IL SERPENTE DEL PACIFICO: IL CILE
SUR CHICO E SUR GRANDE (PATAGONIA)
Vulcano Villarrica (foto mia) |
Villarrica accoglie i viaggiatori col suo
spettacolare cono vulcanico innevato e ancora attivo adagiata sulla riva del terso
lago omonimo, biglietto d’ingresso per una delle regioni più frequentate e
turistiche, quella di Los Lagos: si tratta
di un’area disseminata di laghi di origine glaciale oltre che di vulcani. E’ la
vicina Pucón, la cui spiaggia lacustre brulica di gente e di ombrelloni, ad
assorbire il grosso dei visitatori, anche perché l’ascesa al vulcano si compie
da lì, mentre Villarrica è molto più tranquilla e godibile, come anche Lican Ray, sul lago Calafquén,
raggiungibile con autobus pubblici. Anche a Lican Ray c’è una bella spiaggia, l’acqua
è fredda ma limpida, le rupi scendono sul lago quasi a picco ramate di verde e nuotare
nell’azzurro di fronte ai profili viola delle montagne all’orizzonte è divino.
Lican Ray (foto mia) |
Durante il
mio soggiorno il centro culturale Mapuche di Villarrica aveva organizzato un festival; il tono mi è sembrato
un po’ folkloristico ma ho approfittato dell’occasione per parlare con
un’anziana donna Mapuche ingioiellata che mi ha parlato della loro lotta per
non farsi depredare degli ultimi territori in cui vivono e per continuare ad
affermare il diritto alla loro alterità, lingua e cultura: sono circa 100 i prigionieri
politici al momento e 21 le persone recentemente assassinate o scomparse. Di
alcune di esse ho parlato nella prima puntata[1].
Secondo i dati del censimento del 2002 il loro numero era all’epoca di poco più
di 604.000[2].
A sud di
Villarrica non si può omettere di visitare Valdivia, regione di Los Rios, sia per la città, interessante
con il suo museo storico- antropologico e per la bella posizione alla
confluenza di due fiumi, sia per i suoi dintorni.
Spiaggia di Curiñanco vista dal Parco |
Ho trascorso una domenica
mattina incantevole in un villaggio che dista circa un’ora di autobus da
Valdivia che ha un brutto nome, Curiñanco, ma vanta una splendida spiaggia e un
magnifico piccolo parco montuoso a picco sul mare. Il custode Mapuche si vanta
di quell’area affidata alle cure della sua comunità: ha quasi 70 anni, ma i
capelli sono nerissimi e il viso è liscio: è la nostra razza, dice. Al ritorno
visito uno dei numerosi forti spagnoli affacciati tra mare e fiume, ma la
mascherata di guardie abbigliate in pseudo costumi d’epoca mi sembra una
grottesca pagliacciata e rimpiango il tempo perso. Tempo che spendo più
utilmente al Museo Maurice van de Maele, lussuoso palazzo ex privato costruito
nella decade del 1860 da un migrante tedesco baciato dalla fortuna che fondò la
prima birreria artigianale, Carlos Anwandter[3],
membro di una nutrita colonia tedesca tuttora numerosa non solo nella regione
di Los Rios, ma nel sud del Cile,
dove le birre locali sono senz’altro più gettonate del pur ottimo vino cileno (molto
meno caro tra l’altro).
Ascia ricurva Mapuche |
Le collezioni
di arte Mapuche del Museo sono ricche e ben descritte: la foggia dei gioielli
femminili rispecchia (come la tessitura) la loro situazione familiare e
sociale. Ad esempio, il keltatuwe,
una specie di pettorale d’argento, può portare 3 mezzelune, il che indica la
presenza di 3 figlie che vivono con i genitori.
Keltatuwe (dietro alla collana) |
Si confeziona quando il ciclo
della maternità è concluso e la donna che lo indossa ha almeno 46 anni. Mi
sorprende le dimensioni della toilette del museo: nulla è stato alterato nella
ex magione Anwandter e il bagno è grande quanto una sala da pranzo.
Chiacchierando con la custode apprendo che uno degli scopi dell’immigrazione
dal nord d’Europa secondo il neonato stato cileno era “il miglioramento della
razza”, testuali parole: intanto procedeva l’assoggettamento e l’annientamento
delle “razze” autoctone.
