Translate

giovedì 26 dicembre 2019

VIAGGIO A CIPRO E TURCHIA: ANATOLIA 3 (FINE)


VIAGGIO A CIPRO E TURCHIA: ANATOLIA (3) FINE


Antiochia, Samandag, Cappadocia e costa meridionale fino a Bodrum

Venere e ninfe, Museo archeologico di Antiochia
 
Antiochia, capitale della provincia di Hatay, la più meridionale della Turchia incuneata tra il Mediterraneo e la Siria, è anche la più antica città cristiana ad oriente di Roma. Sorge nelle vicinanze di quella che a partire dal tardo terzo millennio a.C. fu la città-stato di Alalalakh, che dopo alterne vicende fu distrutta nel XII sec. a.C. dai “popoli del mare”[1]
Antiochia fu la sede del governatore della provincia romana di Siria e secondo la tradizione fu lì che nel 38 d.C. gli apostoli Pietro e Paolo fondarono la Chiesa siriaca o Chiesa di Antiochia.

L’autobus malandato che prendo a Adyaman vi arriva dopo cinque ore di viaggio ma compensa la scomodità e la lentezza con la buona grazia dell’autista che mi scarica non alla stazione delle corriere ma in centro (credo che vada a casa sua e parcheggi il bus sotto casa), per cui appena scesa mi imbuco in un dedalo di viuzze e capito davanti ad un bell’hotel, una casa dall’architettura turca tradizionale - sono chiamate konak – con rigogliosi gelsomini, dove la gerente, miracolo, parla un buon inglese. 

Antiochia, particolare moschea
Nelle vicinanze c’è un’antica moschea e quasi a fianco l’unica chiesetta cristiana della zona, anch’essa antica, oltre che buoni ristoranti non solo per astemi. L’indomani mi incammino verso il grande e ambizioso Hatay Archeological Museum, che dista parecchi km dall’hotel. Nel corso della scarpinata vedo un’indicazione sulla destra e salgo per una strada ripida e sassosa che culmina con la cosiddetta chiesa rupestre di San Pietro, dove la tradizione vuole che l’apostolo predicasse il Vangelo. 
 
Antiochia, Mosaico "mangia e bevi"
C’è un’alta rupe sulla sinistra e sopra la facciata della chiesa, costruita dai Crociati nel 1100 e restaurata in epoca più recente, si vedono varie grotte. Probabilmente il luogo originale dove il santo predicò non era molto diverso; ora varie auto sono parcheggiate davanti al piazzale e la tariffa per entrare nella ex-grotta rifatta è ridicolmente esosa, per cui fotografo solo una grotta della montagna sovrastante, più fedeli all’originale, e me ne torno sulla strada principale verso il museo, che è ricchissimo di straordinari e immensi mosaici delle ville ellenistiche del 2° e 3° secolo appartenute alle facoltose famiglie della provincia romana di Siria. 
 
Antiochia, mosaico
Alcuni personaggi sono decisamente unici, deformi, personificano dei difetti o comportamenti sconvenienti. Uno scheletro invita a godere delle delizie della vita finché possibile, un “memento mori” da gaudenti. Mi ha ricordato una lezione universitaria di letteratura latina in cui il professor Cazzaniga, esimio latinista, evocava un teschio posto sulla spalliera del letto per incitare le amanti riottose a concedersi senza remore; pare non fosse abitudine infrequente tra i ricchi romani. Su una colonnina il re ittita Suppiluliuma I (re ittita del XIV sec. a.C.) ha un’espressione esterrefatta e la stele di re Arsuz ricorda un altro antico regno caduto nell’oblio, ma familiare agli studiosi di geroglifici Luwian.  Nell’odierna provincia di Hatay c’è una cittadina chiamata Arsuz.
Suppiluliuma


