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giovedì 5 giugno 2025

AVVENNE COSI'

 

L’INQUIETANTE VICENDA DELLO SCULTORE ARNOLDO

Maschera Dogon, Mali
 

…La vita, qualche cosa

Che tutti supponiamo senza averne le prove…

Eugenio Montale, da Diario del ’71 e del ‘72

 

Era una bella giornata d’aprile e già di prima mattina Arnoldo, ebanista e scultore assai noto in città, era al lavoro. Scolpiva lentamente, con gesti sapienti levigava e perfezionava una testa femminile ormai quasi completamente emersa dal blocco di legno di sandalo. Non usava spesso questo legno profumato, ma l’aveva scelto per raffigurare la figlia di un suo cliente affezionato, una bella ragazza di appena vent’anni, con una zazzera castana striata di colpi di sole naturali. Era figlia unica, il padre l’adorava, e desiderava avere sempre presente in casa, su un piccolo piedistallo di pietra, quel viso la cui sola vista gli illuminava la giornata.

La graziosa modella era venuta a posare durante l’inverno con grande pazienza, ascoltando la musica che Arnoldo non mancava mai di diffondere per accompagnare la sua concentrazione. Ma quella mattina lo scultore era solo e apportava gli ultimi ritocchi, con sgorbie e scalpelli, al viso e alla capigliatura, controllando le grandi foto del viso e della testa della ragazza appese nello studio. Con le braccia tese verso la sua creazione, aspirando l’aroma che emanava dal legno di sandalo, improvvisamente si accorse che misto al profumo del legno si insinuava una nota singolare, assai diversa, un odore dolciastro quasi nauseabondo benché debole. La finestra era socchiusa, si alzò per chiuderla e tornò a sedersi e a lavorare. Invece di sparire quel misterioso sottile effluvio si fece più marcato e spiacevole, facendogli perdere la necessaria concentrazione. Pensò quindi di interrompere la sessione di scultura per cercare di identificare la fonte di quel debole lezzo, probabilmente un qualche animaletto rimasto incastrato dietro un mobile e lì morto. Si alzò e spostò le poche suppellettili dello studio, le cornici a terra, sollevò il tappeto senza risultato. Innervosito aprì di nuovo la finestra, uscì ad annusare l’aria che sapeva di humus e d’erba; no, l’odore non proveniva dall’esterno. Bene riprenderò il lavoro domani, non c’è fretta, è quasi ultimato, pensò.

Il giorno successivo la sua modella arrivò puntuale, e appena vide la testa che la raffigurava notò come gli ultimi tocchi apportati dallo scultore avessero messo in risalto alcuni tratti caratteristici della sua fisionomia. Sorrise soddisfatta. “Lei è un mago, è riuscito a cogliere espressione, sguardo, il mio modo di inclinare la testa da un lato. Mio padre sarà contento della sua opera. Arnoldo era soddisfatto e lusingato: la somma pattuita per quel lavoro era consistente, sarebbe riuscito a pagarsi una vacanza non programmata in qualche bel posto ancora in bassa stagione, ideale. Chiese alla ragazza di avere la pazienza di posare ancora per almeno due ore in modo da perfezionare e addolcire alcuni tratti, lei sedette sorridendo al solito posto e rimase immobile mentre ascoltava la musica. Come sempre Arnoldo aveva avuto cura di inserire nel Grundig un vinile gradito a entrambi. Poco dopo però lei fece un cenno, un segnale convenuto per interrompere la sessione, qualcosa la disturbava. “Scusa Arnoldo, mi pare che oggi ci sia uno strano odore che sinceramente mi dà nausea, non capisco cosa possa essere…” Lo scultore sospese in aria lo scalpellino che stava manovrando e annusò, era vero; era lo stesso leggero fetore che aveva notato il giorno precedente e che invece ora non aveva percepito, come se ci si fosse abituato nello spazio di 24 ore. Ohibò. Accigliato e turbato, andò ad aprire la finestra, una ventata fresca agitò le tende, e la sessione di posa continuò senza intoppi.

