LA NAVE DEI FOLLI
A partire dai primi anni 2000 una immagine mi risorge sempre più spesso davanti agli occhi: il nostro pianeta, minuscolo granello nello spazio, veleggiante come la nave dei folli del dipinto rinascimentale di Hieronymus Bosch. Se il pittore fiammingo intendeva mostrare un carico di peccatori nella rotta verso la rovina dell’anima, nel nostro caso la rovina sarebbe planetaria, coinvolgendo una gran parte delle specie viventi e certamente la specie umana.
La pertinace cecità e sordità ai sempre più minacciosi dati (incontrovertibili) del gruppo di scienziati dell’International Panel on Climate Change (IPCC)[1], condite da più o meno inutili e costosi vertici nelle varie COP[2] che si sono succedute dopo quella di Rio de Janeiro del 1992 sono, oltre che motivo di costernazione, sorprendenti. Ma la follia di tali cecità e sordità mai prima d’ora era apparsa così evidente come in questi giorni in cui il dio Marte trionfa in Ucraina, nella “opulenta” Europa e non solo altrove, dopo un’orgia di dichiarazioni minacciose e ora di bombardamenti, di distruzioni e di morti, e, come reazione sconsiderata, di corse frenetiche alla moltiplicazione degli apparati bellici e di investimenti miliardari in nuovi armamenti.
Mariupol, marzo 2022 |
Nazioni da decenni neutrali prendono in considerazione l’adesione alla NATO, l’Italia che secondo la sua Costituzione “ripudia la guerra” invia armi a una nazione belligerante e il suo Parlamento vota un aumento fino al 2% del budget per la Difesa, gli Stati Uniti e la UE rimpinzano l’Ucraina di armi, mercenari e ingenui volontari d’ogni dove accorrono a combattere in Ucraina. Il presidente ucraino si fa chef de guerre e arringa i parlamenti “occidentali” per arruolarli e parla di vittoria finale. Coscrizione obbligatoria in Ucraina, mentre sfilano davanti ai nostri occhi immagini di rovine fumanti, di ex città fantasma, di profughi in fuga, di cadaveri riversi nelle strade deserte e palazzi sventrati. Guerra e follia. La storia non insegna, questo è certo. Ma oggi c’è un esiziale elemento in più da prendere in considerazione e che rende il quadro anche più sinistro e le conseguenze di questo ulteriore conflitto anche più gravi.
Costa del Bangladesh, foto K.H. Chowdhury |
Nel documento intitolato 6 Big Findings from the IPCC 2022 Report on Climate Impacts, Adaptation and Vulnerability (Sei importanti risultati tratti dal Rapporto dell’IPCC sugli impatti del clima, adattamento e vulnerabilità) si chiariscono le tragiche conseguenze di una mancata immediata diminuzione delle emissioni di tutti i gas di serra e di un ritardo nell’allestimento di misure di adattamento agli inevitabili futuri sconvolgimenti climatici. “...il cambiamento climatico è già una realtà in ogni angolo della terra e molte conseguenze ben peggiori conseguiranno dal non riuscire a dimezzare le emissioni di gas di serra entro il 2030 e contemporaneamente affrettarsi ad adottare misure di adattamento ai cambiamenti”[4]. I risultati dell’ultima COP 26 a Glasgow sono stati deludenti, i 100 miliardi da versare annualmente a partire dal 2009 da parte dei paesi più ricchi ai paesi con risorse insufficienti e più esposti ai pericoli dei cambiamenti climatici sono latitanti. Le cifre modeste versate poi ballano, sono opinabili e c’è chi dice gonfiate, tra prestiti da restituire e doni[5], con somme minime destinate all’adattamento piuttosto che alla mitigazione degli impatti per ragioni di rendicontazione più facile. Il Rapporto dell’IPCC sottolinea che all’adattamento, ormai una necessità impellente, vanno solo le briciole: “At the moment, adaptation accounts for just 4-8% of tracked climate finance, which totaled $579 billion in 2017-18”. (Attualmente all’adattamento va solo tra il 4%e l’8% del finanziamento confermato per il clima, che nel 2017/18 ammontava a 579 miliardi di $).
