero di fare giustizia affinché fosse possibile continuare a fare politica[1], nel 2025 in Palestina si sta scegliendo l’esatto contrario. Almeno fino ad oggi questo sembra il cammino intrapreso, e il discorso sarebbe lungo, perché se l’esempio più eclatante di cui voglio parlare è quello attuale della Palestina, da anni la politica internazionale ha mostrato di preferire il “lasciar cadere” invece di dirimere i casi più spinosi, dal Darfur del 2003 alle “extraordinary renditions” all’invasione truffaldina dell’Iraq e prima dell’Afghanistan, il cui resoconto più accorato e convincente si legge nel libro di Robert Fisk, The great war for civilisation[2], forse l’unico giornalista “not embedded[3]” presente sul terreno, a suo rischio e pericolo. L’unico giornalista capace di ritrovare una delle pallottole che avevano proditoriamente, senza alcun motivo, ucciso tutti i passeggeri civili di un’automobile, non ricordo se in Afghanistan o in Iraq, accertandosi della sua marca; aveva poi rintracciato i fabbricanti e la sede principale della ditta negli Stati Uniti, aveva attraversato l’Atlantico e si era recato dallo sbalordito AD accusandolo apertamente di omicidio. Quale giornalista oggi rifarebbe qualcosa di simile? Indimenticabile libro, indimenticabile Robert Fisk. Nel periodo post-1945 si tentò di costruire un’impalcatura giuridica che impedisse la ripetizione degli orrori delle due guerre mondiali, di genocidi (termine giuridico che fu creato allora) quali quello di ebrei, gitani e menomati, ma sembra che ancora una volta Thanatos abbia avuto la meglio sul dio alato Eros, come aveva ben visto Sigmund Freud nella conclusione del suo Il disagio nella civiltà. E clamorosamente. L’oscena impunità di cui ha sempre goduto lo Stato di Israele per i suoi crimini in Palestina tocca il suo apice, la complicità palese di Unione Europea e in particolare di alcuni Stati, tra i quali l’Italia, nel genocidio perpetrato a Gaza (e in maniera strisciante in Cisgiordania), riconosciuto come tale da una Commissione ONU, l’appoggio generoso soprattutto degli Stati Uniti, che pretende di recitare ora il ruolo di negoziatore quando è stato da sempre lo sponsor di Israele, sono una tragicissima pantomima che ha il fine di ribadire i rapporti di forza ante 7 ottobre 2023 e l’oppressione che dura dal 1948. In uno scenario di distruzione e di morte di indicibile sofferenza. Il finto cessate il fuoco che dura da più di un mese è una farsa: vero che i bombardamenti a tappeto sono cessati per diventare più rari, ma centinaia di palestinesi sono morti in queste settimane che avrebbero dovuto essere di quiete: l’11 novembre dopo un mese di “cessate ostilità” (da 10 ottobre al 10 novembre) un articolo di Aljazeera riportava che 242 Palestinesi erano stati uccisi e 622 feriti[4]. Israele ha inventato “una linea gialla” immaginaria oltre la quale i Gazawi non devono inoltrarsi, ma tale confine arbitrario non è segnalato e varie persone sono morte per averlo inconsciamente attraversato. Il 53% circa della Striscia è tuttora occupata dall’ esercito israeliano. Nella Cisgiordania le incursioni dei coloni estremisti più feroci si sono fatte più frequenti e distruttive al fine evidente di rendere la vita un inferno tale ai residenti da provocarne l’espulsione, la “partenza volontaria”. E a proposito di espulsioni camuffate da partenze volontarie, è recente la rivelazione di alcuni voli di evacuazione di centinaia di Gazawi organizzati da un fantomatico “gruppo umanitario”, Al-Majid Europe”, legato ad Israele. Palestinesi misteriosamente atterrati in Sudafrica. Na’eem Jeenah, un accademico sudafricano, accusa Israele di avere messo i palestinesi sull’aereo senza dar loro visti di uscita e documenti, e senza rivelare loro la destinazione.[5] Ai palestinesi era stato chiesto di pagare una somma oscillante tra i 1500 e i 5000 USD in anticipo, in giugno, per lasciare Gaza. Disperati, erano stati adescati da un sito internet, e pensavano di andare in Indonesia o in Malesia. Alla partenza da un aeroporto denominato Tambo, avevano dovuto lasciare tutti i pochi averi che avevano con sé. Il tutto naturalmente coordinato dalle autorità israeliane. Il presidente del Sudafrica ha accolto tutti i rifugiati/espulsi, per ovvii motivi umanitari, a parte un piccolo numero che ha voluto proseguire il viaggio per altre destinazioni.