Continuo la rotta a sud: scartato il
turistico Puerto Varas, scelgo Entre
Lagos, piccolo centro pittoresco situato all’imboccatura del fiume
Pilmaiquén, sulla riva del lago Puyehue
e a poca distanza da un altro lago, il Rupanco. Quando arrivo è domenica quindi
la spiaggia piuttosto stretta è gremita di famiglie numerose: noto una ripresa
d’acqua circondata da reticolati e protetta da guardie. Serve ad alimentare una
centrale idroelettrica a valle ed è recente, mi dicono. E’ l tipo di furto di
risorse denunciato dai Mapuche; la lotta contro una centrale idroelettrica è
costata la vita a Macarena Valdés[4].
Selva Valdiviana a Aguas Calientes |
Il giorno seguente faccio una gita a Aguas
Calientes, nella Riserva Nazionale Puyehue. La località termale si rivela
deludente in quanto la vasca è piccola, l’acqua bassa e affollata di paciosi e
ventruti frequentatori ambosessi, ma in compenso non lontano c’è un sentiero
ben segnato che attraverso il bosque
valdiviano[5]
conduce a una vetta dalla quale si scorge un lago. Bellissima (e faticosa) escursione
solitaria.
Da Entre Lagos scendo attraverso Osorno e Puerto Montt all’isola grande dell’arcipelago di Chiloé (che significa “il posto dei
gabbiani”) e mi installo nel capoluogo Castro, ubicato in una posizione
centrale dalla quale è facile raggiungere le altre località.
El Trauco (website: arescronida.png) |
Sull’autobus
incontro un’insegnante di scuola elementare che da molti anni insegna a
Chonchi, cittadina vicina a Castro,
che mi fa intravvedere un aspetto dell’isola ben lontano dall’icona idilliaca
delle guide turistiche. Secondo lei ci sono vari casi di incesto con ovvia
conseguenza di gravidanze precoci; l’AIDS è presente ma rappresenta ancora un
tabù di cui non si parla, e cita una figura che fa parte del folklore locale, il
Trauco. Costui è una specie di gnomo
maligno, deforme e lubrico che vive nei boschi dove rapisce e stupra le
ragazzine inermi che si avventurano sole nella selva. Secondo lei è un caso di “invenzione
della tradizione” per giustificare e far accettare socialmente queste
gravidanze inopinate.
El Caleuche (vascello fantasma) |
Oltre al Trauco
c’è tutta una serie di personaggi fantastici e decisamente sinistri, molti
femminili, che fanno parte del folklore locale, i cui nomi apprendo girando nel
parco nazionale di Chiloé, nella parte occidentale dell’isola, vicino a Cucao, il cui bosco è disseminato di
pannelli di legno che li raffigurano e ne illustrano caratteristiche e
attività: la Pincoya, el Millalobo, el
Caleuche, la Viuda, el Camahueto, el Cuero ecc. Personaggi dei racconti
d’inverno accanto al fuoco, quasi tutte figure abbastanza minacciose[6].
Il clima è solitamente nebbioso e umido, ma sono fortunata: dopo un giorno
grigio irrompe un sole inaspettato e bruciante in un cielo sgombro del più
piccolo cirro.
Chesa di san Francesco, Castro |
Dell’isola oltre alle bellezze naturali
e il folklore è famosa la Scuola Chilote
di Architettura Religiosa in legno: ogni piccolo centro ha la sua chiesa,
ciascuna marcatamente caratterizzata e di colore diverso. Tormentata e quasi
incredibile la storia della chiesa di san Francesco a Castro: costruita nel
1568, distrutta nel 1606 durante un’incursione del pirata olandese Baltasar de
Cordes, ricostruita per soccombere a un incendio durante l’assalto di un altro
pirata olandese, Hendrick Brouwer[7]
nel 1643, ricostruita nel 1657 ma di nuovo distrutta dal fuoco nel 1772.
Incredibilmente prende fuoco di nuovo nel 1857, e si specifica nella nota
illustrativa, “a pesar de los cuidados”
(malgrado le attenzioni!!). Fu ricostruita per subire un nuovo incendio nel 1902
durante il quale bruciò anche la biblioteca. Da allora pare che la sorte le
abbia arriso. Ho annotato religiosamente il calvario della chiesa, ricoperta di
scandole in legno giallo canarino. Anche le altre chiese e quasi tutte le case
di Castro (e dell’isola intera) hanno lo stesso stile, sono basse con facciate di
legno color pastello, con un tocco di fiabesco.