Da Antiochia scendo ancora a sud verso l’ultima città al confine meridionale con la Siria, Samandag, sia perché è sul mare e desidero vivamente tuffarmi di nuovo, sia per visitare il tunnel di Tito, opera romana notevolissima segnalatami dalla guida incontrata in autobus tra Adana e Gaziantep. Per vederlo bisogna prenotare un taxi o farsi 12 km a piedi tra andata e ritorno da Samandag. Date le temperature sempre infuocate opto per il taxi E’ veramente un’impressionante cunicolo tra due pareti di roccia a strapiombo, scavato a mano con picconi e asce da chissà quanti schiavi per farvi defluire gli impetuosi torrenti che scendevano dai monti al disgelo e minacciavano il porto di Antiochia, che allora era sulla costa[2].
 
Titus Tunnel
Tombe ipogee vicino al Titus Tunnel
Dopo poche decine di metri però il tunnel si restringe talmente in alto ed il terreno è così scivoloso e irregolare che nel buio è impossibile avanzare se non avendo una torcia. Tornando si sale verso un parco dal quale si arriva ad un sito archeologico con numerose tombe ipogee tardo romane di funzionari e persone altolocate, tra alberi contorti e cespugli.


Se lo scopo di vedere l’antico tunnel è raggiunto, non altrettanto soddisfatta è l’esigenza di nuotare: a vederla da lontano la spiaggia è spettacolare, la più lunga mi dicono della Turchia, si estende a perdita d’occhia ed è amplissima. Ma l’acqua è la più torbida e sporca che abbia mai avuto la sfortuna di vedere: c’è dentro di tutto, ma la materia più frequente è la plastica, plastica in tutti i formati, da brandelli di vari colori a bottiglie, bottigliette, sacchetti, bicchieri, cucchiai, e poi cartacce, tappi, eccetera. 
 
Samandag, spiaggia
La spiaggia è cosparsa adeguatamente di rifiuti: in inglese an eye-sore, una piaga per gli occhi. Un americano dinoccolato, unico straniero oltre a me, mi incita a non badarci e cercare di allontanarmi dalla riva per poi provare a nuotare. Non ci penso neppure e per 5 giorni mi limito a leggere e a passeggiare per chilometri cercando di raggiungere dune meno irrorate di scarpe rotte e bottiglie dove almeno bagnarmi le gambe. Penso alla meraviglia che il paesaggio deve essere stato 30/40 anni fa, forse meno. E suppongo che parte dei brandelli di plastica di lungo corso, sfilacciati e pallidi, possano provenire dalla vicina costa siriana, con priorità diverse dalla raccolta differenziata.
Cappadocia, vicino Goereme

Di nuovo riparto verso nord, obiettivo Nevşheir e la Cappadocia; mi sembra stupido trascurarla per la seconda volta, essendoci passata vicino senza visitarla nel 2013. E quando arrivo mi trovo in un’altra Turchia rispetto a quella finora attraversata, una Turchia europeizzata con molti turisti stranieri che quasi immancabilmente scelgono gli hotel scavati nella roccia o finti tali[3] con giardino e vista tipica, beninteso a tariffe occidentali. Io trovo un hotel più che decente a prezzi turchi, cioè a 11 euro, a Ürgüp, piccolo centro ben ubicato per raggiungere tutte le mete principali della regione e ricco di bei panorami e antichità da scoprire. 
Kiranlik Kilise, dalla cripta
Mete che, oltre a monumenti di roccia che sono capricci di natura e vallate come sculture gigantesche, racchiudono innumerevoli tesori d’arte, chiese affrescate e palazzi dell’epoca d’oro dell’impero ottomano, oltre a residui di opere infrastrutturali lodevoli come canalizzazioni d’acqua potabile del 1700. Oggi dappertutto in Anatolia si è costretti a bere acqua minerale. Spettacolari le vedute dei castelli di roccia di due cittadine, Ortahisar e Uçhisar, dove inaspettatamente trovo una fornitissima cantina; infatti le aree rurali sono solcate da filari di vigne quasi nane, data l’aridità dei suoli. I vini locali sono deliziosi, sia rossi che bianchi.  
 
