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martedì 27 maggio 2025

QUEL GUAZZABUGLIO NEL SAHEL

 

HERE DORON, SOLO PACE **

Gli stati del Sahel dal Senegal a sinistra in verde alla Somala a destra, in verde, Mauritania in marrone
 

Here doron: era la risposta dovuta alla domanda di cortesia ”come hai dormito?”, parte integrante dello scambio di saluti di prammatica altrettanto dovuto di prima mattina verso qualsiasi interlocutore nel piccolo centro di Kolokani, zona saheliana a circa 150 km a nord di Bamako, capitale del Mali, dove ho lavorato dal 1986 al 1988 in un Progetto rurale integrato. La lingua nazionale prevalente era il Bambara, ma ogni gruppo etnico parlava la propria lingua in ambito familiare, mentre la lingua dei rapporti ufficiali era (ed è) il francese, la lingua degli antichi colonizzatori. Saluti prescritti da un galateo ineludibile che erano per me un tormento, in quanto uscivo ancora insonnolita in cerca di caffè dalla mia camera da letto che dava sulla corte/giardino[1] e spesso mi imbattevo in qualche inopportuno visitatore mattiniero. Non potevo sottrarmi al martirio di un nutrito scambio verbale con le formule del caso senza farmi radiare dal consesso comunitario. Tanto sarebbe valso licenziarsi subito in tronco. L’ inesistente privacy della concession era protetta da un cancellino spesso aperto, e nel vocabolario dei Bambara quella che usiamo definire “discrezione” specie mattutina non figura. Spazi aperti permeabili, socialità a 360°, con molti pro e qualche contro. Non esistevano chiavi.

Gli stati centrali in rosso, i più colpiti dal jihad: Mali a sinistra, Niger a destra e sotto il Burkina faso

Avevo cercato di imparare il bambara con un buon libretto (ovviamente redatto da missionari) e cassette audio. Questa frase, here doron, mi piaceva molto e mi torna in mente spesso in questi tempi di tempeste guerresche che funestano tanti orizzonti. Ma l’orizzonte del Sahel, quella immensa fascia di savana a nord del Sahara che va dalla costa atlantica della Mauritania e del Senegal al Mar Rosso e al golfo di Aden, raramente assurge agli onori delle cronache internazionali. Un orizzonte di più di 3 milioni di km2, una buona parte del quale è transitato dalla tranquilla monotonia della quotidianità ritmata dal calendario dei lavori dei campi, della transumanza delle mandrie e dei mercati ebdomadari ad un caos di violenza efferata, di paura e di rivalità tra gruppi etnici che avevano convissuto per secoli. E’ un’area che mi sta a cuore perché per anni ho lavorato in vari paesi del Sahel occidentale e mi sembra di vedere ancora i paesaggi, la savana, le piste, le strade, i pozzi, le magre vacche, le capre, e soprattutto le persone con le quali ho lavorato e vissuto: non sono fantasmi evanescenti ma visi e cari ricordi. La polvere rossa del Sahel ti rimane appiccicata alla pelle per decenni, forse la penetra, e la boscaglia (la brousse) non la scordi più. I pericoli nei tardi anni 1980 e primi anni 1990 erano i fossi, gli animali che improvvisamente ti tagliavano la strada mentre guidavi, peggio i ragazzini, i camion carichi fino all’impossibile con masserizie e merci troneggianti per cinque metri da terra, sopra le quali sedevano i passeggeri, che viaggiavano anche di notte magari con un solo fanale che tu credevi appartenere a una moto. Beh, anche serpenti e malaria.

Villaggio del Mali: donne intorno alla pompa dell'acqua potabile

Dopo la destabilizzazione della Libia grazie allo sciagurato intervento “occidentale”, salutato ingenuamente da molti come una “liberazione”[2] nel 2011[3], dall’anno successivo il nord del Mali, dove già da anni ribollivano le rivendicazioni dei Tuareg, fu invaso e occupato da una prima ondata jihadista di tipo salafista, la grande biblioteca di Timbuctu fu gravemente danneggiata e la popolazione dovette sopportare angherie, l’imposizione della legge islamica e delitti di ogni tipo per quasi un anno. 

