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lunedì 24 febbraio 2014

LINGOTTI E IPHONES



LINGOTTI E IPHONES: LE MINIERE DELL’AFRICA



Miniera in Sudafrica

E’ notizia di mercoledì 5 febbraio. Durante una conferenza  sulle risorse minerarie in corso a Città del Capo, mentre perdurava la ricerca di nove minatori seppelliti a 1700 metri di profondità nella miniera di Harmony  Gold Dornkoop vicina a Johannesburg, la Banca Mondiale annuncia l’iniziativa di sviluppare, nei prossimi cinque anni, una cartografia aggiornata delle risorse minerarie dell’Africa, che comporterebbe un finanziamento finale di un miliardo di dollari. Molto interesse da parte degli investitori. Intanto la metà delle miniere di platino sudafricane sono ferme per uno sciopero dei minatori che chiedono salari migliori e condizioni di sicurezza decenti. Richieste insostenibili, rispondono i padroni delle miniere, Amplats, Implats e Lonmin (les Echos, 5 febbraio 2014).
Si sa, il sottosuolo africano, quasi dappertutto, trabocca di tesori  che invece di essere una benedizione per le popolazioni si trasformano in maledizione perché aguzzano solo gli appetiti dei maxi pescecani delle multinazionali e dei mini pescecani (relativamente) locali, fomentando guerre e traffici illeciti. Intanto la fame di terre rare e metalli strategici aumenta esponenzialmente, e anche l’Unione Europea  punta a sviluppare nuove fonti di approvvigionamento  in Sudafrica, Malawi, Madgascar, Mozambico (François Misser, Africa miniera strategica, Nigrizia, gennaio 2014). Nella introduzione al Report on African Resources 2013, Kofi Annan parla di “commodity super-cycle”, quindi richiesta boom  di materie prime. Questa vera e propria escalation fa rabbrividire se si va a guardare il rapporto storico  tra ricchezza di risorse minerarie in Africa e guerre, senza  che i proventi di tali risorse  giovino alle popolazioni.

Lasciando da parte i casi più conosciuti dei diamanti  della Sierra Leone che hanno anche loro alimentato una  guerra sanguinosissima, andiamo a guardare le “ricadute” sul tessuto sociale dei profitti miliardari derivanti dall’export dei metalli preziosi in qualche paese africano di cui si parla di meno. A chi e a che servono nuove prospezioni  ultra sofisticate (e quindi costose) per scovare nuovi tesori sepolti?

Guinea

Il paese dispone dei 2/3 delle riserve mondiali di bauxite, giacimenti di ferro stimati a 9 miliardi di tonnellate, tra i monti Nimba e, a sud, l’appetibile Simandou il cui concessionario è Simfer. S.A., di proprietà di Rio Tinto (50,35%), Chalco (44,65%) e di tale IFC.  La Repubblica di Guinea avrà il diritto di assumere una partecipazione di un massimo del 35% in Simfer S.A. (miniera) e del 50,35% nella infrastruttura del progetto.  Bene: è di due giorni fa la notizia data da Radio France International di proteste di strada in un quartiere all’entrata della capitale Conakry per la continua mancanza di elettricità negli ultimi due mesi, che si sono concluse con due morti E tutti gli indicatori sociali sono arretrati negli ultimi 10 anni, anche a causa della disastrosa crisi politica. L’aspettativa di vita è di 54 anni (stima 2011), ogni donna  ha in media 5 figli (media assai alta), e la prevalenza delle mutilazioni genitali femminili è del 98% (Unicef 2013). Le stime del reddito pro capite 2011-2012 variano tra 400 e 500 USD/anno. Sono tornata da poco da un soggiorno in questo paese: la famiglia dei vicini, con più di 10 persone, faceva la spesa quotidiana con 15.000 franchi locali, un euro equivaleva a 9250 franchi. E si poteva considerare di fascia medio- bassa, non “povera”.
Ma presto si potranno esplorare meglio altre risorse come diamanti, petrolio, gas, nickel, cobalto, zinco, piombo….

Guinea Equatoriale 

Grandi riserve di petrolio sono scoperte nel 1996. Nel 2004, il paese produce 360.000 barili al giorno.  E’ il terzo paese africano produttore di petrolio e gas  dopo Nigeria e Angola. Nello stesso anno, un’ inchiesta condotta dal Senato degli Stati Uniti rivela che una banca americana (Riggs Bank) riceve la maggior parte dei proventi del petrolio. Secondo questo rapporto, almeno 35 milioni di USD sono stati dirottati negli USA da Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, Presidente della Repubblica e famiglia (più altri famigli). Il presidente ovviamente smentisce le basse insinuazioni. Nel 2012, il primo ministro annuncia che la produzione ha raggiunto i 520.000 barili al giorno. Ma, sorpresa! Ci sono solamente  700 km di strade asfaltate (che sono pochini anche per 28.051 kmq), l’elettricità è disponibile nelle principali città ma con frequenti interruzioni, l’acqua corrente si può trovare nelle città ma non nelle zone rurali e le pompe sono in genere di proprietà privata (quindi l’acqua si paga cara).

