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mercoledì 23 aprile 2014

IL MERCATO DELLA VITA



La vita quotata in Borsa **

Human DNA sequence 0-10

“All world ‘s a stage” é una delle citazioni più gettonate dell’immenso Shakespeare tratta dall’amara commedia “As you like it”. Ma probabilmente Shakespeare stesso aggiornerebbe oggi la constatazione del suo personaggio Jaques che aggiungerebbe, egualmente sconsolato: “…and a marketplace”, un mercato. Il mondo come variopinto palcoscenico  con attori che recitano ognuno il ruolo loro assegnato dal destino, in una processione senza requie, è diventato soprattutto, oggi più che mai prima, un gigantesco mercato, e la vita, in senso letterale, è una mercanzia da quotare in Borsa. Si dirà che non è una novità che il vivente sia mercanzia: dall’antichità più remota ci sono stati schiavi, e il commercio triangolare tra Africa, Americhe e Europa ha gettato le fondamenta dello sviluppo industriale e della ricchezza della borghesia europea e americana. I milioni di schiavi deportati e venduti nelle piazze dei mercati della Nuova Inghilterra non turbavano troppi sonni. Né li turbano oggi  i vari tipi di schiavitù ancora esistente in varie parti del mondo, ad esempio in Mauritania, dove i Bella sono schiavi dei Maures che si ritengono superiori a etnie “nere” in quanto arabo-berberi ( vedi l’intervista al dirigente di “SOS Esclave”  Biram Dah Abeid, egli stesso ex-schiavo (http://www.ossin.org/mauritania/biram-dah-schiavitu.html), o in India, dove milioni di contadini senza terra e indebitati sono ridotti in stato di schiavitù  dai latifondisti, come ho potuto constatare personalmente nel 1998 in Andhra Pradesh  ( http://www.italian-samizdat.com/2012/01/schiavitu-in-india.html), stato di schiavitù che, abominio tra gli abomini, si trasmette tra le generazioni, si eredita. Oppure si pensi ai Talibé dell’Africa Occidentale, i bambini poveri donati dalle famiglie ai marabù (santoni musulmani) che li obbligano a mendicare tutto il giorno e a portare le elemosine al loro “padrone” la sera,affamati e laceri, visibili nelle strade di Bamako, di Dakar o di Ouagadougou.

Né dobbiamo andare così lontano per renderci conto dell’esistenza della schiavitù, anche se sotto altre forme: basta girare le periferie delle nostre grandi città o leggere le cronache cittadine. Ma si può obiettare che in questi casi si tratta di strascichi di situazioni ataviche, di malavita, di povertà, di razzismo duro a morire, di anomalie insomma che si possono e devono combattere con le armi della legalità e dell’impegno sociale e politico. Ma c’è un altro mercato del vivente, ascrivibile a  tecnologie di punta, alla ricerca scientifica di base che si asservisce al mercato e alle quotazioni di Borsa, e ne è anzi pilotata. Mi riferisco alle biobanche, le banche del DNA,queste nuove borse merci, teleguidate dalla stessa avidità che ha fatto naufragare la Enron nel 2001 e che continua ad imperversare nel  finanzcapitalismo del 2014, né è dato scorgere alcun inizio di una fine.

La premessa per la deriva scientifico- imprenditoriale della genomica, la scienza nata nell’ultimo scorcio del XX secolo  che si occupa “della struttura, sequenza, funzione ed evoluzione del genoma, vale a dire di tutta l’informazione genetica contenuta nel DNA (DeoxyriboNucleic Acid) presente nelle cellule di una particolare specie.” ( Sebastiano Cavallaro, http://www.treccani.it/enciclopedia/genomica-e-genomica-funzionale_%28XXI-Secolo%29/),  si prefigura nel 1990, con il lancio a grancassa del Progetto Genoma Umano  (HGP) negli Stati Uniti, responsabili il Dipartimento dell’Energia e i National Institutes of Health, con una vasta collaborazione scientifica internazionale, allo scopo di sequenziare  i tre miliardi di nucleotidi che costituiscono il genoma umano.  L’ambizione era di giungere anche a una mappatura dei geni che permettesse di associarli a determinate patologie, così da sviluppare una medicina predittiva in grado di  anticipare o sventare il verificarsi di tali patologie o ridurne comunque l’incidenza. La durata prevista del Progetto era di 15 anni, il finanziamento stanziato fu di tre miliardi di dollari USA. Il biologo Steven Rose e la sociologa Hilary Rose ripercorrono con un approccio assai critico le vicende della nuova biologia molecolare nel loro bel libro “Geni, Cellule e Cervelli” (Codice Edizioni, Torino, 2013). Il bilancio a quasi un lustro dal lancio del Progetto, che fu dichiarato concluso nel 2003 ma di cui già nel 2000 fu anticipata la conclusione con la storica  conferenza stampa congiunta in collegamento video tra Bill Clinton e Tony Blair, non ha mantenuto le sue mirabolanti promesse. E ha invece scatenato una corsa spregiudicata  alla mercificazione del vivente da parte di un nuovo tipo di corsari mascherati da ricercatori.

Perché  nel giugno del 2000 ci fu tanta fretta di anticipare la conclusione  di una ricerca che non era conclusa? Perché nel 1998 un tipico scienziato-imprenditore, Craig Venter, prima impiegato presso i National Institutes of Health, insofferente del passo lento con cui procedeva il sequenziamento, dopo essersi licenziato e aver tentato varie strade imprenditoriali,  fondò la Celera Genomics , una  società privata che si mise in concorrenza con il progetto pubblico  internazionale  utilizzando un metodo più veloce  di sequenziamento del genoma ideato dal Venter stesso  (shotgun sequencing).  Incalzando il suo concorrente pubblico, Venter  lo costrinse ad avanzare a tappe forzate, anticipando i risultati ottenuti dalla “sua” società con sapienti colpi mediatici, da gran comunicatore-imbonitore. Per questo, nel 2000 i due capi di Stato  dichiarano la partita del sequenziamento vinta  ad armi pari, salomonicamente,  accontentandosi di “bozze” incomplete.

