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martedì 22 febbraio 2022

LA COMUNITA' INTERNAZIONALE: MITO, AVATAR, ECTOPLASMA, VUOTO SPINTO?

 

LE PAROLE CREANO LE COSE?

Weekly Guardian 17/23 dicembre 2004, esempio di comunità internazionale?
 

Ho sentito per la prima volta pronunciare l’espressione “comunità internazionale” all’inizio del 1979, in Mozambico, da un collaboratore (che si definiva giornalista) di alcune testate locali in Italia. Mi era stato presentato da un comune amico allo scopo di poter insieme intervistare in inglese il presidente del partito ZANU (Zimbabwe African National Union), che risiedeva in esilio con tutta la dirigenza a Maputo e lottava per l’indipendenza dell’allora Rhodesia del sud, e cioè Robert Mugabe che sarebbe poi diventato il longevo presidente dello Zimbabwe.

Mi ero chiesta da dove saltasse fuori quella definizione e che cosa/chi designasse esattamente. Nel corso dei decenni seguenti ci siamo abituati a sentire riecheggiare questa espressione in tutte le salse e per assuefazione crediamo più o meno di capire a che cosa si riferisca. L’immagine che personalmente ci associo è quella di un ectoplasma, o anche una grossa ameba dai contorni sfumati e cangianti, poiché chi si indichi, quale entità, è lungi dall’essere senza equivoci e dipende dalle circostanze e dalla posizione geografica di chi la evoca. Alcuni esempi di “uso ad hoc” appaiono nell’articolo che segue tradotto da Radio France Internationale. La crisi ucraina attuale e la crisi di nervi USA/NATO con fedeli contratture di rimando UE ne offre contemporanei esempi. In questo caso la “comunità internazionale” sembra coincidere con “gli occidentali” che stanno dalla parte “giusta” di default. Una volta erano “i volenterosi”.

Rewind. Ho ritrovato un articolo di Robert Fisk del 23 marzo 2003, che avevo stampato e inserito in un libro sulla questione irachena[1], nel quale un “we” tra virgolette indica la virtuosa “comunità internazionale” che stava invadendo l’Iraq di Saddam Hussein, ex “figlio di puttana USA”, come Marcos nelle Filippine e vari altri dittatori che facevano comodo. L’articolo è riportato quasi letteralmente nel libro di Fisk The great war for civilisation, nel capitolo dedicato all’invasione[2]. Robert Fisk era forse l’unico giornalista straniero presente a Baghdad nel marzo 2003. L’articolo invece non è più disponibile online su indymedia.

Perciò, quando alcuni giorni fa ho letto sul sito di Radio France Internationale (www.rfi.fr) una nota critica[3] del termine “comunità internazionale”  mi sono detta: finalmente qualcuno si accorge che questa locuzione è veramente problematica. E mi sono ripromessa di tradurre il testo (che segue), principalmente illustrato dalle foto riprodotte nell’articolo. La foto sotto il titolo è invece tratta da una vecchia pagina del Weekly Guardian della settimana 17/23 dicembre 2004, che avevo inserito nel libro di Luizard. Si tratta di una recensione (titolo: Mistakes in Mesopotamia) di un libro sugli errori fatali compiuti degli inglesi nell’inventare uno stato nazione (l’Iraq) di sana pianta da tre province ottomane con popolazione a maggioranza sciita, installando al potere una dinastia Hashemita sunnita[4]. Vorrei aggiungere che non condivido l’affermazione conclusiva dell’articolo di RFI, che mi sembra molto ottimista.

Azraq Camp, Giordania, rifugiate siriane

L’espressione “comunità internazionale”: dalla fiction[5] al mito

Léopold Picot, 4/02/2022

(Questa espressione) cristallizza le divergenze tra diverse correnti nel campo delle relazioni internazionali. Tutte concordano su un punto: in termini scientifici, l’espressione “comunità internazionale” non vuol dire niente. Una parte degli esperti ne deduce che è un concetto vuoto, senza fondamento, mentre altri pensano che un termine non scientifico non è necessariamente privo di interesse. La “comunità internazionale” è dappertutto. Solo sul sito di Radio France Internationale si trovano almeno 20.000 menzioni. Non basta dire che la formula serve a tutte le salse mediatiche, dal lancio dei missili nord-coreani “condannati dalla comunità internazionale” che “si indigna” dopo un massacro o una condanna arbitraria prima di “esigere” la liberazione di un militante. In un documento di lavoro del luglio 2002 il sociologo francese Francis Chateauraynaud ha analizzato il suo utilizzo nella stampa tra il 1987 e il 2002 basandosi su Le Monde, Le Monde Diplomatique, e Libération. Ha contato più di 12.000 occorrenze. Già 30 anni fa l’espressione era correntemente usata con un aumento evidente dalla fine degli anni 1990. “La comunità internazionale deve aiutare il Libano a sanare la sua crisi economica …”, auspica Gallagher (#Liban, lorientlejour.com).