Casetta di Castro |
Nel piccolo museo di Castro mi
colpisce un’incisione d’epoca: un uomo in mezzo a un campo ara spingendo un
aratro rudimentale con il petto, la didascalia dice “arado de pecho”, aratro
spinto con il petto! Si può immaginare una fatica peggiore nei lavori agricoli?
Risale alla stessa epoca della famosa spedizione del Beagle, tra il 1826 e il 1836, che aveva a bordo Darwin. Accanto c’è la foto di una
famiglia Yagan, scattata durante una missione scientifica a Capo Horn,
1882-1883. Gli Yagan sono tra i
popoli spazzati via dalla colonizzazione della Patagonia e della Terra del
Fuoco.
A Chiloè
decido che è ora di andare per mare – la Patagonia
cilena è frammentata in un intrico di isole, canali e penisole – e con
biglietto della Naviera Austral
scelgo un tragitto breve, poco più di 12 ore, da Quellón, punta meridionale di
Chiloé, fino a Puerto Cisnes,
Regione di Aysén, Patagonia settentrionale. Partenza ore 17.30, arrivo alle 6
di mattina. Sulla nave, in coperta, passo ore affascinanti fino a che scende il
buio: il tempo è bellissimo, l’aria limpida e davanti ai miei occhi sfila uno
spettacolo di ghiacciai, vulcani (caratteristico il Corcovado che termina con un torciglione) e montagne che sorgono da
un oceano Pacifico calmo e blu come un angolo di Caraibi, con un cielo dai riverberi
cangianti e vellutati fino a ben dopo il tramonto.
Verso Puerto Cisnes |
Mi indica il nome delle cime
innevate un giovane palombaro: sta andando a lavorare nelle salmoneras
che sono sorte un po’ dappertutto in Patagonia. Fa contratti di due o tre
mesi intensivi, il suo compito consiste nella manutenzione e riparazione delle
gabbie che contengono i salmoni in mare aperto. Quando faccio il bagno a Puerto
Cisnes noto che l’acqua non è limpida e la signora del ristorante dice che
questo accade da quando hanno installato gli allevamenti industrial di salmone.
Scopro così un ennesimo capitolo di sfruttamento irresponsabile delle risorse
naturali cilene. Uno dei maggiori allevatori è il marchio internazionale Marine
Harvest, che contribuisce a distruggere
sia la fauna endemica del Pacifico sia l’ecosistema marino. Le uova di salmone
sono importate dalla Norvegia, quindi la specie non è adatta all’ambiente; i
salmoni sono nutriti con pellet imbottiti di antibiotici, buona parte dei quali
si disperde in mare e ne provoca la contaminazione, con sviluppo di ceppi antibiotico-resistenti.
In più la fuga di salmoni dalle gabbie, esposte a fortissime correnti – evasione
di 900.000 esemplari nel luglio 2018 - implica che rare specie della fauna
endemica siano preda dei salmoni allogeni che ne aggravano il pericolo di
estinzione; il fondo marino viene contaminato da nuovi virus e parassiti
importati e la pesca artigianale è pesantemente danneggiata[8].
Ventisquero Colgante, Parque Queulat |
Puerto Cisnes
è vicina a una bella riserva nazionale, il Parque
Queulat, da dove si può salire attraverso un folto bosco per ammirare quel
che resta del Ventisquero Colgante, cioè il ghiacciaio pendulo, o meglio ex-pendulo,
dato che la porzione di ghiacciaio che scendeva a coprire gran parte della parete
di roccia è ormai sparita, e in cima alla montagna si intravvede solo una
specie di cappellino azzurro iridato da cui precipita una fragorosa cascata. Mi
informa del disastro un escursionista di Osorno che va per ghiacciai da 25
anni: “Fino a 20 anni fa d’estate qui c’erano iceberg che cadevano dall’alto
nella laguna sottostante, non acqua”. Dato che è un esperto della zona mi parla
del meraviglioso ghiacciaio O’Higgins,
vicino a Villa O’Higgins, dove, dice
la Lonely Planet, “finisce la Carretera
Austral”, e mi invoglia a vederlo.