Ürgüp,quartiere abbandonato
 Il parco archeologico-geologico di Zelve è una meraviglia: sembra un villaggio neolitico e invece fu abitato fino al 1952, un’altra Matera. A Göreme, la località più gettonata dai pullman turistici, c’è la Karanlik Kilise, (Chiesa oscura) dell’XI secolo, scavata nella roccia, che contiene dei preziosissimi e affascinanti affreschi non fotografabili. Riesco a carpire proditoriamente dalla cripta una mezza immagine di azzurrissimi lapislazzuli, la tentazione è troppo forte[4]
 
Cappadocia, paesaggio
La sera prima di lasciare Ürgüp, quasi per caso, scopro un intero quartiere antico abbandonato in via di restauro (con finanziamenti internazionali) con case ammonticchiate a ridosso di pareti a picco e una stranissima chiesa-cocuzzolo roccioso. Non c’è anima viva, forse l’ingresso è proibito; d’improvviso si materializza un agente di polizia di guardia che cortesemente mi fa da guida e mi conduce anche in un stranissimo ambiente: tre secoli fa era una stalla ed ora è una specie di santuario con un altarino in fondo con l’immagine di un ex prigioniero di guerra russo che dal 1711 al 1730 visse lì con il suo cavallo. Patetica la sua storia di schiavo dell’Agha, signore di Ürgüp[5].
Stalla-santuario del monaco russo (foglio bianco in fondo)


La visita a Kayseri è abbastanza deludente: a parte le mura possenti e una moschea interessante non c’è molto altro, dato che il “mausoleo girevole”, l’attrazione principale, è in restauro. L’ultima tappa in Cappadocia la faccio nella città sotterranea di Kaymakli,[6] scavata nella tenera roccia vulcanica pare dai Frigi nell’VIII/VII sec. a.C. Difficile pensare che dei cunicoli simili e stanzette claustrofobiche fossero dimora abituale di centinaia di persone.
Sorpresa! Gondola a Avanos, Cappadocia


In una giornata scendo dalla Cappadocia a Silifke per volgere i miei passi ormai a ovest sulla via del ritorno e, dopo una notte tranquilla nello stesso hotel già collaudato il mese precedente, ho la cattiva idea di provare a nuotare per qualche giorno in quel di Taşucu, a una decina di km da Silifke. L’acqua è pulita e c’è un pullmino frequente da e per Silifke, penso così di fermarmi per qualche giorno. L’ambiente balneare è anatolico, cioè ci sono molte donne in burkini con salvagenti a ciambella giganti e nessun spogliatoio. 
Zelve, Cappadocia, chiesa rupestre

Il secondo pomeriggio, per togliermi il bikini bagnato e vestirmi, mi infilo, dopo averlo segnalato al bagnino a gest,i n una specie di deposito aperto con una catasta di sdraio e ombrelloni, e per non farmi scorgere dai passanti mi raggomitolo a terra riuscendo a completare l’operazione con contorcimenti vari. Uscendo mi si para davanti un ragazzotto in calzoncini azzurri che mi chiede soldi. Naturalmente lo ignoro e dal momento che insiste gli rispondo bruscamente che ho già pagato il bagnino. Mi segue e si accanisce. Infine, mentre mi avvio sulla strada per prendere il pullman per Silifke, mi passa davanti e vedo che parlotta con l’autista appena arriva l’autobus. Mentre si è a mezza strada tra Taşucu e Silifke il pullman fa una brusca fermata: salgono dei poliziotti, mi adocchiano e mi fanno scendere, ci sono due vetture della polizia che sbarrano la strada. Vedo vicino ai poliziotti il tipo in calzoncini e immediatamente capisco che mi ha combinato un guaio. Dopo un’ora di fermo alla stazione della polizia ad opera di agenti unicamente turcofoni, il capo ha la buona idea di farmi parlare con un suo superiore anglofono di chissà dove che gentilmente mi informa che lo zotico in calzoncini mi accusa di essermi infilata nel deposito per rubare i suoi soldi, 300 lire turche, e si offre di chiamarmi un avvocato!! 
 
