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venerdì 28 gennaio 2022

CRONACA DI UN NON-VIAGGIO A CAPO VERDE

 

 CAPO VERDE: VENI NON VIDI NON VICI

Cidade Velha dal balcone della mia camera
 

Se Lewis Carroli insegna che ci sono i non-compleanni[1], io ho scoperto lo scorso dicembre che si possono fare dei non-viaggi, completamente diversi dai viaggi no, che probabilmente sono più frequenti. Qual’ è la differenza?

I viaggi no sono, mi pare, quelle malaventure prepagate in cui ci si intruppa in charter affollati, con ruolino di marcia dettagliato distribuito alla partenza, durata massima tre settimane, si promettono lussuosi soggiorni in hotel incoronati di stelline a semi-corolla, i dépliant esibiscono maliarde stese a rosolarsi su lettini in spiagge color avorio, e se li giri vedi una tavola ammantata di aragoste a fianco di chefs i cui sorrisi sornioni dicono: qua si gode. Nei viaggi no tipicamente il charter parte con ore di ritardo e dopo un volo o magari due voli senza coincidenza si arriva stremati e frastornati dal jet-lag in alberghetti modesti. Le stanze sono anguste senza la promessa vista mare, di notte non si riesce a dormire o perché le zanzariere sono bucate e i condizionatori d’aria in avaria o i letti sono scomodi, invece di aragoste camerieri sbadati servono tranci di pesce congelato, e magari l’oceano piatto come una tavola delle immagini della réclame pre-viaggio è in realtà in piena attività motoria in quella stagione. Qualche volta si finisce in tribunale, qualche volta soltanto sui giornali locali.

Vista dalla terrazza dell'hotel

Invece il mio non-viaggio, rigorosamente individuale, ha un’impronta tutta sua, anche se una buona parte della responsabilità del fallimento ricade effettivamente su un agente esterno, in questo caso la compagnia aerea Transportes Aéreos de Portugal, TAP. Mi ero ripromessa di non salire mai più su un loro aereo da quando mi avevano rotto la maniglia della Sansonite nel 2010; la valigia era rimasta a Johannesburg durante un transito verso Maputo e non mi avevano mai risarcito il danno di almeno duecento euro nonostante ripetute promesse, sia di persona all’aeroporto sia per email. Mai più TAP, mi ero ripromessa. Ironia della sorte: anche la missione di cooperazione internazionale in Mozambico per una nota società di consulenza non mi era stata pagata per dissensi circa il contenuto del rapporto finale. Una missione no!

Aerobica nel centro di Praia

Ma, complice il Covid, l’unica compagnia aerea straniera abilitata ad atterrare a Capo Verde dal 2020 era la compagnia di bandiera portoghese (Portogallo ex potenza coloniale). Ci tenevo a tornare in quel paese perché c’ero stata per lavoro nel 1997 e mi era piaciuto molto, sia dal punto di vista professionale (livello di competenze, rigore, puntualità, organizzazione, risultati progettuali) sia come paesaggio. Le strade di Praia, la capitale dell’isola più grande, Santiago, erano tutte calcetadas, cioè lastricate con sanpietrini piccoli, tutti eguali, a cubetti serrati (anche in Portogallo, nelle città che ho visto, ho notato questa caratteristica, ben diversa dal nostro asfalto cittadino spesso sfondato). C’erano trasporti pubblici tra città e traghetti con orari affidabili e un’isola in particolare, la più a nord, Santo Antão (Antonio), che mi aveva affascinato. Dalla spiaggetta dove si arrivava con il traghetto si saliva in poco tempo su una strada ripidissima a circa mille mt di altezza, con un flora lussureggiante, quasi da giungla, salvo che apparivano anche conifere, e le scimmie saltavano sui rami. Naturalmente ero lì per lavorare e avevo il tempo ritmato da incontri e interviste, quindi non riuscivo a visitare i luoghi, né lì né altrove, ma quel verde e quel mare (per la prima volta avevo visto i pesci volanti durante le traversate) mi erano sempre rimasti scolpiti in mente, oltre ripeto ai buoni rapporti umani e professionali. Capo Verde è noto negli ambienti della cooperazione internazionale per essere il beniamino dei donatori: è un paese stabile e affidabile politicamente e quanto a rendicontazioni, esecuzione dei programmi e onestà, piuttosto unico in Africa. Per tutte queste ragioni mi ero ripromessa di ritornarvi con calma e girare tra le isole sia del gruppo a sud che a nord, tentando di rintracciare le persone che avevo incontrato allora. In particolare volevo vedere l’isola del vulcano, giustamente chiamata Fogo e soggiornare a Santo Antão. Fallimento completo. Invece di tre mesi sono rimasta a Capo Verde dieci giorni.

Strada tra hotel e Cidade Velha

Le cose sono andate storte sin dalla partenza. Il mio itinerario prevedeva volo Bologna-Roma Fiumicino (sosta e cambio di aereo) – Lisbona, notte a Lisbona, e volo Lisbona-Praia (capitale di C.V.) all’alba della mattina seguente.