Villaggio del Benin: acqua di pozzo

I primi jihadisti algerini arrivati in Mali all’inizio degli anni 2000 erano pochi e sostanzialmente innocui. Dopo il 2011 una valanga di armi depredata negli arsenali di Gheddafi si riversò nel Sahel e negli anni successivi si moltiplicarono i gruppi e le sigle del fondamentalismo islamico e del banditismo opportunista in terre sempre trascurate dai governi centrali, con milioni di giovani ben poco scolarizzati pronti ad abboccare all’amo di qualunque imbonitore[4] e un esodo rurale galoppante. Così i gruppi armati si sono moltiplicati passando attraverso mutazioni, fusioni, scissioni, sotto patrocini diversi tra i quali spiccano Al Qaeda e lo Stato Islamico. Si sono moltiplicati anche i tentativi di arginare e minimizzare il danno procurato originariamente dal caos libico, ma il difetto principale è stato sempre l’approccio quasi unicamente militare. La Francia, potenza di riferimento in Africa Occidentale, ha dato il “la” con l’operazione Serval del gennaio 2013, improvvisata per fermare l’ondata jihadista che dal Mali centrale avanzava rapidamente verso la capitale Bamako. Il successo puramente militare di questo intervento, salutato con favore apparente anche dalla popolazione maliana, incoraggiò il proseguimento dell’azione militare francese con ben maggiori effettivi e armamenti. La successiva operazione Barkhane durerà 8 anni, dall’agosto 2014 al novembre 2022, fino a che sarà cacciata piuttosto ignominiosamente tra i festeggiamenti della popolazione ormai arcistufa dei francesi, che dovettero per analoghe ragioni lasciare anche il Niger e il Burkina Faso. 

 

Da Wikipedia

Scarso successo anche per gli altri interventi militari che si erano misurati contro la moltiplicazione dei gruppi di un jihad dilagante: il G-5 che comprendeva cinque Stati della regione (Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger, Ciad), la MINUSMA, Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Mali, la FMM, una forza posta sotto l’egida della Commissione del bacino del lago Ciad. In Somalia, dove agisce da anni una forza jihadista denominata Al Shabaab, c’era la AMISOM, la missione dell’Unione Africana, ora rimpiazzata dall’African Union Transition Mission in Somalia. Migliaia e migliaia di uomini, armamenti certo ben più efficienti e possenti di quelli degli avversari, ma quanto efficaci? Ben poco. Dopo anni queste forze esterne si sono dissolte nel nulla, difficile calcolare l’entità delle risorse profuse e delle vite perdute, perché i mali del Sahel che sono alla radice dell’avanzata jihadista non potevano essere guariti militarmente. Decenni di malgoverno, di povertà, ignoranza, disprezzo per i bisogni delle popolazioni sia urbane che rurali, e soprattutto rurali, avrebbero avuto bisogno di risorse ben diverse, investimenti nell’agricoltura familiare, nell’educazione, nella formazione, nel sostegno ad artigiani e piccoli imprenditori, di funzionari onesti e capaci, di un’amministrazione statale e locale articolata e solida. Di cultura e reale sviluppo. A regimi deboli e marci sono succeduti numerosi golpe militari di altrettanti incapaci: si sono installati al potere soldati tronfi che di politica e di governo non ne capiscono granché: due golpe in Mali, due golpe in Burkina, uno in Niger, i tre paesi al centro del Sahel e i più colpiti e travolti dalla marea jihadista[5]. Anche la Guinea, che non è ancora in pericolo ma nel mirino del jihad, è in mano a una dittatura militare. Da qualche anno anche il Benin e il Togo hanno subìto attacchi.