Ma intanto si apre un vaso di Pandora:  dopo più di venti anni, da un lato le grandi speranze associate al lancio del Progetto Genoma Umano sono ancora lontane dal dare i frutti annunciati, gli strombazzati benefici su scala di massa,  e dall’altro il fantasma dell’eugenetica fa di nuovo capolino, con la possibilità di manipolare i geni , scegliersi il rampollo ideale, e varare brevetti  da parte di Big Pharma sulla base della caccia ai geni associati a determinate patologie, esplorarne le funzioni e commercializzare in esclusiva queste conoscenze.  La vicenda di tre biobanche, quella islandese,  quella estone e quella svedese, documentano il connubio, questo si patologico, tra ricerca di biologia molecolare e capitalismo finanziario, mentre la bioetica va a nascondersi. 

Pur con differenze notevoli, un aspetto è comune alle  esperienze dei tre paesi, “le banche del DNA mettono gli individui e il loro stato di salute previsto per il futuro al centro della medicina personalizzata” (H. Rose, S. Rose, Geni Cellule e Cervelli, p. 206).  Si sfruttano le conoscenze derivate dal patrimonio genetico di milioni di individui, utilizzando e ampliando i database della sanità pubblica,  per sfruttarne le potenzialità per usi privati e speculativi. Siamo agli antipodi delle filosofia della medicina di base  per la collettività, guidata dall’imperativo della prevenzione e dell’igiene ambientale come fattori essenziali per il benessere della maggioranza di una popolazione.  Siamo agli antipodi della Dichiarazione di Alma Ata  e della prospettiva  della “salute per tutti nell’anno 2000”. Nel caso dell’Islanda “ il database elettronico dei dati medici di tutta la popolazione stava per essere finanziato e messo in piedi da un’unica società licenziataria, che in cambio avrebbe avuto diritto all’accesso esclusivo e alla commercializzazione di quei dati, per un arco di tempo di dodici anni, per scoperte genetiche, diagnostica , farmaci  e gestione della sanità” (p. 2017, op.cit.).

La deCode, la società che operò in Islanda con questo approccio a cavallo degli anni 2000, è fallita da tempo;  nel caso estone, il progetto, nato nel 1999, navigava in cattive acque già nel 2004 e fu salvato da denaro pubblico,  tramutandosi in una piccola società di ricerca farmacologica finanziata dall’ Unione Europea, mentre  la bioinformazione acquisita  è rifluita nel mare magnum della ricerca globale; nel caso svedese, la UmanGenomics, altra biobanca,  ancorata questa volta al settore pubblico, fu “messa in naftalina” dopo quattro anni.  Ma la ricerca del profitto privato sul vivente non si ferma certo:  leggiamo su “Le Monde “ del 3 aprile scorso che in un elegante ristorante degli Champs-Elysées  “una ventina di convitati fissano la silhouette di Angelina Jolie mentre aspettano l’oratore della serata, il dott. Aaron di Genomic Vision, una start-up specializzata in test genetici la cui tecnologia “ deve permettere di  identificare meglio le anomalie del genoma  collegate a certe malattie”, e quindi di circoscrivere il numero degli individui a rischio. L’astuto dottore punta sull’effetto Angelina Jolie per convincere il suo pubblico ristretto di analisti e giornalisti a scommettere sulla sua società, quotata in Borsa dal 2 aprile. Apprendiamo inoltre che il 2 aprile  anche Oncodesign è stata quotata alla Borsa di Parigi, e nei prossimi giorni la seguiranno TxCell  (terapia cellulare) e Genticel  (vaccini terapeutici).   Perché tutta questa fretta?  Ma è ovvio : l’indice Next Biotech, che segue la borsa valori biotecnologica, è salito del 50%.  Quanto all’ormai anziano Craig Venter, ha pubblicato il suo ultimo libro:  “Life at the speed  of light”, la vita alla velocità della luce.  Peter Forbes lo recensisce  sul  Guardian  del 13 dicembre  2013:  arriveremo “ ad un’epoca di biologia digitale nella quale un genoma sarà digitalizzato su computer, trasmesso a distanza per radio o con onde elettromagnetiche  e ricostituito  tramite rapida ri-sintetizzazione per produrre una nuova forma di vita”. (http://www.theguardian.com/books/2013/dec/19/life-speed-light-j-craig-venter) . Sempre il pallino della rapidità. Forse è un’epidemia di questi tempi legata a qualche gene ancora ignoto.

Intanto  in vaste aree del mondo si continua a crepare comodamente di dissenteria e di infezioni polmonari acute. Niente da brevettare, niente da quotare in Borsa, malattie poco interessanti. John Snow[1] è morto da tempo.



** Vedi articolo sul "Gurdian" di venerdì 12 agosto 2016 " Ethical questions raised on research into Sardinian centenarians' secrets".




[1] John Snow, medico epidemiologo, durante l’epidemia di colera a Londra tra il 1848 e il 1854 scoprì che la maggioranza dei casi era localizzata in un quartiere che utilizzava l’acqua di una certa pompa pubblica. Quando riuscì a far rimuovere la pompa, il numero dei casi diminuì bruscamente. Snow inaugura la tradizione della medicina pubblica di base e la ricerca epidemiologica al servizio della comunità.