MORTE DI UNA CITTA[1]’
da:Vasilij Grossman
Colline (foto mia)
Mi accingo a trascrivere una pagina dal romanzo Il Popolo è immortale di Vasilij Grossman, in cui si rievocano l’epica lotta dell’Armata Rossa e l’eroica resistenza del popolo russo contro l’invasione nazista, che per la sua potenza drammatica mi sembra si attagli al fosco presente. Mi è appena arrivato sul telefono un articolo del giornale inglese The Guardian il cui titolo è (tradotto) “Bombardamento israeliano su Beit Lahiya uccide 93 persone”. L’Agenzia d difesa civile di Gaza, si precisa nel primo paragrafo dell’articolo, afferma che mancano all’appello anche altre 40 persone. Naturalmente, numerosi bambini e donne tra le vittime, come sempre.
Vorrei anche ricordare che Israele fu tra i pochissimi paesi che mantenne sempre rapporti politici e commerciali con l’Africa del Sud durante l’apartheid. Un altro paese che egualmente non ruppe i rapporti con quel paese fu il Paraguay di Stroessner, che aveva accolto nel 1947 il criminale nazista, il dottore della morte, Josef Mengele. Qui sotto la pagina di Vasilij Grossman, l’inizio del capitolo intitolato: Morte di una città.
“Verrà il giorno in cui il tribunale delle grandi nazioni dichiarerà aperta la seduta; in cui il sole illuminerà schifato la faccia aguzza da volpe di Hitler, la sua fronte stretta e le sue tempie incavate; in cui sul banco della vergogna accanto a Hitler dovrà sedersi in tutta la sua stazza anche l’uomo con le guance grasse e cadenti, il gran capo dell’aviazione nazista.
“A morte” diranno allora le vecchie con gli occhi accecati dal pianto.
“A morte” diranno i bambini che hanno visto morire i genitori tra le fiamme.
“A morte” diranno le donne che hanno perso i figli. “A morte, in nome del sacro amore per la vita!”
“A morte” dirà la terra che hanno profanato.
“A morte” sussurreranno le ceneri di città e paesi bruciati. E con orrore il popolo tedesco si sentirà addosso sguardi di disprezzo e di biasimo, e con orrore e vergogna griderà anche lui: “A morte, a morte!”.
“Non la morte, no, ma i lavori forzati vita natural durante” diranno polacchi e serbi portati in Germania come schiavi.
Migliaia di migliaia di crimini tremendi hanno commesso i nazisti, ma fra i più tremendi c’è l’avere bombardato dal cielo città e paesi pacifici.
“Come farò a scrollarmi di dosso la vergogna di avere avuto un bisnonno pilota nazista?” esclamerà tra cent’anni un giovane tedesco.
E tra cent’anni gli storici guarderanno spauriti gli ordini scritti con calma, metodo, logica e precisione teutonica che dal quartier generale del Comando Supremo dell’esercito tedesco raggiungeranno i comandanti di squadre e squadriglie aeree. Chi era a vergarli? Bestie, pazzi, o forse nemmeno esseri umani, ma dita di ferro, dita di aritmometri[2] e calcolatori?
Non esiste castigo, no davvero, che possa espiare anche solo la millesima parte della colpa di chi ha scritto quegli ordini, o la decima di chi quegli ordini li ha messi in atto e li ha eseguiti. No compagni: un tale castigo non esiste, né ora né mai.
Il raid tedesco iniziò intorno alla mezzanotte.”
Mentre trascrivevo questa pagina, mi è tornata in mente la risposta di un pilota di un aereo militare, non ricordo proprio né in che circostanza né di quale nazionalità, né quando, certamente dopo gli anni 1990, ad un giornalista che gli chiedeva “cosa si prova quando si sgancia una bomba su una zona abitata”. La risposta lapidaria fu:
”Un leggero sobbalzo”.
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