Ma chi è questa comunità internazionale? Non si tratterà semplicemente dell’ONU? Non sembra, poiché proprio recentemente certi osservatori la distinguevano da quest’ultima, vedi Le Matin: «Birmania : L’ONU chiede alla comunità internazionale di mobilitarsi». Questa entità astratta sarà forse un puro miraggio irreale, senza alcun impatto sulle vicende internazionali? Nemmeno questo.

Per bertrand.badie@sciencespo.fr, professore emerito a Scienze Politiche[6] CERI e specialista di relazioni internazionali, non esiste una risposta univoca giusta. “Mi capita raramente, ma sarei piuttosto centrista in questo caso”, precisa maliziosamente al telefono.

Inesistente stricto sensu, ma non priva di interesse

Tra le innumerevoli correnti nel campo delle relazioni internazionali, una delle più antiche è la corrente realista. Per i ricercatori che si rifanno al filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), la scena internazionale è un’arena di gladiatori dove le potenze si squadrano reciprocamente “nella posizione e stato d’animo dei gladiatori, armi puntate e sguardo fisso gli uni sugli altri”, scrive ne Il Leviatano[7]. Pierre Hassner, della corrente realista, ha logicamente criticato l’impiego del termine (comunità internazionale), che non può che essere un miraggio strumentalizzato dai potenti e loro uso e consumo. Altre correnti, in particolare della scuola inglese di Relazioni Internazionali, usano invece il termine “società internazionale” per segnalare, in opposizione ai realisti, che c’è si una certa concorrenza tra attori e Stati, ma ci sono anche convergenze, perché essi possono concordare su regole e opinioni e avere gli stessi valori.

Il fatto è che nella letteratura sulle relazioni internazionali il concetto non esiste. Lo conferma Bertrand Badie: “In senso stretto il termine non è concettualizzato. Nelle scienze sociali il termine “comunità” implica una forte solidarietà di natura affettiva, innata. Non esiste una comunità internazionale perché non esiste una solidarietà spontanea tra i diversi attori della scena internazionale, è assolutamente palese”. Tuttavia ciò non significa che il termine non abbia un qualche interesse. “Bisogna stare attenti perché è diventato un luogo comune condannare l’uso della formula comunità internazionale”, mette in guardia il professore. “Sono talvolta condanne interessate che vogliono sostenere una visione del mondo particolare che non è condivisa da tutti (…)[8]. Se si fa un uso ponderato e argomentato empiricamente del termine, ne possono scaturire osservazioni interessanti”.

Gutierrez a Glasgow alla COP 26, Novembre 2021

La comunità internazionale come forza morale.

Francis Chateauraynaud, sociologo di tradizione pragmatica inventore della definizione lanceur d’alerte (i giornalisti italiani, notoriamente anglofili, usano il termine whistleblower)[9], ha studiato il modo in cui si designano le cose e l’effetto che deriva dal denominarle. Per il sociologo la “comunità internazionale” è una entelechia[10] morale, una forza autonoma: solo evocandola le si conferisce una forza morale. “Nella maggioranza dei casi è implicita una dimensione di giudizio etico rispetto a violazioni dei diritti umani, a problemi di conflittualità o di Stati canaglia”[11], precisa il sociologo. E aggiunge che l’aumento delle connessioni internet permette un’immediata irruzione discorsiva pochi minuti dopo un qualsiasi avvenimento. “Il cadavere di un bambino su una spiaggia fa effetto sulla comunità internazionale, la commuove. E’ aberrante, perché si tratta di un’entità astratta, non di persone. Al limite si può parlare di persona morale, in quanto rappresentata dall’ IPCC[12], l’ONU, l’OMS…assume fattezze diverse a seconda dei fatti in questione”.

Un paese della NATO, la Turchia, ha appena bombardato dei villaggi kurdi. “Hello hello, comunità internazionale?” E’ un tweet di Paul Moreira a PLTV…segue immagine del bombardamento a Shengal, Sinjar, dell’agosto 2021[13]. In un mondo digitalizzato la società civile, le ONG, i militanti tenterebbero di impadronirsi della narrazione (altro neologismo, NdT). Wikileaks, per esempio, farebbe parte di questo movimento che consiste a riconfigurare la comunità internazionale sotto forma di un potere dal basso e di media cittadini. “(Questo movimento) si erge contro l’idea che le istituzioni più sclerotizzate, le istituzioni internazionali, rappresentino la comunità internazionale, secondo una definizione banalizzata. Secondo loro, occorre che i cittadini si impadroniscano di certi strumenti, in particolare del trattamento dell’informazione, perché questa non sia manipolata”.

