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giovedì 10 settembre 2020

ECUADOR:IL CUORE VERDE DEL SUDAMERICA (2)

 
VIAGGIO TRA VULCANI FORESTE E PETROLIO (2)
ANDE SETTENTRIONALI

Laguna Cuicocha

Il contatto con le Ande ecuadoriane inizia ad Otavalo (alt. 2532 mt), piccolo centro della provincia di Imbabura dal nome del vulcano omonimo che svetta 2000 metri più in alto, dove trovo un ottimo alberghetto dal nome irresistibile per i nomadi, El Andariego, non segnalato dalla guida. Unico difetto: le docce la cui acqua rischia di scotennarti a 40 gradi e gelarti dopo pochi secondi, ordigni elettrici infelici già sperimentati in Cile: devono essere una specialità vulcanica. A parte questo particolare, ottimo rapporto qualità/prezzo e premio simpatia. 
Mercato di Otavalo
Otavalo è famosa per il suo ricco e coloratissimo mercato del sabato: c’è di tutto: mi procuro un cappello di paja toquilla[1], intrecciato a mano in quel di Montecristi, un paesino della provincia del Manabí. Vi si producono i famosi panama, così chiamati perché questo era il porto dal quale salpavano verso il mondo e dove furono usati dagli operai che costruivano il canale. Incappellarono anche Theodore Roosevelt in visita che ne fece un’ottima pubblicità. Naturalmente c’è panama e panama, e quelli venduti a 20 dollari a Otavalo sono per gli andariegos squattrinati; ciò si capisce dalla trama grossolana e dalla tipologia della fibra. Ma si dimostrano egualmente utili al sole equatoriale anche se probabilmente meno longevi. I più belli li vedrò in un negozio chic di Cuenca, apprezzando la differenza.

Dopo una prima passeggiata alla cascata di Peguche[2]per riscaldare i muscoli, l’indomani prendo un autobus locale per Cotacachi, che non immaginavo essere famosa meta per turisti di mezzo mondo che pare vi trascorrano lunghi periodi. Il museo e il jardin etno che avrei voluto visitare sono chiusi entrambi ma sono fortunata: il sagrato della chiesetta e la scalinata sottostante brulicano di uomini e donne, tutti con caratteristici cappelli di feltro[3], appartenenti alle comunità indigene circonvicine, che sono scesi dai loro villaggi per festeggiare non ricordo più che ricorrenza religiosa.

Un’orchestrina suona davanti alla chiesa, tra la folla ci sono uomini a cavallo, vari cani randagi, rari turisti e qualche poliziotto, uno scenario variegato sotto un sole implacabile. La messa è finita, i musicanti si incolonnano e partono spediti, la folla li segue e io mi accodo; il corteo è interessantissimo, la musica pimpante, il caldo estremo. Gli indigeni sono in maggioranza piccolissimi e io col mio metro e mezzo mi sento un gigante, evidentemente è l’eredità di secoli di fame e diete scarse di solo mais. I musici procedono quasi correndo a zig-zag per le strade del centro, fermandosi a tratti con visi paonazzi senza smettere di suonare, poi imboccano un rettilineo che sbocca in campagna. Ormai i curiosi sono spariti e credo di essere l’unica estranea. 
India a Cotacachi
Ci sono degli autobus dietro un ultimo caseggiato tra i campi, l’ex corteo vi si accalca intorno per salire e vedo che straripa dai finestrini, il che mi dissuade dal seguirli. Chiedo dove siano diretti: su in montagna dove la vera festa comincerà con cibo balli e molto alcool mi sembra di capire. Rifiuto un pressante invito a unirmi alla bagarre e ritorno in un silenzio irreale verso il centro.  Il vulcano Imbabura è una magnifica cartolina nitida nell’azzurro: sarà l’unico vulcano che potrò ammirare senza nubi in tutto il viaggio. Cotacachi è anche famosa per la lavorazione del cuoio. Le strade sono vuote, i ristoranti pieni.