La sera, dopo una passeggiata rilassante nel bosco vicino, Arnoldo rientrò e si sedette a leggere prima di alzarsi per cucinare qualcosa. Lo spiacevole odore lo perseguitava. Ecco, riempirò la vasca e metterò un bella dose di bagno schiuma, l’assenzio è quel che ci vuole, si disse. Forse ho sudato senza accorgermene, non può essere altro. Detto fatto. Era ancora in accappatoio quando squillò il telefono, un amico gli proponeva di cenare insieme. Ottimo, rispose, ci troviamo alle otto al “Cavoli a merenda”.  Era il loro ristorante preferito.

Mentre seduti tra soffici cuscini sorseggiavano Chardonnay guardando il menù, l’amico Giorgio dette segni di disagio. “Arnoldo, scusa …mi pare che da qualche parte arrivi uno strano odore decisamente spiacevole, non ti pare? Non capisco…”

Arnoldo replicò che non se ne era accorto, ma forse era vero, e con disappunto constatò che era sempre quello stesso maledetto odore che lo perseguitava da ormai due giorni O erano tre?  Chiamarono il cameriere che mise in azione la ventola del soffitto e accese l’aria condizionata. Intervento efficace, l’appetitosa fragranza delle varie pietanze dissipò ogni traccia di cattivo odore. Il resto della serata fu oltremodo piacevole, la conversazione tra loro prendeva sempre una piega interessante, tra riflessioni, aneddoti e discussioni su libri letti di recente. Arnoldo rincasò sereno e dormì di un sonno greve, pesante, quasi letargico. Tutto a posto? No.

Nei giorni seguenti lo scultore non poté esimersi dal constatare che ormai quel lieve fetore che esalava dal suo intero corpo si ispessiva, lo accompagnava ovunque, e anche chi in strada lo incrociava lo notava e si allontanava velocemente. Ovunque andasse era ormai parte del suo essere, e per quanti bagni e docce facesse non c’era modo di eliminarlo. Continuava a cambiare biancheria e abiti. Si chiedeva spaventato che cosa gli stesse succedendo. Pensò a qualche rara malattia della pelle, invisibile, e prese appuntamento con un dermatologo reputato tra i migliori specialisti. E cominciò a sentirsi, non poteva dire “male”, ma strano si, diverso dal solito, da “prima”. Si era ormai a maggio inoltrato, l’ultimo suo lavoro era stato consegnato e pagato immediatamente. Una bella vacanza, in attesa della visita dermatologica, forse gli avrebbe giovato. Ma aveva paura, lo spiacevole odore che lo perseguitava si stava mutando in un facsimile di fetore che Arnoldo cercava di coprire sempre di più con docce e bagni quotidiani, lozioni profumate e deodoranti, che solo smorzavano l’acredine dell’alone maleodorante che ormai lo circondava, un’irradiazione ripugnante. L’impiegata dell’agenzia di viaggio cui si rivolse per informazioni e prenotazioni era ricorsa impacciata ad un civettuolo fazzoletto smerlato per immergervi il naso, affettando un grosso raffreddore.

La mattina della partenza Arnoldo si svegliò all’alba. Alla luce già chiara che filtrava dalle listerelle delle persiane avvistò la valigia pronta accanto alla parete di fronte e si rallegrò all’idea dell’imminente partenza. Ma quasi immediatamente percepì un vero e proprio fetore che gli mozzò il respiro. Ritto accanto al bordo del letto, mentre infilava le pantofole, ebbe un capogiro e si sedette di nuovo sul letto appena lasciato. Con raccapriccio si rese conto che le sue mani si enfiavano, divenivano nere e cominciavano a fondersi, a perdere consistenza, a gocciolare e squagliarsi come un gelato al sole. Poi furono le braccia a deformarsi, a flettersi, e a sciogliersi in una brodaglia grigiastra. Era atterrito.  I piedi e le gambe gli si afflosciarono e anche loro cominciarono a disfarsi allargando poco a poco una pozzanghera maleolente sul morbido tappeto della camera da letto. Ora era il suo corpo tutto che cedeva perdendo compattezza, il suo corpo che si rammolliva dolcemente e disfaceva come un gomitolo srotolato,una ben strana rosa sfogliata dalla burrasca, mentre la lurida pozza sul tappeto cresceva a dismisura. La vita finiva o era già finita da tempo?