Sao Tomé e Principe

Altro piccolo paese poco conosciuto, un arcipelago sull’Equatore, poco più di 1000 kmq. Anche qua sono stati  scoperti recentemente  giacimenti di petrolio che diventeranno produttivi nel 2016. Il Governo sin da ora promette che metterà in vigore dispositivi di controllo per impedire malversazioni e utilizzo perverso della manna petrolifera modellandosi sulle esperienze di Botswana e Timor Est. Ma a questo proposito il richiamo immediato è al caso del Ciad.

Ciad

  Donne in un villaggio del Ciad

Ad  Addis Abeba, il 27 settembre 2013,  il ministro delle finanze ciadiano Atteib  Doutoum afferma, secondo Bloomberg, “ Puntiamo a diventare il fulcro del business dell’Africa Centrale francofona”. E’ un paese immenso (1.284.000 kmq),  il decimo produttore di petrolio africano. Le riserve (stima: 1 miliardo e mezzo di barili) sono state scoperte negli anni 1990, e la Banca Mondiale, che finanziava parzialmente il progetto infrastrutturale, impose una clausola che sembrò una garanzia a chi seguiva le cose africane: un contratto tra il consorzio  promotore e lo stato stabiliva che una data percentuale dei proventi del petrolio andasse ai settori prioritari sociali: la sanità, l’educazione, lo sviluppo rurale. Accordo approvato dal Consiglio d’Amministrazione della BM il 6 giugno 2000. (Pétrole et dette : le cas du Tchad, 2005). La produzione cominciò nel 2003. Dopo più di dieci anni, che ne é stato di quell’accordo ? il Ciad è al 184esimo posto nella graduatoria dello Sviluppo Umano su 187 paesi (statistiche  UNDP 2012). Il petrolio ha fruttato 7,5 miliardi di euro in 10 anni, ma  Delphine Djiraibe, una dirigente di una coalizione di associazioni di piccoli produttori (CSAPR) creata nel 2002, protesta: ”I prezzi del petrolio sono alti, non dovremmo essere ancora vittime della povertà in questo modo!” e aggiunge: “La frustrazione è maggiore perché i guadagni del petrolio arricchiscono soprattutto una élite” (Le Monde, 13 maggio 2013). Strade asfaltate: 2000 km!

Angola

Consiglio di leggere almeno l’Executive Summary  di un rapporto del 2013 intitolato: Deception in high places, redatto da Corruption Watch UK and Associação Mãos Livres  in cui si analizza l’incredibile farsa che vede coinvolta in un’inchiesta internazionale esponenti altissimi del governo angolano, compreso il presidente Dos Santos, la società angolana Sonangol, il governo russo, le banche svizzere, i tribunali israeliani, dei conti correnti a Cipro, eccetera, e vede protagonisti improbabili procacciatori d’affari -mediatori. Una vicenda durante la quale un debito angolano di 5 miliardi di USD nei confronti dell’URSS  (ormai Russia), cresciuto durante gli anni della guerra civile, si è ridotto per magia finanziaria prima a 1 miliardo e mezzo e poi si è quasi volatilizzato, fruttando però ai procacciatori d’affari (che si sono riservati le fette più grosse), agli alti papaveri angolani e presumibilmente ai russi ed altri “mediatori” la bella cifra di 386.000 milioni di USD. A scapito del fisco russo e angolano, e alla faccia delle rispettive popolazioni. Intanto il governo angolano prevede un aumento dello sfruttamento di petrolio fino a due milioni di barili al giorno (dagli attuali 1,6) che proverranno dai nuovi giacimenti che cominceranno a rendere nel corso del 2014 (Ministro per il Petrolio José Botelho de Vasconcelos al Jornal de Angola , giornale di proprietà governativa,  nel 2012).
Il petrolio ancora rappresenta  in Angola il 95% delle esportazioni e fornisce il 79,5% delle entrate fiscali.  L’Angola è anche il terzo produttore di diamanti africano (7,5 milioni di carati), dietro Botswana e Sudafrica. Contemporaneamente possiamo apprendere che il 68% della popolazione è al di sotto del livello di povertà (da 1,5 a 2 USD/giorno) e il 15% delle famiglie vive in condizioni di povertà estrema. Nelle campagne il 94% delle famiglie è classificata come povera. Il 38% della gente non ha accesso all’acqua potabile, il 30% soltanto ha accesso all’assistenza sanitaria statale, l’aspettativa di vita è di 47 anni (stima 2010) e soltanto il 54% di bambini completano il ciclo elementare. L’analfabetismo femminile nelle zone rurali è del 73,6% (maschile: 34,6%) e quasi un capofamiglia su quattro è una donna.
E’ per raggiungere questi risultati, quindici anni dopo la fine della guerra civile, che si è battuto l’MPLA? Dove sono finiti gli ideali di Agostinho Neto, il predecessore dell’attuale Presidente Dos Santos (al potere dal 1975 e uno degli uomini più ricchi d’Africa), della lotta per il socialismo, per questo sono caduti innumerevoli combattenti cubani?
 Porto di Luanda