Il cosiddetto “piano Trump” in 20 punti, analizzato dagli esperti dell’International Crisis Group (ICG) mostra tutta la sua vaghezza e ambiguità, tanto che Hamas dichiara di non accettare la supervisione del “Comitato di Pace” capeggiato da Trump stesso e in seguito all’approvazione del piano stesso dal Consiglio di Sicurezza ONU lo stesso Hamas ribadisce che la risoluzione non soddisfa le richieste/i bisogni politici e umanitari dei palestinesi.
In realtà, non sono affatto chiari il ruolo e i compiti della Forza di Stabilizzazione Internazionale, la loro composizione, il rapporto con l’entità palestinese in discussione al Cairo. La mancanza di un ritiro dell’esercito israeliano, il blocco dell’aiuto umanitario (mancano alloggi decenti per l’inverno, medicine, carburante), il ridotto numero dei camion per gli aiuti alimentari, che sarebbero dovuti essere 600 al giorno, il persistere di condizioni di sopravvivenza indecenti per i Gazawi, le incursioni assassine in Cisgiordania, fanno presagire soltanto una continuazione dell’occupazione e dell’apartheid. E naturalmente nessuno dei punti del piano di pace (sic) accenna minimamente a un redde rationem per gli autori di genocidio e di numerosissimi crimini efferati. Anzi, Trump ha avuto la faccia tosta di chiedere al Presidente israeliano Herzog di graziare l’imputato Netanyahu nel caso in cui venga condannato per corruzione. Il giornalista più conosciuto dell’unico giornale di sinistra di Israele, Haaretz, cioè Gideon Levy, sostiene che la maggioranza degli israeliani non si cura affatto delle sofferenze inflitte ai palestinesi, e coltiva una specie di complesso di superiorità, autocompiacendosi di essere “il popolo eletto”. E certo, le minoranze di opposizione all’occupazione e favorevoli ai diritti dei palestinesi dentro Israele, presenti da sempre e incontrate personalmente sin dal 1996, il primo anno in cui visitai la Palestina e Israele, non mi sembra siano aumentate molto, rimangono minoranze vocali importanti ma estremamente minoritarie. Il cosiddetto “campo della pace” moderato che dopo Oslo si era sensibilmente allargato si è drammaticamente ridotto dopo il 2001.E con i ripetuti governi Netanyahu è cresciuto il rifiuto del riconoscimento dei diritti dei palestinesi, che dopo il 7 ottobre 2023 ha permesso un imbarbarimento sfociato in comportamenti aberranti, di crudeltà psicotica in numerosi soldati e agenti carcerari. Si è di fronte ad una vera e propria fabbrica dell’odio, è l’unica conclusione cui è lecito arrivare dopo avere letto testimonianze quali quelle che seguono, tratte dalla traduzione di un articolo di Haaretz, scritto da uno psicologo israeliano, prof. Yoel Elizur[6]:” È come una droga… ti senti come se fossi tu la legge, sei tu a dettare le regole. Come se dal momento in cui lasci il luogo chiamato Israele ed entri nella Striscia di Gaza, tu fossi Dio”. E un altro soldato: “Mi sono sentito come, come un nazista… sembrava proprio che noi fossimo in realtà i nazisti e loro gli ebrei”. Ho già scritto altrove che ricordo bene un articolo del 2002 del compianto Uri Avnery, membro del parlamento e fondatore di Gush Shalom, il blocco della pace, in cui si riportava l’incitamento di un alto ufficiale dell’esercito israeliano ai suoi soldati impegnati in retate a Nablus a comportarsi come i nazisti nel ghetto di Varsavia, che mi aveva lasciato sbigottita nella sua spietata chiarezza. Ed era solo il 2002.