Villaggio in Benin: riunione vicino alla pompa dell'acqua
 

Il risultato analizzato da due recenti rapporti di organizzazioni di esperti, ACLED e ICG[6], sono entrambi concordi: pessimo. L’Unione Europea aveva dispiegato, oltre e accanto agli interventi militari, insieme a partner come l’ONU e gli Stati Uniti, missioni di appoggio economico e istituzionale, che però non sono riuscite a incidere né a ovviare a mali endemici di regimi corrotti, che sono stati spazzati via dai militari. I tre Stati centrali, Mali, Burkina Faso e Niger, hanno stretto un’alleanza militare, che non riesce a tutt’oggi a impedire che le zone in mano ai ribelli jihadisti si espandano. Tutti e tre questi paesi si sono rivolti alla Russia per supporto logistico e militare, ma le esazioni e i massacri perpetrati contro poveri contadini e pastori dei villaggi, presi tra i due fuochi, dalle forze che dovrebbero combattere i jihadisti peggiorano soltanto la situazione. I tre regimi militari, in teoria “di transizione” verso scadenze elettorali sempre più ignorate, hanno preso una postura chiaramente autoritaria e bandito i partiti politici, i giornalisti hanno la vita difficile. L’ACLED segnala il pericolo dell’allargamento delle forze jihadiste verso il golfo di Guinea, dopo gli sconfinamenti importanti nel nord del Benin e in Togo.

Grande pozzo in Benin

L’International Crisis Group fornisce tutta una serie di indicazioni politiche sia per il rappresentante speciale UE per il Sahel, João Cravinho, che per la responsabile della politica estera UE K. Kallas, data l’importanza dell’area del Sahel alle soglie dell’Europa e il chiodo fisso UE delle migrazioni, contro le quali si inventano i “paesi sicuri”, certamente sicuri per crepare di fame se non per altre cause. Ma i tempi tumultuosi e altre priorità pressanti non lasciano molto a sperare che a breve l’interesse della UE per il Sahel produca buoni risultati per le popolazioni vessate. E con il bel proposito di Rearm Europe saremo tutti, stanziali e migranti, in una botte di ferro. Per schiattarci dentro, o di guerra o di caldo.

** Here doron significa «solo pace» in lingua Bambara



[1][1][1] Area chiamata localmente “concession” in francese, che comprendeva la struttura in muratura (con le camere da letto, la cucina, un bagnetto con doccia e sanitari), e l’immancabile pozzo più lo spazio libero in cui un tavolo con sedie era riparato da una tettoia di canne e intorno alcuni alberi e piante Un bidone assicurava la doccia. Si comunicava per radio, solo per segnalazioni di servizio o urgenze, con l’ufficio di Bamako. Niente luce elettrica, solo lampade a petrolio (o kerosene?).

[2][2] Sui retroscena (e gli istigatori nonché finanziatori) della guerra scatenata contro la Libia si veda il libro di Marc Eichinger, Jeux de guerre, Massot Editions, 2022.Non mi pare sia stato tradotto in italiano.  Ne ho parlato in questo blog nel luglio 2024: https://croceorsa.blogspot .com/2024/07/apprendisti-stregoni-e-insurrezioni-1.html

 

[3] In Italia vi fu che io ricordi solo lo storico Gianpaolo Calchi Novati che deplorò e denunciò l’attacco francese e degli “alleati” come pericoloso, perché la Libia non era mai stata una nazione unitaria e intravvide il pericolo della disintegrazione.

[4] Mi si perdoni la semplificazione di situazioni ben più complicate. E ho tralasciato volutamente Boku Haram in Nigeria.