Verbale polizia in turco
Ci sono volute più di 5 ore tra perquisizioni intime[7], gita all’ospedale per verificare la mia buona salute (!), e l’ausilio provvidenziale di un locale insegnante di inglese strappato alla sua cena per far capire agli astuti agenti che il tipetto è un mascalzone bugiardo che ha fatto male i suoi calcoli. Alle ore 22.00 di quel sabato 3 agosto sono stata recapitata senza neanche adeguate scuse al mio hotel di Silifke dalla pantera poliziesca, digiuna e ribollente di rabbia contenuta. Naturalmente dopo un giorno di riposo in hotel me ne vado il lunedì seguente: la mia segnalazione del sopruso al consolato di Izmir non avrà risposta.
 
Cuoco zoticone a Aydancik: ho declinato una portata e lui mi si è seduto di fronte e se l'è mangiata! E me l'ha messa in conto. Costava poco, ho abbozzato, magari avrebbe chiamato la polizia!
Delle tappe seguenti lungo la costa ricordo Aydancik, una sosta tranquilla ( con cuochi zoticoni) per, finalmente, nuotare in pace, Alanya, troppo cara e turistica dove mi fermo solo una notte, per cui non riesco a visitare la fortezza, mentre la vera scoperta è Aspendos con il suo splendido teatro, di epoca romana ma progettato da un architetto greco, Zeno, nativo del luogo. Olympos è un’altra placida sosta, con un paesaggio da cartolina e un mare trasparente. 
Aspendos, teatro

Proseguo per Antalya, bellissima e calda, e di seguito a Demre, l’antica Myra, di cui visito il sito archeologico con un teatro ben conservato e coreografiche tombe-tempietto scavate nella roccia, per giungere poi a Fethiye che già conosco, dove riesco a trascorrere una piacevolissima giornata in barca (e di nuoto) in una cornice di isole rocciose e boschi, arrivando infine nella penisola di Datça. 
 
Demre, particolare

Qui ho il piacere di assistere all’unico spettacolo popolare di piazza con canti tradizionali turchi militanti e molto mediterranei, pieni di pathos, sotto la sorveglianza del volto dagli occhi di ghiaccio di Ataturk che partecipa dall’alto di uno striscione. Da lì prendo un traghetto per Bodrum (l’antica Alicarnasso) e poi per Kos, dove sosto due giorni prima di saltare su un aereo per Bologna alle 5 di mattina: fine di un pellegrinaggio mediterraneo-anatolico di tre mesi e mezzo ricchissimo di immagini, esperienze e sensazioni: un viaggio attraverso civiltà sepolte, nella bella frase di C.W Ceram/Marek. E inciviltà vive e vegete.

Demre, tombe scavate nella roccia


 
Isoletta davanti a Fethiye



 
Ortahisar, Cappadocia

[1] Si tratta di popolazioni che irruppero da ovest nel XII sec. a.C. all’epoca del collasso della società levantina dell’età del bronzo e delle città stato, popolazioni di area egea non ben definite, che si insediarono nel Mediterraneo orientale e ne cambiarono la fisionomia e le caratteristiche culturali. Vedi F. Braudel, Memorie del Mediterraneo e David Abulafia The Great Sea.

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Vespasianus_Titus_Tunnel

[3] Cioè gli hotel sono stati costruiti di recente su un fondo roccioso, non sono quelli tradizionali e autentici.