MGR Callagher, capo della diplomazia vaticana a Beirut, febbraio 2022

Un mito in contatto con la realtà

Betrand Badie, pur precisando ancora una volta che non ne convalida la consistenza scientifica “Non mi annoverate tra gli ardenti difensori del concetto, non voglio ricevere minacce di morte!” scherza – pensa che la c. i., senza essere un qualcosa di definito, sia un embrione. L’espressione “comunità internazionale” è più presente oggi che nel 1945, ed è sempre più connessa alla realtà. “Nel 1945, parlare di “comunità internazionale” quando i tre quarti del pianeta erano difficilmente accessibili e sotto il giogo coloniale, non aveva proprio senso”, chiarisce. Il professore emerito evoca anche lui l’aumento delle telecomunicazioni. “C’è più comunità internazionale oggi di ieri, perché le persone si vedono di più, interagiscono di più, c’è più scambio. Oggi ci sono 193 Stati sovrani e una gran parte del mondo è collegata da internet. Ma il digitale può produrre anche conflitto e non consenso…in contrasto con l’immagine di una “comunità internazionale!”, sottolinea.

Primo Ministro di Vanuatu in collegamento internet con la COP 26

Bertrand Badie evoca la crisi climatica, che costringe la “comunità internazionale” a pensarsi come un tutto unico, anche se il processo non è completo, dato che i paesi penano a farvi fronte in modo solidale e coordinato[14]. A suo avviso, bisogna prendere in considerazione sia il criterio istituzionale, con istituzioni multilaterali che rappresentano per loro natura un embrione di comunità, sia il peso più politico del termine, che implica convergenze tra attori internazionali. Sia nel caso dell’istituzionalizzazione dei legami che nel caso della dinamica sociologica delle convergenze, non si tratta di un fenomeno compiuto. Ma non è una ragione per rigettarla in blocco, conclude il ricercatore:” Esiste la nazione francese? Esiste idealmente, ed empiricamente potreste dimostrare lo spessore che il concetto può avere. Così la comunità internazionale, è la stessa cosa. Esiste idealmente, come potenziale convergenza, come perno di consensualità, con la riserva che il potenziale non si realizzerà mai compiutamente. E allora?”

Il termine «comunità internazionale» ha più attinenza quindi con il mito che con la fiction. “Qualche cosa che non esiste ma che possiede una tale forza di convinzione che spinge gli individui ad agire in modo che possa esistere”, conclude lo studioso di Scienze politiche.

Portaerei di classe NIMITZ USS Carl Vinson e altre navi USA nel Pacifico




 

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[1] Pierre-Jean Luizard. La questione irachena, Feltrinelli, 2003

[2] Nel Kindle dove ho scaricato il libro è a pag. 1160.

[3]  https://www.rfi.fr/fr/connaissances/20220204-l-expression-communaut%C3%A9-internationale-de-la-fiction-au-mythe

[4] https://www.theguardian.com/books/2004/nov/27/featuresreviews.guardianreview7

[5] Il termine fiction in francese si può rendere con invenzione, romanzo, narrazione, finzione. In inglese il Merriam-Webster porta alcune definizioni una delle quali mi pare renda meglio il sapore del termine: prendere una possibilità come se fosse un fatto, a prescindere dalla questione della sua veridicità (an assumption of a possibility as a fact irrespective of the question of truth).

[7] https://www.libreriauniversitaria.it/leviatano-hobbes-thomas-rizzoli/libro/9788817066976

[8] Omissione nel testo originale francese.

[9] Per capirci, Bradley/Chelsea Manning, Julian Assange, Edward Snowden, e molti altri ammazzati o in galera nei vari paesi del mondo appartenenti appunto alla comunità internazionale, NdT.

[10] Termine usato da Aristotele contrapposto a «potenza» (δύναμις), per designare la realtà che ha raggiunto il pieno grado del suo sviluppo. Il termine fu ripreso da G. Leibniz per indicare la monade, in quanto ha in sé il perfetto fine organico del suo sviluppo (Enciclopedia Treccani).

[11] NdT: se si pensa da che pulpito viene la definizione di Stati canaglia e dell’uso che se ne fece, non si può che rabbrividire, pensando anche alla tomba che è diventato il Mediterraneo, quali sono gli stati non canaglia?

[12] International Panel on Climate Change, GIEC in acronimo francese.

[13] Per il bombardamento vedi https://npasyria.com; per Paul Moreira, giornalista francese e documentarista, fondatore di Premieres Lignes, https://mobile.twitter.com, at PaulMoreiraPLTV, la “sua” TV.

[14] Questa frase mi sembra un delicato prudente eufemismo.