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domenica 14 agosto 2022

LE FALLE DELLA MEMORIA, FRUSTRANTI AMNESIE

 

LETHOLOGICA? TERMINE PEREGRINO PER QUALCOSA CHE CAPITA A TUTTI

La stanza dei ricordi perduti (Lost memories di Pati Makowska, deviantari.com)
 

Qualche giorno fa pensando al Mali, paese dove ho lavorato per tre anni tra fine anni 1980 e 1990, allora tranquillissimo[1], dove si dormiva con le porte aperte o addirittura nella corte durante la stagione più calda, mi sono venuti in mente certi arbusti di una pianta con fioriture rosso fuoco, che si chiama…e lì ho inciampato in un buco di memoria. Ed è un buco ricorrente, perché già in passato nel tentare di ricordare la prosopis, questo il nome della pianta in questione, mi è capitata la stessa cosa ed ho penato a evocarla fino a che il termine, come una bolla in uno stagno, è venuta a galla senza che la cercassi più. Questo comune fenomeno di non riuscire a ricordare in un certo momento un termine, un nome, una nozione specifica che si sa di conoscere, di possedere nel proprio bagaglio mentale, è chiamato in psicolinguistica il fenomeno “sulla punta della lingua”, the tip of the tongue phenomenon in inglese, in termini colti, lethologica[2]. Etimologia facile da arguire derivata dal mitico Lete, il fiume dell’oblio per i trapassati secondo Platone, Virgilio e Dante (ma anche un fiume innocuo della Campania). I numerosi studi su questo fastidioso e frustrante incidente mnemonico ci dicono però, per riconforto, che è universale, e si verifica a qualunque età, anche se l’articolo citato sottolinea che la frequenza dell’evento aumenta con l’avanzare degli anni. E’ diffuso in tutte le culture, ed ha certe caratteristiche ricorrenti, come ad esempio il fatto che spesso si constata che ricorre a distanza di tempo con gli stessi termini che non si erano ricordati in passato, come appunto nel mio caso con il termine prosopis.  Spesso poi se ne ricorda la lettera iniziale, o il numero di sillabe, come l’ombra del termine corretto proiettata in qualche recesso cerebrale. Perché?

Nello stesso articolo si suggerisce che possa accadere per il fatto che precedentemente si è lottato a lungo per ricordare quel termine riottoso, ci si è ostinati sapendo di sapere, e poiché si prende un sentiero sbagliato, invece di ritrovarlo ciò che si ripete è proprio l’errore già commesso.[3] Meglio è cercare la soluzione, se si ha disponibile internet spesso è facile; più seccante è l’amnesia se si verifica parlando in pubblico o durante una lezione o un esame. Un altro suggerimento è il ricorrere a trucchi mnemonici, cioè alla mnemotecnica, con associazioni di tipo vario già collaudate da oratori celebri quali Cicerone o Quintiliano o scienziati d’epoca più recente. Andando a consultare la voce “mnemotecnica” su Wikipedia mi sembra che le complicate astuzie associative menzionate siano contorte e cervellotiche, associazioni anche più difficili da ricordare che i termini o concetti che si desidera snocciolare al momento opportuno. La mia via preferita è quella della decantazione: lascio perdere e confido nel lavorio subcosciente delle reti neuronali. E quasi sempre funziona.

Neuronali? Saranno sinapsi sonnecchianti che si riattivano grazie a neurotrasmettitori e opportune proteine? Ma i ricordi della memoria lunga (long-term memory) sono incapsulati nelle sinapsi, questi collegamenti tra i neuroni che ne assicurano il dialogo? Qualche anno fa avevo letto un curioso articolo sulla “stanza dei ricordi”[4], autore senior il ricercatore David Glanzman della UCLA, Università della California, che si basava su studi effettuati sulle sinapsi della aplysia, una lumachina marina, sinapsi che non funzionano, con grande meraviglia, in modo troppo dissimile da come funzionano nella specie umana, perché certi meccanismi nervosi si sono conservati lungo la filogenesi per centinaia di milioni di anni. Egli e i suoi collaboratori ne deducevano che i ricordi della memoria a lungo termine non risiedono nelle sinapsi ma probabilmente nel nucleo dei neuroni, anche se ancora non avevano le prove di tale ipotesi alternativa. "La memoria a lungo termine non è memorizzata nelle sinapsi", ha detto David Glanzman, professore di biologia integrativa, fisiologia e neurobiologia. "Questa è un'idea radicale, ma è dove ci portano le evidenze. Il sistema nervoso sembra essere in grado di rigenerare le connessioni sinaptiche perdute. Se è possibile ripristinare le connessioni sinaptiche, anche la memoria tornerà. Non sarà facile, ma credo che sia possibile".[5] Ed è stupefacente che “i processi cellulari e molecolari sembrano essere molto simili tra la lumaca marina e gli esseri umani, anche se la lumaca ha circa 20.000 neuroni e gli esseri umani ne hanno circa un trilione (mille miliardi)[6]. Ogni neurone ha diverse migliaia di sinapsi” (ibid.). 