Arrivata all’aeroporto di Bologna di buon mattino, avendo trascorso la notte a Bologna per non rischiare di perdere il volo per guasto treno, vedo sulla tabella delle partenze che il mio volo non c’è. Stupita mi rivolgo allo sportello informazioni e mi sento dire: il suo volo non esiste. Non esiste? Credevo che scherzasse. Invece no, non c’era proprio mentre io avevo nero su bianco stampato sul biglietto: TAP Flight no. XY, “operated by Air-rail”, con arrivo previsto a Fiumicino alle ore yz. Effettivamente non avevo mai sentito nominare tale compagnia, ma ce ne sono tante minori, avevo pensato. Chiedo ad un’altra funzionaria e lei mi dice: deve essere un treno, vede che c’è scritto “rail”? A questo punto sono rimasta attonita. Un bello scherzo della perversa TAP? Raccattati i bagagli cerco di nuovo il terminal del Marconi Express, torno alla stazione ferroviaria e dopo aver chiesto chiarimenti a diversi addetti FS ne trovo uno in gamba che mi chiede l’email, cerca sul computer e sentenzia che ho una prenotazione  da parte della TAP sul treno AV per Taranto che passa a Bologna all’ora menzionata sul biglietto e non arriva a Fiumicino ma transita e Termini. Bagagli sul groppone scendo fino al recondito binario sotterraneo e mentre attendo con il numero di posto e  codice prenotazione scarabocchiato dal funzionario sul cartoncino bianco di un non-biglietto inveisco silenziosamente contro la malefica TAP che ha colpito ancora. Replay a Termini: ricerca di anima pietosa che mi faccia subito un biglietto sul Leonardo Express per Fiumicino in tempo per il check-in, evitando la fila. 

Cactus in un giardino di Praia

 

Con un inizio di questo tipo l’umore non è dei migliori, tenendo conto che la TAP è la compagnia aerea più taccagna mai sperimentata. Nonostante le tariffe non siano certo quelle scontate di Ryanair, la politica nutrizionale a bordo è la stessa: oltre all’acqua potabile reclamata come diritto umano fondamentale non si degnano di darti un biscotto che sia incluso nel costo del biglietto, neppure sul volo da Lisbona a Praia che dura più di 4 ore. Per cui sono arrivata il giorno dopo a Praia stanchissima, affamata e disgustata. L’hotel notturno aveva la stessa politica TAP, niente cena disponibile, colazione fornita premendo bottoni da una macchinetta.

Altra sorpresa a destinazione: non avevo pensato che l’arcipelago di Capo Verde è compreso nella fascia di latitudine saheliana, e nel Sahel, durante il periodo che va da dicembre a fine febbraio domina l’harmattan, un vento che porta nuvolaglie e spesso nebbia, se va bene un cielo opaco e triste. In Mali lo detestavo, sembrava di essere in Val Padana. Infatti il sole è smorto: questo tempo dura fino a febbraio, dice il tassista. Inoltre l’albergo che ho prenotato, attirata dal nome romantico: Espaço pôr do sol (spazio tramonto) e dalla posizione sul mare, non si trova vicino al città vecchia di Praia come credevo, ma vicino (a 3 km) a Cidade Velha, un’altra città a 20 km da Praia. E’ il luogo dove sono sbarcati i portoghesi nel 1461[2], mi pare fosse questa la data incisa sulla targa commemorativa nell’unica piazza, dove ci sono un Bancomat, una farmacia e una bottega/bar, oltre a un banchetto che vende un po’ di frutta e verdura. Più avanti un posto di polizia, e all’altro capo un dispensario. In cima ad una collina semi-rocciosa (è tutto molto arido, la pluviometria a Capo Verde è minima) troneggia un enorme forte coloniale portoghese, São Felipe. Stop, non c’è altro. 

Forte di San Felipe sopra Cidade Velha

Quando l’indomani ingenuamente mi rivolgo al posto di polizia per avere il prolungamento del visto, dato che Capo Verde concede di default solo 30 gg di soggiorno per turismo (mentre in genere il visto turistico dura tre mesi), mi dicono: non qui, deve andare a Praia, all’Ufficio centrale, nel quartiere ZX. Non ci sono autobus, solo taxi che non sono tanto cari, ma nemmeno a buon mercato. Unica alternativa gli aluguer (affitto in portoghese), comunemente chiamati in Africa taxi-brousse con nomi che variano a seconda del paese: matatu in Kenya, baxi in Mali, chapa in Mozambico. Ma la seconda volta che prendo un aluguer (furgoncino Toyota) credo di soffocare: il conducente continua a caricare persone e ci schiaccia insieme in modo impossibile. In più corre allegramente a 80 km/h in curva quando i cartelli intimano: 40 km/h max. In tempi Covid, l’ideale, anche se per fortuna i casi all’inizio di dicembre a Capo Verde erano pochi. Nessuna traccia o menzione degli autobus pubblici del 1997.