Una settimana dopo la pubblicazione di questa seconda parte del sesto Rapporto dell’IPCC, l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha a sua volta rivelato che nel 2021 le emissioni di gas di serra non sono mai state così elevate[6]. Ed ora che un’altra guerra è scoppiata “nel cuore dell’Europa” è più che mai necessario denunciare e sottolineare qual è l’impatto dei conflitti e delle guerre sul deterioramento del clima e sull’aumento delle emissioni di gas di serra.
E non solo sull’ambiente naturale ma anche sociale ed economico, poiché si mostra bene nel citato Rapporto IPCC l’interdipendenza tra queste sfere. Basti pensare, dopo meno di un mese di guerra in Ucraina, alle cupe previsioni di tagli sui rifornimenti di grano soprattutto in Africa settentrionale e occidentale, in Medio Oriente e all’aumento dei prezzi dei carburanti, quindi all’impoverimento e alla fame di milioni di persone. In Madagascar si parlava già di “carestia climatica”[7] nel gennaio scorso. In Yemen le Nazioni Unite hanno ricevuto meno di un terzo delle cifre richieste e si prevede una ulteriore diminuzione nelle importazioni di grano a causa delle guerra in Ucraina[8]. Povertà e fame generano ulteriori conflitti. La resuscitata corsa agli armamenti fa a pugni con la necessità impellente di finanziamenti alternativi tesi ad evitare il precipitare della crisi climatica planetaria, già accentuata in certe zone già fragilissime. Quindi: quante emissioni sono dovute alle guerre, alle sue implicazioni e alle sue conseguenze durature?
Lowell, Oregon, foto Markus Kaufmann |
Ho trovato due articoli pertinenti sul sito Conflict and Environment Observatory[9] che prendono in esame sia gli impatti diretti delle guerre che quelli indiretti, durante e dopo il conflitto vero e proprio. Oltre alle sofferenze fisiche e mentali, ai lutti, alla fuga di profughi che diventano spesso rifugiati e sradicati a vita, ecco preziose aree agricole coltivate ora abbandonate, posti di lavoro perduti e scambi commerciali vitali azzerati, ecco la perdita di patrimoni culturali immensi, macerie che rimangono tali per anni, incendi di foreste e disboscamento sia per ragioni di sicurezza militare che per lucro, il ritorno di pratiche dannose e malsane (uso di carbone e carbonella), o addirittura cancellazione di foreste per l’uso di defolianti (Vietnam, Cambogia, Laos), incendi di infrastrutture come pozzi di petrolio (Iraq 1991), o anche flaring, cioè fuochi vaganti di gas infiammabili di petrolio(nel perpetuo conflitto del delta del Niger, in Nigeria), ce n’è per tutti i gusti. Durante la (seconda) guerra del Vietnam (1964/75) tra il 14% e il 44% delle foreste andò perduto e gli effetti del terribile Agente Arancio sui “nativi” sono una realtà misconosciuta ancora oggi in una sede giudiziaria “occidentale”[10]. Si stima che le emissioni dovute all’incendio dei pozzi di petrolio iracheni durante la prima guerra del Golfo nel 1991, che continuarono a bruciare per mesi, contribuirono per più del 2% delle emissioni di CO2 da combustibili fossili in quell’anno[11].