Prima che anche la testa seguisse il suo destino di disintegrazione, negli ultimi istanti di coscienza di Arnoldo balenò la terribile verità che non aveva voluto guardare in faccia: lui era morto da molto tempo e non se ne era reso conto. O forse non aveva voluto rendersene conto? La cosa gli sembrò balzana e quasi comica, avrebbe voluto sorriderne di compatimento, ma già non aveva più labbra per abbozzare un ultimo sorriso di auto-scherno.

martedì 27 maggio 2025

QUEL GUAZZABUGLIO NEL SAHEL

 

HERE DORON, SOLO PACE **

Gli stati del Sahel dal Senegal a sinistra in verde alla Somala a destra, in verde, Mauritania in marrone
 

Here doron: era la risposta dovuta alla domanda di cortesia ”come hai dormito?”, parte integrante dello scambio di saluti di prammatica altrettanto dovuto di prima mattina verso qualsiasi interlocutore nel piccolo centro di Kolokani, zona saheliana a circa 150 km a nord di Bamako, capitale del Mali, dove ho lavorato dal 1986 al 1988 in un Progetto rurale integrato. La lingua nazionale prevalente era il Bambara, ma ogni gruppo etnico parlava la propria lingua in ambito familiare, mentre la lingua dei rapporti ufficiali era (ed è) il francese, la lingua degli antichi colonizzatori. Saluti prescritti da un galateo ineludibile che erano per me un tormento, in quanto uscivo ancora insonnolita in cerca di caffè dalla mia camera da letto che dava sulla corte/giardino[1] e spesso mi imbattevo in qualche inopportuno visitatore mattiniero. Non potevo sottrarmi al martirio di un nutrito scambio verbale con le formule del caso senza farmi radiare dal consesso comunitario. Tanto sarebbe valso licenziarsi subito in tronco. L’ inesistente privacy della concession era protetta da un cancellino spesso aperto, e nel vocabolario dei Bambara quella che usiamo definire “discrezione” specie mattutina non figura. Spazi aperti permeabili, socialità a 360°, con molti pro e qualche contro. Non esistevano chiavi.

Gli stati centrali in rosso, i più colpiti dal jihad: Mali a sinistra, Niger a destra e sotto il Burkina faso

Avevo cercato di imparare il bambara con un buon libretto (ovviamente redatto da missionari) e cassette audio. Questa frase, here doron, mi piaceva molto e mi torna in mente spesso in questi tempi di tempeste guerresche che funestano tanti orizzonti. Ma l’orizzonte del Sahel, quella immensa fascia di savana a nord del Sahara che va dalla costa atlantica della Mauritania e del Senegal al Mar Rosso e al golfo di Aden, raramente assurge agli onori delle cronache internazionali. Un orizzonte di più di 3 milioni di km2, una buona parte del quale è transitato dalla tranquilla monotonia della quotidianità ritmata dal calendario dei lavori dei campi, della transumanza delle mandrie e dei mercati ebdomadari ad un caos di violenza efferata, di paura e di rivalità tra gruppi etnici che avevano convissuto per secoli. E’ un’area che mi sta a cuore perché per anni ho lavorato in vari paesi del Sahel occidentale e mi sembra di vedere ancora i paesaggi, la savana, le piste, le strade, i pozzi, le magre vacche, le capre, e soprattutto le persone con le quali ho lavorato e vissuto: non sono fantasmi evanescenti ma visi e cari ricordi. La polvere rossa del Sahel ti rimane appiccicata alla pelle per decenni, forse la penetra, e la boscaglia (la brousse) non la scordi più. I pericoli nei tardi anni 1980 e primi anni 1990 erano i fossi, gli animali che improvvisamente ti tagliavano la strada mentre guidavi, peggio i ragazzini, i camion carichi fino all’impossibile con masserizie e merci troneggianti per cinque metri da terra, sopra le quali sedevano i passeggeri, che viaggiavano anche di notte magari con un solo fanale che tu credevi appartenere a una moto. Beh, anche serpenti e malaria.