Strumento musicale al Museo archeologico

Nell’hotel, grazioso e panoramico, il proprietario è assente e ne fa le veci il cuoco, coadiuvato da due aiutanti piuttosto indolenti ma simpatiche che spazzano trasognate tra i tavoli all’aperto e più spesso riposano in cucina. Io sono l’unica ospite. Il mio piano sarebbe quello di partire al più presto per fare il giro delle isole, ma presentatami alla centrale di polizia con passaporto mi si richiede una serie di documenti, tra i quali “la prova che ho fondi sufficienti per mantenermi fino a marzo”. Non mi è mai successo prima: mi domando se abbiano esperienza di turisti laceri che chiedono l’elemosina per pagarsi un biglietto di ritorno in patria. Ritorno il giorno successivo con 2 foto, biglietti di ritorno, moduli compilati, e stampa della pagina del mio saldo del conto corrente sulla app della banca postale che ho sul telefono. Apriti cielo: “questa foto non va bene perché non si vedono le orecchie” !! Superata la difficoltà mostrando quasi identica foto sul passaporto, i moduli non vanno bene, me li fanno riscrivere 3 volte; infine, la pagina stampata con il saldo non reca il mio nome. Certo, c’è solo il mio numero di c.c., dato che è sul mio telefono. No, ci vuole un estratto di conto corrente cartaceo emesso dalla sua banca. Dalle Poste?? A Capo Verde? Il balletto dura varie ore comprese le assenze del funzionario per confabulare con i superiori. Verso le 4 del pomeriggio riprendo tutto il mio dossier e decido di mandarli al diavolo: starò a Capo Verde un mese e poi andrò da qualche altra parte.

Inizio del festino domenicale all'hotel

Senonché dopo  i vari strapazzi e tensioni, al primo bagno nella spiaggetta sotto l’hotel prendo un raffreddore che immediatamente degenera in laringite e poi in una bronchite che mi costringe a letto con antibiotici; il proprietario dell’hotel arriva e si rivela un vecchio tirchio assetato di contanti in nero: una mattina mi tira fuori dal letto per portarmi al Bancomat di Cidade Velha perché ha assolutamente bisogno di soldi subito; le cene di pesce prima abbondanti seppure monotone diventano frugali con la gestione del proprietario, sempre più insopportabile. Resisto perché spero di guarire presto e andarmene. 

Suonatore e ballerina in attesa

Ma durante una domenica di festa con musica e danze (anche simpatiche, cui ovviamente non posso partecipare) l’allegra compagnia brinda e divora tutte le provviste (forse non laute) in dispensa. Così il lunedì in cui il cuoco è a riposo (meritato) e il proprietario sparisce riesco solo ad accaparrare l’ultima bottiglia d’acqua minerale (acqua di rubinetto imbevibile), ma non c’è più neanche un biscotto né un pezzo di pane. Nel pomeriggio, dopo messaggi ripetuti e proteste, il gestore mi recapita in camera biscotti e yoghurt. 


Decido di cambiare hotel anche se sono ancora ammaccata, rimpiangendo la vista mare: prenoto una camera in un hotel nel centro di Praia, chiamo il taxi e con armi e bagagli trasloco. La camera, più cara, è minuscola, con vista sul cortile, letto singolo e in bagno c’è solo acqua fredda. Protesto e il direttore si scusa (poco) adducendo un’avaria ai pannelli solari appena installati. Per cui mi lavo usando un secchio d’acqua calda il mattino seguente. Cercando gli orari per evadere in isole vicine, mi rendo conto, anche chiedendo ad altri[3], che gli orari dei traghetti sono quanto di meno certo ci sia al mondo. Per esempio, la barca per l’isola di Maio può partire alle 6 o alle 7 di mattina, ma senza avviso il capitano può decidere di partire alle 7 di sera. Una signora mi assicura di avere un contatto diretto con il capitano e quindi mi può avvertire dell’orario “sicuro”. Guardo gli orari (TAP!!) degli aerei e a parte i prezzi esosi, la musica è identica: orari da verificare con la compagnia. Intanto il tassista mi dice che i casi di Covid sono in lento aumento. 

 La conclusione è ormai inevitabile: meglio andarsene prima possibile. Una signora francese che sta nello stesso hotel sta andando a fare un test Covid antigenico perché ha il volo per Lisbona l’indomani all’una del pomeriggio. Mi associo a lei e faccio anche io il test, decidendo all’istante di cambiare la data dei miei voli, annullando il volo Roma Fiumicino-Bologna, chiaro. Detto e fatto nel pomeriggio al modico costo di 342 euro, TAP ladra fino in fondo. Così trascorro una convalescenza natalizia piacevole in Portogallo, tra Lisbona e Setúbal, per rimettere insieme le stanche ossa prima del ritorno nell’odiato inverno cui volevo sfuggire. 

Centro di Lisbona


 
Murale nella Baixa di Lisbona

 

Ponte sul Tago

 



[1]  Lewis Carrol. The Annotated Alice,Through the looking glass, Humpty Dumpty p. 267, Penguin Books. Humpty Dumpty celebra il suo unbirthday, che ha il grande vantaggio di poter essere celebrato per 364 giorni all’anno.

[2] Wikipedia dice: “intorno al 1460”, un’altra fonte parla del 1456. Non fa molta differenza.

[3] Effettivamente anche la guida ne faceva cenno, ma speravo che la situazione fosse migliorata.