[4] https://www.petersommer.com/blog/archaeology-history/goreme

[5] https://www.revolvy.com/page/John-the-Russian (unico riferimento in inglese che ho scovato)

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Kaymakli_Underground_City


[7] Fortunatamente non porto mai soldi in spiaggia e la poliziotta verifica che ho addosso la favolosa somma di 7 lire turche, cioè poco più di 1 euro! Guarda anche ripetutamente dentro la borraccia che ovviamente contiene solo acqua.

lunedì 9 dicembre 2019

VIAGGIO A CIPRO E TURCHIA: ANATOLIA (2)


ANATOLIA: SULLE ORME DI ANTICHE CIVILTA’(2)

Panorama montagnoso visto dal Monte Nemrut, provincia di Adyaman
 
L’impressione che la visita a Şanliurfa lascia su chi la visita con occhi e spirito aperti è così profonda e coinvolgente che ogni disagio, compreso una temperatura infuocata, diventa trascurabile: tesori archeologici, artistici e religiosi di alto valore simbolico si susseguono l’uno accanto all’altro, alcuni risalenti ai primordi del neolitico preceramico e all’epoca della scoperta dell’agricoltura, della scrittura, delle prime sepolture umane. Siamo in piena Mezzaluna Fertile, quell’arco ideale che va da Gerico in Palestina fino a Basra in Siria, inarcandosi a nord appena sopra Şanliurfa, dove si trova il tempio più antico del mondo, Göbeklitepe (9600/8000 a.C.)[1], ben anteriore alla domesticazione degli animali che attraversa tutto il 7° millennio. E’ un monumento di inestimabile valore antropologico e storico, assai poco noto però anche a chi viaggia in Turchia. Quanti sanno che Şanliurfa è la città chiamata Ur nella Bibbia? Poi divenne l’Edessa romana e nel Medioevo la capitale di un importante regno crociato per più di un secolo.[2]
Goebeklitepe
Per prima cosa, deposta la valigia in un hotel trovato a caso, vado al Museo Archeologico, che racchiude reperti eccezionali, tutti provenienti dagli scavi di Göbeklitepe: appena dopo l’ingresso mi imbatto in una statua dagli occhi di ossidiana; secondo la scarna didascalia è “la più antica” mai trovata (nel mondo?). In una sala c’è un diorama molto ben fatto che ricostruisce l’ambiente preistorico locale: si suppone che le prime sepolture umane della zona fossero scavate dentro le proprie case, e che le ossa e soprattutto i crani venissero raccolti e successivamente riseppelliti in altre strutture (collettive?).
Pilastri di Goebeklitepe al Museo Archeologico

Una grande sala ospita una ricostruzione con i pilastri meglio conservati del tempio di Göbeklitepe (che visito il giorno successivo): sono disposti in cerchio e offrono un colpo d’occhio che quasi ti sopraffa’, con i loro sei metri di altezza e le loro sagome a T – umanizzate - sui cui fianchi sono scolpite raffigurazioni stilizzate di serpenti, tori, volpi, uccelli. L’area del tempio si trova a circa 20 km dalla città: gli scavi iniziarono negli anni ’60 del 1900. Il responsabile degli scavi, il professor Klaus Schmidt, intendeva di proposito portarne alla luce una minima parte per lasciare alle generazioni future il compito di portarlo alla luce con tecniche più sofisticate. 
La statua "più antica"
 La funzione del sito non è chiara –si ipotizza che fosse un santuario di montagna - ma esso fu abbandonato intenzionalmente e interrato nel corso del 7° millennio. Al Sultantepe, altro sito archeologico tardo-assiro 15 km a sud di Şanliurfa, sono state scoperte tavolette in caratteri sumerici con l’epopea di Gilgamesh, la famosa epopea della creazione[3], alcune delle quali sono esposte nel museo. Mi ci fermo davanti in doveroso raccoglimento prima di fotografarne una, e così facendo mi sembra di stuprarla. Ma subito l’attenzione è sviata verso una statuetta stupenda che mostra un ometto neolitico con gli occhi rivolti al cielo: un visionario, un pensatore? 
 