Il giorno successivo da Cotacachi prendo un altro mezzo pubblico per Quiroga e infine un taxi per raggiungere la Riserva ecologica Cotacachi-Cayapas e la laguna Cuicocha, che riempie il cratere dell’ex-vulcano [4]Cotacachi. Il sentiero da percorrere è in cresta al margine del cratere ed è una ruta sagrada Inka, scandita dai santuari al sole e alla luna e da altari per le offerte agli dei, il tutto immerso nel verde e tra fioriture multicolori, più orchidee e agavi coreografici. La passeggiata tra ombra e sole è una delizia di panorami cangianti che si specchiano nella laguna dove scorrono nuvole luminose, un grande occhio spalancato nel verde. Un altro sentiero affascinante è quello delle orchidee.

Agave a Cuicocha
La tappa successiva, sempre partendo dalla base di Otavalo, è Ibarra, più a nord e sul cammino per Esmeraldas, dove abita ritirato in campagna con la moglie un mio ex-collega in Mali. Oltre che dal piacere di rivederli e comprendere meglio le realtà del paese, sono attirata dalla Provincia di Esmeraldas in quanto la sua popolazione di afro-ecuadoriani, ex schiavi, e il crogiuolo di culture che ne è scaturito la rendono unica. Ma la mia amica di Quito sconsiglia il viaggio in quanto a suo avviso il tragitto Ibarra-Esmeraldas in autobus, che rasenta la frontiera con la Colombia, non è affatto sicuro, e rinuncio. A Ibarra visito un Centro culturale piccolo ma interessante: in Ecuador ne ho trovati molti di questi minuscoli luoghi, ognuno con un peculiare genius loci, che illustrano antiche culture e tradizioni di nicchia con manufatti e informazioni non reperibili altrove. Qui il museo è intitolato ad Atahualpa, ultimo re Inka, che ingenuamente nel 1532 cadde in un’imboscata a Cajamarca[5] (oggi Perù) tesagli da Pizarro, e ancor più ingenuamente una volta prigioniero negoziò la sua liberazione con il conquistador in cambio di una quantità d’argento pari a due volte il contenuto della stanza della sua prigione in argento e una volta in oro. 

 Una volta ottenuto il bottino ovviamente Pizarro lo condannò a morte, non prima di un ultimo sberleffo, costringendolo al battesimo con il nome di Francesco.  Il pezzo più bello del museo è una testa di scabro tufo vulcanico della cultura Caranqui (pre-Inka), icastica personificazione del corruccio e del cordoglio: i Caranqui furono sconfitti dagli Inka dopo un’accanita resistenza. Infine mi colpisce il ritratto a matita o a penna, non è chiaro, del viso di un uomo di colore: è Alonso de Illescas, cioè colui che assunse questo nome, quello del suo padrone, in quanto fu catturato schiavo all’età di 10 anni e portato dalle isole di Capo Verde, dove era nato nel 1528, a Siviglia dove crebbe come criado, rivelando un’intelligenza e delle capacità fuori del comune. Da schiavo viaggiò e lavorò a Santo Domingo al seguito del vero Alonso che laggiù aveva interessi commerciali, e fu poi trasferito a Lima. Da qui riuscì a fuggire con una barca ma fece naufragio a Muisne, cantone nord di Esmeraldas, dove governava ormai libero un altro ex schiavo, il cimarrón[6] Antón.
 Alla morte di questi, Alonso de Illescas gli subentrò come cacique (leader) indiscusso. Riuscì a tessere rapporti e imporsi con le altre popolazioni locali già meticciate con altri schiavi fuggiaschi, sposò una india di alto rango e sempre prevalse con la sua autorevolezza. Infine fu aiutato dallo spagnolo Gonzalo de Avila a trattare l’indipendenza del suo territorio con i conquistadores spagnoli, creando così un vero e proprio regno, il regno degli Zambos[7], l’unico territorio libero del Sudamerica, formato da una popolazione multietnica indigeno-africano-spagnola che rimase invincibile per 100 anni. Alonso de Illescas fu riconosciuto eroe nazionale della Repubblica Ecuadoriana ne 1977[8]. Questa storia del cammino di un popolo di schiavi verso la libertà, complessa e ben poco conosciuta, l’ho scoperta grazie al piccolissimo museo di Ibarra. E ha rafforzato la mia ammirazione per i capoverdiani, con i quali ho lavorato rilevando una straordinaria prevalenza delle persone più intelligenti, capaci, informate e tenaci in Africa. L’eroe dell’indipendenza della Guinea Bissau, Amilcar Cabral, era capoverdiano.