[5] Ho scritto sulla situazione nel Sahel nel 2017, descrivendo a mò di esempio di discrepanza totale tra bisogni e realtà del terreno e interventi militari piombati dall’alto, i conflitti intorno al lago Ciad, sulla base delle approfondite conoscenze di Charles Seignobos. https://croceorsa.blogspot.com/2017/11/accade-nel-sahel.html

[6] ACLED sta per  Armed Conflict Location and Event data, ICG per International Crisis Group. Gli interessat possono dare una scorsa a questi due rapporti: https://www.crisisgroup.org/africa/sahel/burkina-faso-mali-niger/defining-new-approach-sahels-military-led-states; https://acleddata.com/2025/03/27/new-frontlines-jihadist-expansion-is-reshaping-the-benin-niger-and-nigeria-borderlands/

 

 .

mercoledì 7 maggio 2025

I LUOGHI DELL' ANIMA: TANGLEWOOD

 

TANGLEWOOD

 

Il Vaso di Pandora *

Per molti anni durante la mia infanzia, ma anche oltre, avevo cercato di immaginarmi Tanglewood.

Era il luogo che Nathaniel Hawthorne[1] aveva scelto come sfondo per il suo libro di storie meravigliose, intitolato (in italiano beninteso) appunto Storie Meravigliose dell’Istituto Editoriale Italiano, nella collana Biblioteca dei ragazzi. Era un libro di mia madre, che ho conservato in tutti gli innumerevoli traslochi, sfuggito anche a un forte terremoto, che ora avrà più di cent’anni. La bella rilegatura argentata ha un po’ ceduto, ma le pagine un dì cucite ci sono tutte, pur ballerine alcune.

Sono i miti greci, rivisti e rinarrati in salsa New England nel 1851, il cui titolo inglese apprendo ora consultando Wikipedia, è: A wonder-book for girls and boys, libro che in me scatenava l'immaginazione con avventure e personaggi così favolosi, così straordinari, che non mi stancavo mai di riascoltare quelle storie, prima lette al nostro capezzale da mia madre durante le benedette influenze che mi costringevano a letto (senza dover andare a scuola), e poi per anni sfogliate e rilette fino a saperle quasi a memoria. Giasone e il Vello d’Oro, i Denti del Drago che seminati da Cadmo in un campo si tramutavano in temibili guerrieri armati di tutto punto, Perseo e la Gorgone Medusa dai capelli di serpemti che trasformava in pietra chiunque la guardasse, il Labirinto dove scalpitava il Minotauro che annualmente divorava una fanciulla cretese, l’albero dalle mele d’oro, il vaso di Pandora e la Chimera. E poi c'erano i cattivi re che usurpavano il trono dei legittimi eredi cui spettava il compito sacrosanto di riconquistarlo attraverso imprese di immani difficoltà. Quando poi a scuola incontrai i miti greci spogliati di quella vernice di disinvolti ricami fantasiosi mi sentii quasi defraudata. La cornice delle narrazioni, il bosco di Tanglewood, in cui le belle favole erano ambientate, era diventata per me inscindibile dalle storie. Tanglewood, letteralmente “bosco intricato”, era un luogo fantastico e affascinante che credevo inventato, inesistente. Anche il nome pronunciato aveva un che di magico.

La Chimera

E così quale fu la mia gioia quando scoprii che, lungi dal trovarsi nell’iperuranio della fantasia di Hawthorne, Tanglewood era un luogo ben piantato sulla terra, e si trovava a poca distanza da Amherst dove abitavo, nel New England, ed era raggiungibile in poche ore con un autobus la cui fermata era quasi sotto casa e non volando verso l’isola che non c’è. Lo raggiunsi inaspettatamente la sera di Natale del 1983. Fu così che accadde.