Il" pensatore"
Un ammasso di chiodi conici di argilla della cultura Uruk[4], del 4° millennio, trabocca da anfore ritte o rovesciate: servivano come decorazione, conficcati in pareti di argilla ancora molle di case forse patrizie; le capocchie venivano colorate e disposte a seconda dell’immagine desiderata. A Uruk-città si insegnava la scrittura cuneiforme in speciali “tablet-houses” chiamate Edubba. In una tavoletta esposta nel museo c’è un rituale “per fare dei bei sogni”. Peccato che non ci sia la traduzione! Una carrozzina giocattolo di un bimbo vissuto millenni fa non può non intenerire, si trova accanto al massiccio frammento di basalto di un Pegaso la cui sagoma disegnata sulla parete lo sovrasta, e poi ecco la stele di re Nabonide (556–539 a.C.)[5], il re neo-assiro e l’epigrafe con la sua testimonianza:
 
Carrozza giocattolo neolitico
 “Io, Nabonide, ultimo re caldeo-babilonese, non avevo nessuno (potente), la regalità non era in me. Ma gli dei e le dee pregarono per me e Sin[6] (dio della luna nelle religioni mesopotamiche) mi chiamò a sé…nel tempio di Sin nella città di Harran[7] (e mi disse) a te affido tutta la terra”. Uscendo con la testa ronzante e turbata da tante immagini pregnanti non posso che dimenticare l’ombrello che uso per proteggermi dal sole, che dovrò recuperare l’indomani in taxi prima di andare a contemplare “the real thing”, il tempio di Göbeklitepe.
Stele di Nabonide

Data la distanza e il traffico la visita mi riempie la mattinata. Il sito archeologico, non affollato, consiste in un colle scosceso nel mezzo del quale in un ampio cratere sorgono le rovine, un coacervo di pilastri a T scolpiti con animali-totem e mucchi di pietre, cinto da un reticolato sottile intorno al quale si gira per coglierne la complessità e la maestà. Raccolgo un ciottolo rosato appena esterno alla recinzione a perpetua memoria. Di fronte al colle si allunga una pianura coltivata a perdita d’occhio.
Nel pomeriggio torno ancora una volta nei pressi del Museo archeologico perché mi sono tardivamente accorta che accanto c’è un altro fabbricato con bellissimi mosaici, mancato il giorno precedente. 
 
Mosaico, Sanliurfa
Tornando vado al parco principale di fronte alla cittadella che sovrasta la città da uno sperone roccioso, dove non mi arrampico data la temperatura. Ma nel parco ci sono altri tre siti-richiami eccezionali: la cosiddetta “grotta di Abramo” (Ibrahim in arabo e in turco), dove secondo la leggenda nacque il profeta, il Balıklıgöl, ovvero lo stagno dei pesci sacri, e l’antica Halil-ur-Rahman Mosque, che costeggia il bacino e vi si specchia. Abramo sarebbe nato nella grotta perché lì fu nascosto dalla madre in qu
anto al re Nimrod era stata profetizzata la nascita di un bambino che da adulto avrebbe distrutto gli idoli e quindi anche il suo potere, per cui il re avrebbe ordinato lo sterminio di tutti i neonati. 
 
Balikgoel, stagno sacro
Abramo sarebbe uscito dalla grotta solo a 15 anni, dopo di che incorse egualmente nelle ire regali poiché conquistò il cuore di sua figlia. Il re lo condannò a morire su un rogo, ma le fiamme si trasformarono in acqua (lo stagno) e i legni ardenti in carpe, le cui discendenti tuttora guizzano a frotte nella lunga vasca rettangolare[8]. Inutile forse far notare che la leggenda appare un copia-incolla della strage degli innocenti, con il nascondiglio cavernicolo rimpiazzato dalla fuga in Egitto. Si entra nella grotta attraversando un’altra moschea; la cavità sottostante è protetta da un vetro, e non posso avvicinarmi troppo poiché davanti al vetro ci sono donne velate accovacciate in preghiera, ma si intravede l’arco della caverna e poi oscurità. Mah, chissà se qualcuno c’è nato, e chi….
Grotta detta di Abramo