 Strada verso il Parque Condor
Da Otavalo salgo al Parque Condor, dove gli uccelli, tutti rapaci, sono in grandi gabbie, compreso un cupo condor che pare assai depresso, e un singolare domatore esibisce i voli controllati di alcuni di essi in libertà provvisoria davanti a un piccolo pubblico di ecuadoriani e stranieri. Mi piace il bicolore gufo dei campanili, il più piccolo e docile. Un cartiglio appeso a una gabbia che racchiude un’aquila provata dalla vita ormai nonna felice c’è la sua lunga storia di ex trovatella: infatti molti dei volatili sono stati tratti in salvo in congiunture perigliose.

Gufo dei Campanili
Scendendo verso Quito per passare al versante orientale degli altopiani delle Ande, scarto per ragioni pratiche Mindo a vantaggio di Cayambe, molto vicino alla linea ideale della latitudine 0, dove spero di ammirare l’omonimo vulcano. Delusione: sia al mio arrivo che la mattina seguente il vulcano è avvolto da nubi spesse e si intravedono solo le pendici. In compenso anche qui è stato allestito un interessante centro culturale all’interno del Municipio. Il segretario mi fornisce addirittura un taccuino per appunti con biro dato che ho dimenticato il mio in stanza. Molte sale e foto sono dedicate a ritracciare le storie del protagonismo sia femminile che maschile delle lotte nelle campagne circostanti contro i padroni delle encomiendas, gli eredi dei conquistadores, e in seguito dei latifondisti, gli haciendados
Spicca una foto di Dolores Cacuango[9] che, nata in un paesino vicino a Cayambe, pur analfabeta e serva domestica dall’età di 15 anni una volta arrivata a Quito comprese rapidamente cosa sono le differenze di classe e il contrasto di interessi tra servi e padroni. 
Divenne presto una militante comunista dei diritti degli indigeni e dei lavoratori delle haciendas e si spese, lei che mai era andata a scuola, per l’accesso dei campesinos all’educazione come base per la conquista di una vita più degna e giusta, fondando le prime scuole bilingui, in spagnolo e quechua e la prima Federazione per i diritti degli Indios nel 1944. In occasione di lavori pubblici è stato scoperto in città un sito archeologico pre-Inka denominato Puntyatzil, con tolas cioè piramidi tronche destinate a dimore dei caciques, visibile salendo dal centro.
 