Per arrivarci
occorre andare a Coyahique e di là
proseguire a est verso la cordigliera.
Quindi prendo un autobus alle 5.30 del mattino per Coyahique
ripromettendomi di fare una puntata a Puerto Rio Tranquilo, meta
imperdibile secondo il palombaro, per poi raggiungere Villa O’ Higgins da dove
calcolo di avere il tempo di fare un’escursione al ghiacciaio prima di raggiungere
Puerto Natales e quindi Punta Arenas, in tempo per prendere
l’aereo per Santiago (in coincidenza con il ritorno in Italia). Stolidamente
non controllo bene la rete stradale della Patagonia e presumo che Villa O’
Higgins e Punta Arenas siano collegate direttamente.
Lago General Carrera a Puerto Rio Tranquilo (foto mia) |
Appena arrivata a Coyahique trovo un autista
di pullmino privato con solo altri due passeggeri che allo stesso prezzo
dell’autobus pubblico si offre di trasportarmi subito a Puerto Rio Tranquilo, a
circa 4 ore di macchina e accetto. L’asfalto finisce a Coyahique, c’è solo una
pista polverosa, bellissima dal punto di vista panoramico, e comincio a
rendermi conto che la Patagonia è un’altra cosa dal resto del Cile.
Raggiungiamo la meta nel tardo pomeriggio: il luogo pur piccolo pullula di
turisti ed è difficilissimo trovare un alloggio, l’offerta alberghiera è limitata,
e riesco solo a trovare l’ultima stanza libera nell’hotel più caro. L’indomani soffia un vento furioso e mi passa
la voglia di vedere le Catedrales de Marmol, l’attrazione maggiore
del posto, che consiste in scogli e isolette calcaree modellate dall’erosione
eolica e idrica in architetture suggestive che si specchiano nell’azzurro del lago General Carrera[9].
Catedral de Marmol (foto website) |
E presto mi rendo conto di essere in trappola: Villa O’ Higgins, comunque
difficilmente raggiungibile, è un finis terrae oltre il quale non c’è nessuna
strada verso sud. L’unica via di terra per Puerto Natales parte da Coyahique e passa
per l’Argentina, i posti si prenotano con grande anticipo. Inoltre la strada che
scende verso sud da Puerto Rio Tranquilo verso Cochrane e Caleta Tortel è interrotta per un incendio e
di conseguenza ci sono prenotazioni a bizzeffe per l’unico bus che risale a nord
per Coyhaique. Rischio quindi di marcire in riva al lago e perdere ambedue gli
aerei del ritorno. L’ufficio informazioni non sa darmi suggerimenti per trarmi
d’impaccio.
Ritornando mestamente verso l’albergo incrocio una macchina che
dalla scritta sulla portiera deduco appartenga a un’agenzia viaggi: la fermo e
chiedo sgomenta al conducente e titolare dell’agenzia se sa dirmi come
raggiungere rapidamente Puerto Natales. Molto gentilmente capisce la situazione
critica e telefona a un collega che sentenzia che l’unica chance che ho è
prendere la nave Transbordadora Austral
che parte ogni sabato da Caleta Tortel per Puerto Natales. E’ giovedì
pomeriggio, e l’unica opportunità di non mandare a puttana il viaggio è
assicurarmi il biglietto per il sabato successivo. Telefonate accorate tramite
Skype convincono un diffidente impiegato della Trasbordadora Austral a riservarmi eccezionalmente per telefono e
senza caparra una sedia sulla nave per il sabato successivo da Caleta Tortel,
ma per farcela devo partire obbligatoriamente l’indomani mattina per Cochrane,
tappa obbligata per Caleta Tortel. C’è solo da sperare che l’incendio che
infuria da due giorni sia domato per tempo. Le fiamme recedono e alle 3 del
pomeriggio di venerdì si parte per Cochrane, dove trovo un bugigattolo di
stanza disdetta da qualcuno all’ultimo minuto.