Repubblica Democratica del Congo

Uno dei più grandi e tormentati  paesi d’Africa (2. 345.409 kmq),  nato nel 1960 sul sangue  di uno dei più combattivi e lucidi eroi delle indipendenze africane, Patrice Lumumba, assassinato dai rivali in combutta con l’ex potenza coloniale belga, ha un sottosuolo che trabocca di ricchezze che si stima ammontino a 24 trilioni di USD (equivalenti al PIL di Stati Uniti più Europa intera): possiede le maggiori riserve al mondo di cobalto, e poi diamanti, oro, rame.
Ma per ora l’estrazione  dei minerali  è realizzata soprattutto attraverso piccole imprese artigianali  e spesso in modo illegale, nutrendo conflitti  interminabili che hanno contribuito a fomentare quella che è stata definita la Guerra Mondiale Africana, dal 1998 al 2003, e che hanno da allora continuato senza sosta a destabilizzare larga parte dell’est del paese,coinvolgendo  Rwanda e Uganda con pesanti complicità.
L’ illegal mining  è diffuso un po’ dappertutto e non solo in Africa: il numero di febbraio 2014 di Nigrizia riporta una vicenda oggetto di una inchiesta internazionale  che comincia in Ituri, una regione orientale della RDC che da 20 anni è scenario di guerre, razzie  e di stupri di massa e finisce in Svizzera, nei caveaux delle banche elvetiche. Secondo le accuse di TRIAL (Track Impunity Always), una società di Mendrisio, la Argot-Heraeus, che si occupa d raffinazione e trasformazione dell’oro dal 1973 ed é controllata da UBS (attenzione, anche nel rapporto già menzionato sull’Angola spunta  l’UBS!) “avrebbe trasformato in lingotti l’oro congolese pur sapendo della provenienza illecita del metallo e questo la renderebbe complice di un traffico internazionale.” I fatti risalgono al 2004-2005, quando Kinshasa, non potendo controllare l’est del paese, vendeva concessioni a chi si occupava di sfruttare le miniere d’oro, in questo caso, la Anglo Gold Ashanti sudafricana, che a sua volta le subappaltava a milizie locali che sfruttavano i ragazzini, che riescono a infiltrarsi negli stretti pertugi fangosi ( e pericolosissimi) delle miniere artigianali.
Inoltre, in queste miniere artigianali, per estrarre l’oro dal resto dell’amalgama  si utilizza il mercurio, che è altamente tossico anche se solo sfiorato o inalato. Secondo l’OMS il mercurio è tossico per il sistema nervoso centrale e periferico. L’inalazione di vapori di mercurio può produrre effetti dannosi sul sistema  non solo nervoso ma anche digestivo e immunitario, sui reni e sui polmoni e può  essere letale.
E però la produzione artigianale d’oro  a livello mondiale rappresenta il 15% della produzione totale annuale.

L’elenco sarebbe ancora lungo: a proposito della Repubblica Centrafricana, attualmente sconvolta dalla guerra, un rapporto dell’International Crisis Group del dicembre 2010, intitolato “De dangereuses petites pierres- les diamants en République Centrafricaine” chiariva che “l’estrazione artigianale fornisce lavoro a un totale che varia da 80.000 a 100.000 minatori in tutto il paese, che riescono a mantenere circa 600.000 persone. Un impatto non trascurabile in un paese di 4,8 milioni d’abitanti”. Il presidente deposto con il colpo di stato della famigerata Seleka a inizio 2013, Bozizé, arrivando al potere nel 2003 aveva introdotto regole apparentemente severe per regolamentare l’estrazione delle pietre preziose, ma l’effetto era stato perverso, come si legge nello stesso rapporto: “ Il livello elevato della tassazione incoraggia il contrabbando che le autorità  del settore sono troppo deboli per fermare. L’effetto congiunto di uno stato parassitario, della criminalità e dell’estrema povertà incita le fazioni rivali a combattersi creando condizioni propizie per meglio approfittare del commercio di diamanti”…. E non ci sono solo diamanti, ma rame, oro, grafite, ferro, caolino… Naturalmente la maggioranza della popolazione vive di « subsistence farming », agricoltura di sopravvivenza.