Uova di aplysia, Uruguay 2014 (foto mia)

Ho visto centinaia di uova di aplysia sparse su una spiaggia del nord dell’Uruguay anni fa e per questo mi sono interessata a questo animaletto mai visto prima. Erano uova di aplysia che tutti gli anni, tra fine novembre e inizio dicembre, invadono quelle spiagge (e chissà dove ancora) per la stagione della riproduzione (informazione di un bagnante locale che però non ne sapeva il nome). Era uno spettacolo singolare vedere quelle uova giallastre trasparenti e translucide sparse a distesa sulla sabbia deserta. Guardando più da vicino si constatava che alcune si muovevano perché le lumachine attaccate alla pellicola interna cercavano di uscire e si capovolgevano per uscire, alcune cominciavano a trascinarsi sulla sabbia. Le avevo fotografate e inviate ad un biologo marino che mi aveva chiarito il mistero; il nome mi era subito sembrato interessante e poetico e al ritorno avevo ricercato articoli su questo argomento.

Ma il nostro complicatissimo cervello produce pensiero e ricordi solo grazie a neuroni e sinapsi? Nel 1983 uscì un libro di Jean-Pierre Changeux, famoso neurobiologo premio Nobel, L’homme neuronal, tradotto in italiano da Feltrinelli (L’uomo neuronale) dieci anni dopo, che implicava che fossero solo i neuroni gli attori chiave del funzionamento del cervello, il trilione o giù di lì di cellule nervose protagoniste assolute. E invece no.

Due astrociti (cellule gliali) della corteccia cerebrale umana; uno "abbraccia" un neurone piramidale

(Fonte, Y.Agid, P. Magistretti, L'homme Glial, Odile Jacob, 2018)


Avendo già letto un bel libro di Pierre Magistretti, un neurobiologo svizzero, scritto in tandem con uno psicoanalista, François Ansermet, A ciascuno il suo cervello Bollati Boringhieri 2008, ho notato, qualche anno fa, un altro titolo di P. Magistretti, L’homme glial, scritto insieme ad un neurologo questa volta, Yves Agid e l’ho scaricato in lingua originale, francese (non è stato tradotto che in inglese) come e-book. 

E’ stata una fondamentale finestra cognitiva che mi si è aperta: più della metà del nostro cervello, lungi dall’essere “operato” soltanto da neuroni, è abitato da altre essenziali cellule, le cellule gliali, facenti parte di un tessuto scoperto a metà del XIX secolo da Rudolf Virchow, un medico tedesco (informa Wikipedia, ma anche patologo, antropologo, biologo, scrittore, editore e politico!) che “nota la presenza di una sostanza amorfa tra i neuroni, una specie di colla (glue in inglese, da cui il termine scelto da Agid e Magistretti di “glie”). Questa “glue” corrispondeva a un tessuto di sostegno, una specie di tessuto connettivo del cervello che mantiene insieme i neuroni per riempire gli spazi vuoti.”[7] Così nell’introduzione si menziona la scoperta di tale tessuto che si rivelerà ben più di una colla adibita a tenere insieme i supposti attori principali dell’orchestrazione del funzionamento cerebrale, bensì un direttore d’orchestra. Le cellule gliali sono ben superiori in numero rispetto ai neuroni, rispondono ai segnali neuronali dei quali modulano le risposte in modo più preciso, e un tipo particolare di queste cellule, gli astrociti, così definiti perché hanno una forma a stella, come un astro, sono necessari per consolidare la memoria. Nella foto qui sotto tratta anch'essa da una schermata del libro si nota la ricchezza di terminazioni nervose dell’astrocita umano rispetto a quello della mosca. Le cellule gliali (di tre tipi) giocano un ruolo essenziale nella genesi e nel controllo dei nostri comportamenti. Varie patologie del sistema nervoso sono legate al cattivo funzionamento delle cellule gliali. Ho citato soprattutto dall’introduzione, perché non è il caso, a conclusione di questo scritto che nasce dalla constatazione di un fenomeno diffuso di “cilecca” della memoria, inoltrarsi nella complessità del libro, che è però leggibilissimo anche da non specialisti come la sottoscritta. L’ho trovato illuminante e persino avvincente, spero sia tradotto presto in italiano ma se leggete bene in francese o in inglese e l’argomento vi interessa, ve ne consiglio vivamente la lettura.

Astrocita di mosca e umano a confronto: le arborescenze umane sono impressionanti

 

 

 



[1] Dal 2012 il Mali è purtroppo diventato terreno di guerra: prima concentrata a nord nella zona touareg, grazie a malgoverno, sbagliate politiche interventiste europee e soprattutto francesi, povertà e condizioni climatiche sempre più difficili, approcci solo militari alle dissidenze che hanno una maschera jihadista, la guerra è ora quasi dappertutto, con un giunta militare al comando ben poco attrezzata per farvi fronte. Ed egualmente i paesi vicini non stanno molto meglio.

[2] Kendra Cherry. https://www.verywellmind.com/lethologica-tip-of-the-tongue-phenomenon-4154947

[3] La mia personale esperienza è che spesso c’è un altro termine inconsciamente codificato associato al termine che fa cilecca, per cui è questo che viene in mente e non quello desiderato.

[4] https://www.alzheimer-riese.it/contributi-dal-mondo/ricerche/4384-i-ricordi-perduti-potrebbero-essere-ripristinati-speranza-per-lalzheimer.html

[5] Ibid.

[6] Curiosamente, proprio ora leggo che nel libro che citerò nella prossima nota, gli autori attribuiscono 85 miliardi di neuroni al cervello umano, nel primo capitolo dedicato al cervello in generale (Il cervello: neuroni, cellule gliali e vasi sanguigni). C’è parecchia differenza rispetto al trilione di Glanzman.

[7] Yves Agid, Pierre Magistretti. L’homme glial, Odle Jacob, 2018.