Paesaggio vicino a Cochrane (foto mia) |
Il s Sabato mattina a Caleta Tortel,
luogo senz’altro delizioso con il bel tempo, piove a dirotto: è una minuscola
cittadina costruita su delle palafitte, sembrano trampoli, ci sono solo camminamenti
e scale di assicciole di legno: una scala di duecento gradini almeno scende al
molo. L’ufficio della Trasbordadora Austral è una stanzetta ingombra di bagagli
dei viaggiatori, quasi tutti enormi zaini, il mio biglietto (solo contanti) come
straniera costa più del quadruplo della tariffa cilena.
Meraviglia: la nave
arriva puntuale alle 10.00 di sera: dopo due notti e due giorni di navigazione
si attracca finalmente a Puerto Natales, dove la grande attrazione sono le
montagne incantate Torres del Paine.
Grande attrazione che mancherò: sulla nave incontro una coppia di Punta Arenas
di ritorno da una vacanza in Argentina che possiede una cabaña da affittare a
13 km da Punta Arenas. Non mi pare vero di trovare sia un passaggio gratis in
auto che un alloggio fino alla partenza. Il paesaggio nel tragitto da Puerto
Natales a Punta Arenas è piuttosto monotono, credo assomigli a quello della
Patagonia argentina: piatto con grandi greggi (non mandrie come a Osorno) al
pascolo. Unica emozione: un condor sulla strada (asfaltata): non mi volto in
tempo alla segnalazione del conducente e me lo perdo. Mi consolo ripensando
allo huemul (un particolare cervo)
fotografato nel tragitto per Puerto Rio Tranquilo, ai numerosi chucao, una specie di grosso pettirosso,
osservati nel Parco Queulat e ai bandurria
di Entre Lagos, grandi uccelli lacustri[10].
Caleta Tortel con schiarita (foto mia) |
Stretto di Magellano a Rio Seco, Punta Arenas |
Dalla cabaña
che affitto per l’ultima settimana in Patagonia a Rio Seco, di fronte allo Stretto di Magellano, si vede il basso
profilo dell’Isola Grande del Fuoco
e di notte le luci di Porvenir, città
al di là dello Stretto, ma rinuncio alla traversata per un programma più
tranquillo di visite ai numerosi musei di Punta Arenas. Città questa ventosissima,
tanto che una mattina mi metto in tasca dei ciottoli e ne metto altri nello
zaino per essere sicura di non essere sbattuta a terra. [11].
Al Museo Regional de Magallanes mi si svela
un nuovo capitolo della colonizzazione della Patagonia. Vi si illustra l’ascesa
sociale dei vari avventurieri che ne depredarono le ricchezze e distrussero culture
che in quel clima ostico erano sopravvissute per millenni. In primis José Menendes, asturiano di famiglia
modesta che emigrò a Cuba, poi in Argentina e si stabilì a Punta Arenas nel
1874. Fu tanto abile negli affari che gli fu affibbiato il nomignolo di re
della Patagonia: investì in bestiame, commerciò in pelli e piume di struzzo “acquistate”
agli indigeni Tehuelches in cambio di beni di consumo cui questi non erano
abituati, come gli alcolici, il che contribuì alla loro disintegrazione culturale,
morale e infine fisica; costruì un impero commerciale diventando anche armatore
e arrivando a possedere 430.000 ettari nell’Isola Grande del Fuoco. José Nogueira, portoghese, si arricchì
cacciando leoni marini e sfruttando i filoni auriferi della Terra del Fuoco,
approfittando della grande libertà di sfruttamento di risorse e del commercio,
diventò anche lui armatore e sposò Sara
Braun, figlia di un altro immigrato, Elias
Braun, russo, arricchitosi col commercio al minuto, nel settore alberghiero
e nell’estrazione di carbone. José Nogueira e Sara Braun fondarono la maggiore
impresa di bestiame della Patagonia su un milione di ettari di terra: la Sociedad
Exploradora de la Tierra del Fuego. Ad un angolo della Plaza de Armas
c’è un museo più piccolo, il Palazzo Sara Braun, costruito da quest’ultima
ormai vedova, traboccante di preziose porcellane, mobili di pregio e arredi
preziosi, progettato e costruito da un architetto francese.