Diamanti del Centrafrica

Io credo che una  - dico una e non certo l’unica - delle ragioni endogene che rode alla radice di questi (ed altri) casi africani sia la questione irrisolta dello Stato. O meglio, risolta malissimo.

La questione della costruzione nell’Africa postcoloniale di una struttura statuale diversa, della liberazione dal sistema complessivo del colonialismo, non solo dal punto di vista  economico, ma dei rapporti sociali che tale sistema implicava, dalla subordinazione culturale, linguistica, psicologica che vi era sottesa e che fu denunciata così bene da Frantz Fanon, era al cuore del dibattito degli anni 1960 e ‘70 nei circoli progressisti e del marxismo africano. In Tanzania, e poi in Mozambico, a Capo Verde, in Guinea Bissau, sembrava che la ricerca teorico-pratica avanzasse e si facesse terreno di lotta e di confronto. Anche il Senegal pur con le sue ambiguità aveva delle chances, l’Algeria con la lotta dell’FNL, la Guinea con Sekou Touré che cercava di smarcarsi dalle grinfie dell’ex-potenza coloniale.

Oggi possiamo dire che lo Stato patrimoniale, la politica del ventre alleata e subalterna ai grandissimi gruppi estrattivi, imprenditoriali e industriali ha vinto dappertutto, persino in Sudafrica che pure era una giovane speranza fino a 15 anni fa: decapitati i ribelli, a cominciare dal menzionato Lumumba in Congo a Amilcar Cabral in Guinea Bissau, a Eduardo Mondlane e Samora Machel  in Mozambico e Thomas Sankara in Burkina Faso, anneghiamo nel variegato panorama di burosauri novantenni come Mugabe o più giovani figli di papà come Eyadema o Bongo juniors. “L’essor de l’Afrique”, lo sbocciare dell’Africa, come pomposamente intitola UNDP il suo ultimo rapporto sulla sviluppo umano, ha ben poco di umano. E di lotta di classe in senso stretto si può parlare solo in Sudafrica, che ha una struttura industriale e una storia di lotte sociali e politiche. Nella grande maggioranza degli altri paesi la povertà e l’analfabetismo,  la dispersione su grandi estensioni , la mancanza di punti di riferimento non solo impediscono che i focolai di insubordinazione, di lotta per i diritti economici, sociali e anche civili (vedi Uganda nel caso dei gay, vedi il Burkina Faso) si trasformino e si fondano in qualcosa che possa mutare i rapporti di forza. Ma molto più minacciosamente e pericolosamente, la lotta di classe ha preso delle “tournures” pseudo religiose farneticanti con AQMI, Boku Haram e le altre schegge islamiste, o esplode in odi etnici come in Sud Sudan e Centrafrica. O in rivalità inter-statuali. O in genocidi come in Rwanda. O in perdenti lotte nazionaliste come in Mali. E nel Sahel si allunga l’ombra dell’ islam politico.
Dalla maledetta Guerra del Golfo del 1991 si è inventato un altro satana quando il satana sovietico era ormai defunto. Si è fabbricato un nuovo nemico, un bau-bau artificiale che è diventato un mostro altrettanto reale del nemico di classe che si voleva sgominare. Un  mostro di Frankestein che dilaga e prolifera con  una folla di figli deformi.  E noi continuiamo a comperare Iphones e Ipads sempre più sofisticati, tra poco gli smart watches  anche se sappiamo che là dentro, con il coltan, c’è il sangue dei minatori illegali africani. Viva le nuove prospezioni. Viva le banche svizzere.

Aggiornamento del 10 marzo, copia e incolla dal website di Nigrizia, la Rivista dei Comboniani Italiani:
Dall'articolo "Il gioco del petrolio" di Riccardo Barlaam:

"La cosa più assurda di tutta questa storia è che il Sud Sudan, nonostante la ricchezza sulla quale è seduto, in questi tre anni di indipendenza ha fatto funzionare i suoi fragili apparati statali e assistito la sua popolazione non con gli introiti petroliferi ma grazie soprattutto alle centinaia di milioni di dollari di aiuti internazionali che arrivano da stati Uniti, Europa e Cina. E un fiume di risorse pubbliche è stato dilapidato. Nel nome della pace si sopporta tutto. Salva Kir ha ammesso che dei funzionari governativi hanno rubato dalle casse dello stato qualcosa come 4 miliardi di dollari. Il costo della corruzione. Lo sviluppo per il giovane stato resta ancora una parola senza significato."