Villaggio del Mali: donne intorno alla pompa dell'acqua potabile

Dopo la destabilizzazione della Libia grazie allo sciagurato intervento “occidentale”, salutato ingenuamente da molti come una “liberazione”[2] nel 2011[3], dall’anno successivo il nord del Mali, dove già da anni ribollivano le rivendicazioni dei Tuareg, fu invaso e occupato da una prima ondata jihadista di tipo salafista, la grande biblioteca di Timbuctu fu gravemente danneggiata e la popolazione dovette sopportare angherie, l’imposizione della legge islamica e delitti di ogni tipo per quasi un anno. 

Villaggio del Benin: acqua di pozzo

I primi jihadisti algerini arrivati in Mali all’inizio degli anni 2000 erano pochi e sostanzialmente innocui. Dopo il 2011 una valanga di armi depredata negli arsenali di Gheddafi si riversò nel Sahel e negli anni successivi si moltiplicarono i gruppi e le sigle del fondamentalismo islamico e del banditismo opportunista in terre sempre trascurate dai governi centrali, con milioni di giovani ben poco scolarizzati pronti ad abboccare all’amo di qualunque imbonitore[4] e un esodo rurale galoppante. Così i gruppi armati si sono moltiplicati passando attraverso mutazioni, fusioni, scissioni, sotto patrocini diversi tra i quali spiccano Al Qaeda e lo Stato Islamico. Si sono moltiplicati anche i tentativi di arginare e minimizzare il danno procurato originariamente dal caos libico, ma il difetto principale è stato sempre l’approccio quasi unicamente militare. La Francia, potenza di riferimento in Africa Occidentale, ha dato il “la” con l’operazione Serval del gennaio 2013, improvvisata per fermare l’ondata jihadista che dal Mali centrale avanzava rapidamente verso la capitale Bamako. Il successo puramente militare di questo intervento, salutato con favore apparente anche dalla popolazione maliana, incoraggiò il proseguimento dell’azione militare francese con ben maggiori effettivi e armamenti. La successiva operazione Barkhane durerà 8 anni, dall’agosto 2014 al novembre 2022, fino a che sarà cacciata piuttosto ignominiosamente tra i festeggiamenti della popolazione ormai arcistufa dei francesi, che dovettero per analoghe ragioni lasciare anche il Niger e il Burkina Faso. 

 

Da Wikipedia

Scarso successo anche per gli altri interventi militari che si erano misurati contro la moltiplicazione dei gruppi di un jihad dilagante: il G-5 che comprendeva cinque Stati della regione (Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger, Ciad), la MINUSMA, Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Mali, la FMM, una forza posta sotto l’egida della Commissione del bacino del lago Ciad. In Somalia, dove agisce da anni una forza jihadista denominata Al Shabaab, c’era la AMISOM, la missione dell’Unione Africana, ora rimpiazzata dall’African Union Transition Mission in Somalia. Migliaia e migliaia di uomini, armamenti certo ben più efficienti e possenti di quelli degli avversari, ma quanto efficaci? Ben poco. Dopo anni queste forze esterne si sono dissolte nel nulla, difficile calcolare l’entità delle risorse profuse e delle vite perdute, perché i mali del Sahel che sono alla radice dell’avanzata jihadista non potevano essere guariti militarmente. Decenni di malgoverno, di povertà, ignoranza, disprezzo per i bisogni delle popolazioni sia urbane che rurali, e soprattutto rurali, avrebbero avuto bisogno di risorse ben diverse, investimenti nell’agricoltura familiare, nell’educazione, nella formazione, nel sostegno ad artigiani e piccoli imprenditori, di funzionari onesti e capaci, di un’amministrazione statale e locale articolata e solida. Di cultura e reale sviluppo. A regimi deboli e marci sono succeduti numerosi golpe militari di altrettanti incapaci: si sono installati al potere soldati tronfi che di politica e di governo non ne capiscono granché: due golpe in Mali, due golpe in Burkina, uno in Niger, i tre paesi al centro del Sahel e i più colpiti e travolti dalla marea jihadista[5]. Anche la Guinea, che non è ancora in pericolo ma nel mirino del jihad, è in mano a una dittatura militare. Da qualche anno anche il Benin e il Togo hanno subìto attacchi.

