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mercoledì 23 ottobre 2013

Toilet Paper



Toilet Paper
 
 

A pag. 8 dell’edizione italiana di Le Monde Diplomatique di ottobre (2013), a proposito dell’articolo: ”Abbiamo perso Detroit”, si legge: “ In alcune caserme, i pompieri sono stati obbligati a comprare a loro spese la carta igienica. Toccata dalla situazione, un’azienda ha generosamente donato più di 70 mila rotoli ai soldati del fuoco..” ( notizia a sua volta tratta dal quotidiano  USA Today del 6 dicembre 2012).

Non posso fare a meno di pensare che forse l’azienda dal grande cuore avrebbe potuto impiegare più proficuamente, magari con forniture  professionali o finanziando posti di lavoro,  il denaro speso per rifornire i bagni delle caserme di carta che, data la quantità, - ignoro quanti siano i pompieri a Detroit, ma date le finanze temo non siano moltissimi - potrebbe durare più della città stessa, in bancarotta e con una infrastruttura industriale in caduta libera.
Questa riflessione mi è anche stata suggerita dalla mia lunga esperienza di non consumatrice di carta igienica in contesti sia europei che extra-europei. Insomma, della carta igienica si può felicemente fare a meno, sia nel bagno di casa, si presume fornito di acqua corrente e eventualmente di saponetta o sapone liquido con relativo asciugamano, sia a maggior ragione in toilettes alla turca in giro per il mondo o soddisfacendo i propri bisogni, per necessità  logistica, in boscaglia o insomma all’aperto.
Chi si è occupato di sanitation in contesti rurali e poveri sa che gli umani si dividono in due classi sub specie escretoria: washers e wipers.  Mi dispiace ma non trovo termini italiani altrettanto sintetici. Detto con perifrasi, dopo aver soddisfatto i propri bisogni corporali, small job or big job, come una volta indimenticabilmente si espresse nella giungla dell’Andra Pradesh una persona che mi accompagnava a visitare un villaggio (a seconda del “bisogno” ci sono differenti luoghi deputati nella boscaglia), una parte degli umani si lava mentre un’altra parte usa foglie o carta  (che altro?) per nettare le parti interessate.

Ora, devo ammettere che mi resi conto, dopo qualche giorno di smarrimento nel lontano 1978, quando in Mozambico mancò per una o due settimane la carta igienica e ci dovemmo adattare finché con grande giubilo dei cooperanti europei  ne arrivò in porto un nuovo carico per rifornire i nostri bagni orfani, che di questo apparentemente indispensabile corredo dei nostri gabinetti si può fare felicemente a meno, a vantaggio dell’ arboricoltura. Semplicemente convertendosi da wipers a washers.  Oppure, in caso di small job, sopprimendo più che un bisogno reale, un’abitudine.

In  molti paesi dell’America del Sud  come in Palestina o in molte città africane i sistemi fognari e di smaltimento sono o inesistenti, sostituiti da fosse settiche, o molto  fragili e  si intasano con grande facilità. Per cui ad esempio in Colombia, dal primo giorno, si impara o a gettare la carta usata in osceni (a mio avviso) cestelli di plastica a volte senza coperchio vicino alla tazza del water, o a effettuare più sanamente la conversione summenzionata.  In Turchia invece, come in molti paesi musulmani, accanto alla tazza è appeso un tubo metallico flessibile con beccuccio. Premendo una levetta  esce un opportuno e praticissimo getto d’acqua. Oppure  il beccuccio è situato dietro alla tazza stessa  all’altezza giusta e basta premere un bottone. Nei villaggi africani invece  ti danno una specie di bollitore d’alluminio pieno d’acqua quando ti accompagnano alla latrina (se c’è).

Le foreste in via d’estinzione del pianeta ringraziano.