Iraq |
Aleppo 2013, foto Bama FCO |
Inoltre è la produzione stessa di armamenti, con le sue catene di approvvigionamento, che emette enormi quantità di Co2: nella UE le società di interesse pubblico sarebbero legalmente tenute a riportare i dati delle loro emissioni, ma le attuali norme sono “non vincolanti”[13]. L’aumento previsto di produzione di apparati bellici dopo i recenti annunci di aumento dei budget militari in vari paesi europei lascia presagire il peggio. In questo clima guerriero tristi nazionalismi e militarismo vengono aizzati. Gli apparati militari sono degli enormi produttori di emissioni di gas di serra[14], ed in guerra si moltiplicano i loro impatti distruttivi. La guerra oggi si fa soprattutto dal cielo, e l’aviazione militare rappresentava nel 2021 tra l’8% e il 15% della percentuale totale del 3,5%, il contributo globale dell’aviazione al riscaldamento del clima[15]. Le scie di fumo bianco (contrails in inglese) che vediamo fuoriuscire dai jet sono cariche di biossido di carbonio e diossido di azoto oltre a fuliggine e interagiscono con le nuvole, intercettando o creando cirri che intrappolano calore.
Primo Ministro dell'arcipelago di Vanuatu parla da remoto alla COP 26 |
Ogni guerra che scoppia aumenta le cifre citate[16]. I danni materiali, le città polverizzate, gli ospedali distrutti, le scuole inagibili, le strade impraticabili, implicano costi immani aggiuntivi di riparazione, oltre ai costi immateriali: costi sociali, costi umani, compagini sociali disintegrate, bambini e adulti traumatizzati. Se infine prendiamo in esame i costi opportunità (opportunity costs) cioè i finanziamenti che saranno dirottati verso la spesa militare invece che a programmi sociali, alla riduzione delle ineguaglianze, alla spesa sanitaria pubblica, all’educazione, alle fonti di energia rinnovabili e all’adattamento, bisogna essere ottimisti incalliti per sperare di contenere il riscaldamento globale entro l’1,5 gradi Celsius rispetto all’era preindustriale. Limite che, avvertono gli scienziati dell’IPCC, “is not safe at all”, non è affatto sicuro[17].
Se immaginiamo il processo di riscaldamento climatico come un gigantesco ordigno esplosivo innescato da mani umane teleguidate dall’esecrata fame dell’oro di virgiliana memoria e dai demoni del potere, l’ultima pagina del romanzo di Italo Svevo, La coscienza di Zeno, dipinge quel che potrà essere il destino di questo pianeta allo sbando se non riusciremo a contrastare questa corsa al disastro annunciato: “Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro delle terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.”
[1] Gruppo internazionale di esperti sul cambiamento climatico, GIEC in francese
[2] Conferenza delle parti (interessate)
[3] Prescindo da ciò che ha preceduto l’invasione perchè non pertinente al nocciolo del mio ragionamento.
[4]6 Big Findings from the IPCC 2022 Report on Climate Impacts, Adaptation and Vulnerability
[5]Jocelyn Timperley https://www.nature.com/articles/d41586-021-02846-3, 20 October 2021
[6] https://www.rfi.fr/fr/environnement/20220309-climat-un-nouveau-record-d-%C3%A9missions-de-co2-en-2021
[7] https://www.nationalgeographic.fr/environnement/a-madagascar-la-premiere-famine-climatique-du-monde
[8] https://www.middleeasteye.net/news/russia-ukraine-war-yemen-braces-wheat-shortage
[10]https://www.repubblica.it/esteri/2021/09/01/news/continentale_breakfast_lena_leading_european_newspaper_alliance_agente_arancio-315991355/?__vfz=medium%3Dsharebar
[12] https://en.wikipedia.org/wiki/Lessons_of_Darkness
[13] https://ceobs.org/the-militarys-contribution-to-climate-change/
[14] https://theconversation.com/us-military-is-a-bigger-polluter-than-as-many-as-140-countries-shrinking-this-war-machine-is-a-must-119269
[15] Vedi nota 11, ibid.
[16] Una utile immagine che raffigura le interazioni è su: https://www.carbonbrief.org/guest-post-calculating-the-true-climate-impact-of-aviation-emissions
[17] 6 Big findings…(nota 3)