Sazia di storia e leggende l’indomani proseguo per Diyarbakir, luogo che da tempo desideravo conoscere anche per l’importanza che riveste per il mondo curdo turco. La città sorge su un piedistallo di basalto che domina una fertile lingua di terra dove scorre il Tigri, chiamato in turco Dicle, così come l’Eufrate è il Firat. Le sue origini risalgono ad almeno 5000 anni fa; divenne romana quando Traiano vi sconfisse i Parti nel 115 d.C. Costantino la circondò delle mura che pur restaurate durante il periodo islamico-ottomano tuttora sfidano i secoli: sono bellissime, con possenti bastioni ed è possibile anche camminarci su, a tratti. Hanno una forma romboidale e quattro porte (gates). 
 
Strada a Diyarbakir
Attraversato il centro, si giunge ad un punto dal quale si scorge il Tigri, mentre immediatamente sotto le mura si stendono i famosi giardini Hevsel coltivati a ortaggi e frutta da 8000 anni ininterrottamente, come riportato dal dépliant fornito dall’albergo. Sono rinomati i cocomeri del luogo, anche se devo ammettere che mi sono venuti in uggia in quanto sono una perenne immancabile presenza non solo nei mercati ma anche a tavola, dalla colazione alla cena. Una costante architettonica di Diyarbakir sono moschee, muraglie e edifici di pietra a fasce di pietra bianca e nera (basalto), una città tutta juventina. 
 
Han a Diyarbakir
Bellissima la Ulu Cami, la Gran Moschea selgiuchide del 7° secolo anch’essa juventina, con una grande meridiana nella corte, ideata da un famoso ingegnere, Al Jazari.  Famoso e credo unico il minareto quadrato a 4 zampe (four-legged minaret), Dört Ayakli Minaret e come sempre interessante il museo, con reperti del paleolitico, ricostruzione di ambienti preistorici e fossili strani.
Minareto quadrato

 Da Diyarbakir ritorno verso ovest per dirigermi a nord verso un altro imperdibile sito archeologico, il Nemrut Daği (monte Nemrut), e Arsameia al Nimphaios, capitale del regno ellenistico di Commagene (fondato nel 163 a.C.) così denominata da re Arsames, regno anche questo che fu inglobato dall’impero romano ai tempi di Tiberio. Per visitarlo la base più vicina è la cittadina di Kâhta, nella provincia di Adyaman, da dove è imperativo prenotare una escursione guidata perché la zona è impervia oltre che brulla e desertica; non esiste alcun trasporto pubblico verso la zona archeologica, molto complessa ma magnifica e stranamente poco conosciuta rispetto alla super turistica Cappadocia più a nord. Consiglio agli eventuali viaggiatori di prenotare una guida professionale, poiché l’autista-guida fornito dall’unico hotel di Kâhta è un autista affidabile, ma in quanto a guida lascia molto a desiderare. E’ possibile trovare buone guide ad Adana e fare un’escursione in giornata, anche se credo risulti abbastanza faticosa.
Karakush, stretta di mano Mitridate-Laodice

La prima tappa dell’escursione è la visita al Karakush tumulus, la tomba della famiglia reale di Commagene costruita da Mitridate II: sul tumulo alto 35 mt si ergono tre colonne, una delle quali, la centrale che guarda a sud, è sormontata da un’aquila, simbolo Commagene: karakush significa infatti “uccello nero” in turco. Le altre due colonne hanno alla sommità rispettivamente un toro e un leone: una di esse reca un bassorilievo con re Mitridate che stringe la mano alla sorella Laodice.
Poi si attraversa a piedi il ponte romano[9] a schiena d’asino costruito sul fiume Cendere dalla XVI legione in onore di Settimio Severo, di sua moglie Giulia e dei due figli, Caracalla e Geta, cui furono dedicate quattro colonne, due all’ingresso del ponte e due alla fine; oggi se ne vedono 3, perché salito al potere Caracalla fece assassinare il fratello Geta e ne fece abbattere la colonna. 
Ponte sul Cendere