La Maga Circe

Mi trovavo a Amherst per un Master all’Università del Massachusetts con mio figlio allora tredicenne. Stavo finendo il primo Fall semester (che poi durava meno di 4 mesi, da settembre a dicembre) e per tutta la notte del 23 dicembre avevo battuto a macchina l’ultima tesina per il quarto corso frequentato, prima delle vacanze di Natale che poi si protraevano fino al semestre di primavera che iniziava in febbraio. Una tesina ambiziosa, in cui volevo dimostrare la superiorità del regime socialista di Nyerere in Tanzania rispetto a quello “capitalista” di Kenyatta in Kenya. Di fatti si trattava di tirare un po’ per i capelli, per così dire, la realtà storica. Le Ujamaa tanzaniane, cioè le fattorie collettive, già a fine anni 1970 avevano rivelato un bilancio deludente; l’ideologia socialista che aveva già fallito nelle campagne sovietiche con i kolchoz, le aziende agrarie collettive, non aveva avuto molto miglior sorte nelle campagne africane, nonostante tutta la buona volontà, l’impegno, l’onestà intellettuale e la drittura morale dei dirigenti, in primis di Julius Nyerere, ben diversamente che in Kenya. E poi la Tanzania era parte della cosiddetta “Linha da Frente”, cioè i paesi che lottavano contro il Sudafrica dell’apartheid e, prima che cadesse, il regime di Smith in Rhodesia spalleggiati (ovviamente) dagli Stati Uniti. Solo un anno prima avevo lasciato il Mozambico, anch’esso punta di lancia della Linha da Frente.  Quindi ci tenevo proprio ad arguire la mia tesi adducendo tutte le prove reperibili.

Gli Argonauti

 A questo scopo avevo tesaurizzato una serie di argomentazioni ricavate da letture di autorevoli critici e mi ero sforzata di non trascurarne nessuno. Per cui mi ritrovai con le mani rattrappite dal freddo a battere sui tasti della mia Lettera 32 Olivetti ora dopo ora dalle 11 di sera alle 7 della mattina, quando esausta conclusi, misi insieme i numerosi fogli e li sbattei in una cartellina colorata. Finito. Dopo colazione mi precipitai a consegnare il plico alla segreteria della facoltà, miracolosamente aperta per tutta la mattina, e cominciai a sentirmi non solo molto leggera, ma anche in vacanza. Cosa facciamo, dopo tutto è Natale. E miracolosamente, non ricordo come, appresi che nel primo pomeriggio ci sarebbe stata una corriera per…Tanglewood, piccolo centro del Massachusetts occidentale, contea di Lenox, a circa 84 km da Amherst. Fu un colpo di fulmine: ecco dove passeremo il Natale, nel luogo incantato dei ricordi della mia infanzia.

 In fretta e furia preparammo il bagaglio, con mio figlio allegro per la prospettiva di poter sciare, io raggranellai le nostre finanze sperando di poterci permettere almeno due o tre notti d’albergo, e filammo di corsa alla fermata d’autobus, in mezzo alla neve che cadeva abbondante. Arrivammo ad un albergo la sera e trovammo una stanza libera: ancora ricordo, costava 70 dollari, una piccola fortuna, ma mi rassicurai, mi bastavano i soldi per almeno due notti. Già si stava cenando, ci affrettammo a sederci anche noi, e ricordo (anche) che come entrée ci servirono una alquanto inaspettata minestra di cranberries (mirtilli rossi) o altre bacche simili, acidule, deludente per una fantastica cena di Natale al tanto agognato Tanglewood.[2]

Ma per me si era avverata un perfetta magia: nel biancore perlaceo del paesaggio, tra gli abeti carichi di morbida spuma nevosa che troneggiavano nella notte, mi sembrava di entrare nel libro della mia infanzia e saltare di pagina in pagina, ritrovando la nave degli Argonauti e lo specchio di Perseo: annegai in un sonno totale dimenticando le fatiche della notte precedente. Avevo fatto tana, come a nascondino.

 

Le Gorgoni

 * Tutte le immagini sono tratte dal libro di Hawthorne.

 

 

 

 

 

 

 



[1] Grande scrittore del puritanesimo protestante americano, conosciuto soprattutto per La lettera scarlatta e La casa dai sette frontoni

[2] Quanto ai gusti anglosassoni, rievoco anche un’altra cena di Natale e un’altra sorpresa: in Sud Sudan: una suora credo neozelandese o australiana aveva preparato una minestra a base di burro di arachidi. No comment.