L’esplorazione delle Ande centrali comincia da Latacunga, dove il vulcano Cotopaxi, durante il mio soggiorno, è rimasto costantemente avvolto da un mantello di nuvole impenetrabili. Nella casa di alcuni parenti della mia amica di Quito passiamo una serata e una notte senza corrente elettrica a causa di un fortunale. Si scuoce miseramente nel buio della cucina la mia cena, l’unico pesce fresco, freschissimo, trovato in Ecuador in due mesi da un pescivendolo in piazza e di domenica a 2750 mt di altitudine, un miracolo. 
Laguna Quilotoa
In compenso sveglia gelida alle 5 di mattina a lume di candela e alle 6.45 sono su un autobus alla volta della laguna Quilotoa, attrazione alternativa in mancanza del vulcano invisibile. Trovo il solito sentiero sul bordo del vulcano estinto e nessun escursionista, tempo freddo e grigio, siamo a 3914 mt. Scarseggiano i fiori, bellissime le nuvole in corsa riflesse sul piano di vetro dell’acqua. Latacunga è famosa per la tradizionale festa della Mamá Negra (Vergine della Mercede), celebrata con processione e diversi figuranti e maschere, che in casa mi descrivono con entusiasmo.[10]  Una delle leggende alla base di questa festa dice che la Vergine fermò una catastrofica eruzione dell’attiguo vulcano Cotopaxi più di duecento anni fa. Il giorno successivo mi reco a per vedere una originale Galleria d’arte messa in piedi da una famiglia di artisti locali. Il luogo è gelido e il pittore, Alfredo Toaquiza, uno dei componenti della famiglia in cui pare che solo il sesso maschile abbia avuto il dono delle mani d’oro, mi mostra orgoglioso le opere, quadri naif di montagne, deità e lama brucanti, campesinos in simil-Borsalino e lune colorate, atmosfere fiabesche alla Rousseau modalità andina.
Quadro di Alfredo Toaquiza
Infine visito a Latacunga un bellissimo museo alla Casa della Cultura, allestito dentro un ex collegio dei Gesuiti la cui entrata è caratterizzata da un antico mulino chiamato di Monserrat. In una sala sono esposte tutte le maschere e i personaggi della processione della Mamá Negra[11]. Una strana tradizione è quella dei tejedores de cintas, cioè dei tessitori di nastri colorati tipo arcobaleno, che pare servano per un ballo di origine spagnola (baile de tucumán)[12]. I nastri si legano ad un palo in alto e le coppie girano intorno al palo ballando e tenendo in mano un nastro. Ma a Baños mi racconteranno un’altra storia: vedo questi nastri legati e tesi dal tettuccio al parafango di una macchina parcheggiata e quando ne chiedo il significato mi dicono che è un’usanza per segnalare un lutto familiare, come in Italia si usava legare una fascia nera al braccio.

Le statue, molte quasi mascheroni, delle più svariate fogge, danno un’idea della fantasmagoria di tradizioni e radici che formano il tessuto multiculturale di questo paese; le targhe sotto le statue danno il capogiro tante sono le culture menzionate. La cultura Valdivia la ritroverò in molti altri musei.
Il mascherone qui sotto appartiene alla cultura Jama-Coaque. 




 Il giorno successivo lascio Latacunga alla volta dell’Amazzonia meridionale.


 Vulcano Imbabura a Cotacachi












[1] https://es.wikipedia.org/wiki/Sombrero_de_paja_toquilla

[2] https://www.evaneos.it/ecuador/viaggio/destinazioni/9769-peguche/

[3] Sono i corrispettivi delle bombette nere di feltro indossate dalla donne quechua in Bolivia, e costano un occhio, come verifico quando chiedo di acquistarne uno. Ma, evidentemente irrinunciabili, durano tutta una vita adulta.

[4] Da notare che l’ex vulcano è chiamato nel folclore locale warmi Cotacachi, dove warmi significa “donna” in quechua, perché è considerato “la moglie” del più alto e vicino Imbabura.

[5] https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Cajamarca. Da tenere presente che il Tahuantinsuyo, l’impero Inka, era immenso e comprendeva l’odierno Perù, e larghe parti degli odierni stati di Bolivia, Ecuador, Colombia, Argentina e Cile.

[6] Cimarrón significa schiavo fuggiasco, l’enclave dove si rifugia libero ormai è il palenque o quilombo.

[7] Zambo in spagnolo significa letteralmente: uomo con le gambe a X. Di fatto, persona figlia di un africano e di un’amerindia o viceversa,

[8] https://pueblosoriginarios.com/sur/andina/zambo/zambos.html

[9] https://en.wikipedia.org/wiki/Dolores_Cacuango

[10] https://es.wikipedia.org/wiki/Mama_Negra

[11] https://es.wikipedia.org/wiki/Mama_Negra


[12] https://www.eluniverso.com/vida-estilo/2014/09/10/nota/3805811/baile-tejido-cintas

Testa di Tufo  Cultura Caramqui