Monumento ai popoli sterminati a Punta Arenas |
Per contrasto, il Museo Regionale Salesiano, oltre a
curiosità come le feci fossili di un milodonte, animale estinto della megafauna
dell’ultima glaciazione proveniente dalla famosa Grotta del milodonte e una riproduzione della “Grotta delle mani” (Cueva de las manos), con le impronte di
mani di migliaia di anni fa, presenta una triste rassegna dei popoli fuegini
scomparsi. Aoniken o Tehuelches, Onas/
Selk’nam e Haush, Yagan e Alacalufes, nomadi terrestri o nomadi acquatici in
canoa: tutti sterminati, spazzati via dalla cupidigia degli accumulatori di
patrimoni. Coloro che si rifugiarono nelle Missioni religiose morirono
egualmente di malattie e di sradicamento[12].
Penose le coperte o le cuffiette ricamate da donne Yagan o Selk’nam rifugiate
nelle Missioni: da una vita libera nella natura alla gabbia di una cultura
imposta.
L’ultimo Museo
che visito è quello navale: un’intera sala è dedicata alla memoria dell’epica
impresa iniziata nel 1914 dall’esploratore irlandese Ernest Shackleton[13]di
cui lessi a suo tempo nel racconto fattone da Alfred Lansing. Riporto
l’inserzione esposta al museo con la quale Shackleton mise insieme l’equipaggio
per la sua nave “Endurance” allo
scopo di raggiungere l’Antartide, attraversarla a piedi e cartografarla:
“Men wanted
for dangerous trip, low salary,ruthless cold, long months in absolute darkness,
constant danger, doubtful safe return, honour and recognition if successful”. Ernest
Shackleton, 4 Burlington Street[14].
L’Endurance rimase prigioniera dei ghiacci
nel gennaio 1915[15]
e fu abbandonata dopo che ogni speranza che potesse liberarsene svanì nell’ottobre
successivo: il libro di Lansing [16]narra
l’eroica epopea del comandante e del suo equipaggio attraverso ghiacciai e
oceano Atlantico in tempesta fino allo salvezza con l’aiuto della marina cilena
e lo sbarco il 3 settembre 1916, proprio a Rio Seco, dove c’è una targa vicino
al rudere di un moletto di legno: “Muelle
histórico” (molo storico). Lo fotografo naturalmente.
Molo dove arrivò Shackleton con equipaggio |
Il cerchietto indica l'isola di Cabo de Hornos |
[1]
L’associazione italiana di solidarietà internazionale Radié Resch ha progetti di appoggio al popolo Mapuche: il website è
http://reterr.it/
[2] http://www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/mapuche-it.html
[3] https://historiadevaldivia-chile.blogspot.com/2011/06/familia-anwandter.html
[4]
L’assassinio di Macarena Valdés è menzionato nella prima puntata del resoconto
di questo viaggio.
[5] https://geografia.laguia2000.com/general/bosque-valdiviano
[6] http://www.proturchiloe.co.cl/mitologi.htm
[7] http://www.wikiwand.com/en/List_of_pirates
[8] https://radio.uchile.cl/2018/07/25/industria-salmonera-como-destruye-el-fondo-marino-del-sur-de-chile/
[9] https://www.petitfute.com/v46771-puerto-tranquilo/c1173-visites-points-d-interet/c974-site-naturel/377282-catedral-de-marmol-capilla-de-marmol.html
[10] https://www.pinterest.com/macchiavell0365/fauna-chilena/
[11] Devo
dire che il copyright dell’ispirazione spetta ai leoni marini cileni, perché al
Museo regionale de Magallanes è esposta una grossa pietra ritrovata nello
stomaco di un leone marino. Infatti per immergersi più facilmente se perdono
peso ingoiano pietre. Buona idea, mi sono detta!
[12]http://www.museodelapatagonia.nahuelhuapi.gov.ar/pdf/Pueblos%20originarios%20de%20Tierra%20del%20Fuego.pdf
[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Spedizione_Endurance
[14] “Se
buscan hombres. Viaje peligroso. Sueldo bajo. Frío extremo. Largos meses de
absoluta oscuridad. Peligro constante. Regreso con vida dudoso. Honor y
reconocimiento en caso de éxito” , tratto dal website in spagnolo: http://culturademontania.org.ar/Historia/aventura-de-shakleton-en-antartida.htm
[15] Un
altro resoconto parla dell’aprile del 1915.
[16] Alfred Lansing, Endurance. Shackleton’s incredible yoyage.
Carroll & Graf Publishers, Inc. New York, 1959.