Villaggio in Benin: riunione vicino alla pompa dell'acqua
 

Il risultato analizzato da due recenti rapporti di organizzazioni di esperti, ACLED e ICG[6], sono entrambi concordi: pessimo. L’Unione Europea aveva dispiegato, oltre e accanto agli interventi militari, insieme a partner come l’ONU e gli Stati Uniti, missioni di appoggio economico e istituzionale, che però non sono riuscite a incidere né a ovviare a mali endemici di regimi corrotti, che sono stati spazzati via dai militari. I tre Stati centrali, Mali, Burkina Faso e Niger, hanno stretto un’alleanza militare, che non riesce a tutt’oggi a impedire che le zone in mano ai ribelli jihadisti si espandano. Tutti e tre questi paesi si sono rivolti alla Russia per supporto logistico e militare, ma le esazioni e i massacri perpetrati contro poveri contadini e pastori dei villaggi, presi tra i due fuochi, dalle forze che dovrebbero combattere i jihadisti peggiorano soltanto la situazione. I tre regimi militari, in teoria “di transizione” verso scadenze elettorali sempre più ignorate, hanno preso una postura chiaramente autoritaria e bandito i partiti politici, i giornalisti hanno la vita difficile. L’ACLED segnala il pericolo dell’allargamento delle forze jihadiste verso il golfo di Guinea, dopo gli sconfinamenti importanti nel nord del Benin e in Togo.

Grande pozzo in Benin

L’International Crisis Group fornisce tutta una serie di indicazioni politiche sia per il rappresentante speciale UE per il Sahel, João Cravinho, che per la responsabile della politica estera UE K. Kallas, data l’importanza dell’area del Sahel alle soglie dell’Europa e il chiodo fisso UE delle migrazioni, contro le quali si inventano i “paesi sicuri”, certamente sicuri per crepare di fame se non per altre cause. Ma i tempi tumultuosi e altre priorità pressanti non lasciano molto a sperare che a breve l’interesse della UE per il Sahel produca buoni risultati per le popolazioni vessate. E con il bel proposito di Rearm Europe saremo tutti, stanziali e migranti, in una botte di ferro. Per schiattarci dentro, o di guerra o di caldo.

** Here doron significa «solo pace» in lingua Bambara



[1][1][1] Area chiamata localmente “concession” in francese, che comprendeva la struttura in muratura (con le camere da letto, la cucina, un bagnetto con doccia e sanitari), e l’immancabile pozzo più lo spazio libero in cui un tavolo con sedie era riparato da una tettoia di canne e intorno alcuni alberi e piante Un bidone assicurava la doccia. Si comunicava per radio, solo per segnalazioni di servizio o urgenze, con l’ufficio di Bamako. Niente luce elettrica, solo lampade a petrolio (o kerosene?).

[2][2] Sui retroscena (e gli istigatori nonché finanziatori) della guerra scatenata contro la Libia si veda il libro di Marc Eichinger, Jeux de guerre, Massot Editions, 2022.Non mi pare sia stato tradotto in italiano.  Ne ho parlato in questo blog nel luglio 2024: https://croceorsa.blogspot .com/2024/07/apprendisti-stregoni-e-insurrezioni-1.html

 

[3] In Italia vi fu che io ricordi solo lo storico Gianpaolo Calchi Novati che deplorò e denunciò l’attacco francese e degli “alleati” come pericoloso, perché la Libia non era mai stata una nazione unitaria e intravvide il pericolo della disintegrazione.

[4] Mi si perdoni la semplificazione di situazioni ben più complicate. E ho tralasciato volutamente Boku Haram in Nigeria.

[5] Ho scritto sulla situazione nel Sahel nel 2017, descrivendo a mò di esempio di discrepanza totale tra bisogni e realtà del terreno e interventi militari piombati dall’alto, i conflitti intorno al lago Ciad, sulla base delle approfondite conoscenze di Charles Seignobos. https://croceorsa.blogspot.com/2017/11/accade-nel-sahel.html

[6] ACLED sta per  Armed Conflict Location and Event data, ICG per International Crisis Group. Gli interessat possono dare una scorsa a questi due rapporti: https://www.crisisgroup.org/africa/sahel/burkina-faso-mali-niger/defining-new-approach-sahels-military-led-states; https://acleddata.com/2025/03/27/new-frontlines-jihadist-expansion-is-reshaping-the-benin-niger-and-nigeria-borderlands/

 

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