Dallo stesso articolo del prof. Elizur cito un’altra testimonianza: “Un nuovo comandante è arrivato da noi. Siamo usciti con lui per la prima pattuglia alle sei del mattino. Si ferma. Per le strade non c’è anima viva, solo un bambino di 4 anni che gioca nella sabbia del suo cortile. Il comandante improvvisamente inizia a correre, afferra il bambino e gli rompe un braccio al gomito e una gamba qui. Gli calpesta la pancia tre volte e se ne va. Siamo rimasti tutti a bocca aperta. Lo guardavamo scioccati… Chiesi al comandante: ‘Qual è la sua storia?” Mi ha risposto: ‘Questi bambini devono essere uccisi dal giorno in cui nascono. Quando un comandante lo fa, diventa legittimo”.
Ancora un altro soldato: “Un arabo camminava per strada, aveva circa 25 anni, non aveva tirato una pietra, niente. Bang, un proiettile nello stomaco. Gli abbiamo sparato allo stomaco, e stava morendo sul marciapiede, e noi ce ne siamo andati con indifferenza”.
Lo psicologo precisa che alcuni di questi soldati sono stati condannati dai tribunali militari. Si sentivano amareggiati e traditi. Altri soldati hanno riportato danni morali, molti sono stati i suicidi di soldati congedati. Un Centro di “riparazione delle coscienze” è stato attivato
Con un clima del genere, cosa ci si può aspettare se un palestinese ha la disgrazia di finire in una prigione israeliana, specialmente nella terribile Sde Teiman? Molti dei cadaveri restituiti da Israele nel recente scambio di cadaveri dopo il cessate il fuoco avevano le mani legate dietro la schiena e segni di tortura sul corpo, anche amputazioni. Eppure, il codice dell’esercito è chiaro: “I soldati dell’IDF non useranno le loro armi o il loro potere per danneggiare civili e prigionieri non coinvolti” e ‘Il soldato si assicurerà di dare solo ordini legali e di non seguire ordini illegali’. Nella società israeliana serpeggia da sempre una psicosi di massa che viene rafforzata con una educazione militarista, come se ci si trovasse in permanenza in una fortezza accerchiata. Il 7 ottobre 2023, invece di provocare un esame di coscienza collettivo sulle cause di quella esplosione di crudeltà e di odio che era straripata da Gaza, si è solo parlato di pogrom e di “tentativo di genocidio” addirittura! Credo che da sempre la società israeliana sia gravemente malata, e se il male non si cura non può che peggiorare.
Tra gli anticorpi fortunatamente ancora esistenti nella società c’è una organizzazione che ho conosciuto a inizio anni 2000 chiamata New Profile, nuovo profilo. Perché tale nome? Perché il profilo che prevale, nell’educazione che i bambini ricevono sin da piccoli, si identifica con quello del (o dalla) soldato/soldatessa che deve innanzi tutto difendere la sua terra, Erez Israel, finalmente riconquistata. Quindi una società militarista e militarizzata. New Profile, organizzazione femminista, propugna un altro “ideale” di persona, quindi si oppone al militarismo. Lotta per creare un Israele che non sia più un esercito con uno Stato: “agiamo per diminuire l’influenza del militarismo nella vita quotidiana, per rendere la società israeliana più civile, tollerante, pacifica.[7]” E questo da 20 anni. Vi ho incontrato donne ammirevoli nella loro militanza e determinazione.
L’impunità di Israele sarebbe un colpo durissimo per tutta la nostra civiltà. Credo che si debba pervicacemente lottare affinché questo non accada.
[1] Norimberga, fare giustizia per fare politica, Luca Baldissare, luglio 2025, il Manifesto (1945, L’anno più grande).
[2] La grande guerra per la civiltà, 2020
[3] Cioè, non al seguito dell’esercito invasore e da questi protetto
[4] AJLabs, Ajazeera, 11 novembre 2025
[5] Agenzia turca Anadolu, 17 novembre 2025
[6] Editore di “La macchia di una nuvola leggera: Israeli soldiers, Army and Society in the Intifada”. 24 dicembre 2024, articolo apparso su Contropiano, gennaio 2025
[7] New Profile.org