Si prosegue al santuario di Eski Kale, dove su un ripido viottolo ci si arrampica fino ad una stele e una grande iscrizione in caratteri greci, l’unica del genere in tutta l’area. E vicino a un tunnel, usato come magazzino, c’è una grande incisione sulla roccia con Mitridate I che stringe la mano ad Ercole, simboleggiante l’alleanza di due discendenze, quella persiana-orientale e quella greca-occidentale. In cima all’altura sorgono i resti della città di Arsameia, le sede estiva dei re di Commagene. 
 
Arsameia, Mitridate e Ercole
Infatti siamo ormai tra montagne che più desertiche e selvagge non potrebbero apparire. L’ultima tappa e la meta principale dell’escursione è il monte Nemrut, una delle visioni più affascinanti e cariche di mistero di tutto il viaggio. Dopo una lunga ascesa dalla base dove si trova la biglietteria, il sentiero si biforca tra il terrazzo a ovest e quello a est[10]. E’ lo Hierothesion, il santuario che Antioco I Commagene (69/34 a.C.) dedicò alla celebrazione dei suoi antenati persiani e al connubio con l’eredità greco-ellenistica: sullo sfondo dello spiazzo si ergono dei troni in fila e ivi assise figure reali-divine i cui tronchi sono parzialmente ritti, ma le cui teste sono rotolate a terra, e ti fissano ancora rotondi nelle orbite di pietra, tra simboli zoomorfi come aquile e leoni, a terra anche essi. 
Nemrut Dag, Western Terrace


Sono teste enormi e così decapitate ancora più impressionanti, nella luce rosa azzurrina del tramonto e del rapido crepuscolo. La testa d’aquila rappresenta un dio persiano, ma ci sono anche Cerere e Apollo/Mithra/Helios/Hermes, a testimoniare di nuovo il sincretismo sottolineato nell’incisione di Eski Kale, l’incontro delle due culture ellenistica e persiana. Rimpiango solo di non avere avuto una guida all’altezza dell’importanza e complessità del sito archeologico, al momento della visita.
Nemrut Dag, Eastern Terrace

L’indomani mi riposo nel giardino dell’albergo tutto il giorno, e il lunedì parto per Antiochia nella provincia dell’Hatay, a sud, una galoppata che in autobus dura dalla mattina alla sera.


Cgiodi di argilla per decorazioni, 4° millennio a.C., museo di Şanliurfa

Foro di proiettile a Diyarbakir, lasciato nel 2016 durante l'assalto turco subìto dal Kurdistandopo il "golpe Gulenista"

Il Tigri sotto Diyarbakir. Accanto a sinistra una torre che fa parte delle mura di cinta




[1] La famosa etichetta di “Mezzaluna fertile” è dovuta all’egittologo J.H. Breasted.
[2] Il prefisso “Ur” in tedesco indica le origini, qualcosa di ancestrale.
[3] http://www.istitutocintamani.org/libri/GILGAMESH.pdf
[4] La città-stato di Uruk si trovava vicino all’Eufrate, nel territorio dell’odierno Irak.
[5] https://en.wikipedia.org/wiki/Nabonidus_Chronicle
[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Sin_(mythology)
[7] Città tuttora esistente, 4 km a sud di Şanliurfa
[8] https://theculturetrip.com/europe/turkey/articles/the-carp-fish-at-this-holy-sight-in-urfa-are-sacred-and-heres-why/
[9] C’è un moderno ponte e l’auto passa su quello.
[10] In teoria ci dovrebbe essere anche quello settentrionale, ma sinceramente non lo trovo, e l’autista-supposta guida è rimasto al caldo nel bar-ristorante vicino alla biglietteria. Fa freddo ed annotta, quindi mi affretto a scendere. Siamo a 2200 mt di altezza.