Kaltouma e le altre
Ieri sera ho ascoltato alla radio una buona notizia: in Sud Africa é stato fermato il presidente sudanese Omar Bashir, sul cui capo dal 2009 pende un' accusa di crimini di guerra e genocidio in seguito a denunce da ogni lato alla Corte Penale Internazionale. Soltanto.
Finora era riuscito a farla franca. Speriamo che sia la volta buona. E' responsabile di un numero infinito di morti, distruzioni, violazioni di ogni parvenza di diritto, bombardamenti su popolazioni inermi, dal 2003, in Darfur soprattutto.
Nel 2007 lavoravo in Ciad in un campo profughi sudanesi e con sfollati ciadiani, a Goz Beida. Qui sotto un articolo che scrissi allora per Il Manifesto. temo sempre attuale.
Da
Goz Beida, Distretto di Dar Sila, Ciad Orientale,
campo di rifugiati sudanesi di Djabal, 2007
Gli
occhi di Kaltouma brillano di soddisfazione mentre stringe tra le dita il
biglietto da 10.000 FCFA, circa 15 Euro, che rappresenta una ricompensa
simbolica per il tempo che lei e le altre 10 donne della « concession »
[1]dedicano
due volte alla settimana alla
discussione sulla prevenzione e la « riduzione del danno » rispetto
alle violenze di genere di cui sono bersaglio molte donne come loro in questa
zona. Stupri in brousse ma anche picchiaggi domestici brutali, matrimoni forzati a 12 anni (o anche
meno) di età, mutilazione degli organi
genitali, pratica « tradizionale » molto diffusa .. Kaltouma, come le
altre donne quasi tutte giovani sedute intorno
a me sulla stuoia, sono rifugiate del
Darfur, il loro villaggio si chiama (o chiamava), Ouroum. Molte di loro sono
state sequestrate dai Djandjaweed all’inizio del conflitto e tenute prigioniere, utilizzate come pastore il
giorno, schiave sessuali di notte,, cuoche e domestiche, finché sono riuscite a
fuggire, hanno attraversato la frontiera con il Ciad e sono state prese in
carico da HCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU.
Da quasi 4 annii
abitano in questo campo nell’Est del
Ciad, dove lavoro da 3 mesi per una Organizzazione Umanitaria. Vi sono arrivate
dopo incredibili peripezie . Alcune,
come Maryoma, una bella ragazza di forse 20 anni con un velo azzurro sgargiante, hanno perso tutta la
famiglia. Il
campo che le ospita ha una popolazione di 15.302 persone, ( dati HCR del giugno 2007), e di rifugiati ce ne sono altre decine e decine
di migliaia sparsi in una ghirlanda di insediamenti sovrapopolati lungo tutta la frontiera con il Sudan. Decine di Organizzationi Umanitarie e ONG si
occupano di ogni aspetto essenziale della vita comunitaria, e hanno cambiato i
ritmi e l’aspetto almeno esteriore del
paesaggio umano di questo angolo remoto di Ciad , alzando i prezzi alle
stelle, attirato folle di giovani
disoccupati che cercano a tutti i costi un lavoro con
« l’umanitario ».
Ma se il termine « Darfur » é ormai
sinonimo di « rifugiati » e almeno vagamente la grande maggioranza
del pubblico dei Telegiornali di tutto il modo ne ha sentito parlare, poco si parla o si conosce degli sfollati Ciadiani, della
guerra tracimata dal Darfur in Ciad attraverso i gruppi di
guerriglia e di ribellione anti-governativa.
Quella che con orribile termine si chiama in gergo
« umanitario » la popolazione bersaglio degli sfollati (nel caso
particolare l’ironia involontaria é
amara), per il nostro progetto
focalizzato sulle vittime di violenze sessuali e sessiste e solo in questa zona del Distretto di Dar
Sila, é di 69.414, di cui circa 54% donne (Fonte, HCR, giugno 2007).
La
situazione materiale di rifugiati e sfollati non é molto diversa. Anche gli
sfollati sono stati cacciati dai loro villaggi da bande armate, dagli
« arabes » termine
onnicomprensivo che é difficile specificare (la nozione di banditi, nomadi,
guerriglieri, razziatori, ribelli si sovrappongono). Villaggi bruciati,
uccisioni di massa, donne e bambine stuprate. Ma mentre i campi dei rifugiati
sono organizzati fisicamente in quadrilateri, chiamati bloc e in settori, alla
militare,, gli sfollati si sono raggruppati secondo l’abitato dei loro villaggi
di origine. Inoltre il tasso di
alfabetizzazione é molto alto tra I sudanesi, anche tra le donne, mentre é
basso tra i ciadiani e ancor più tra le ciadiane.
Oggi
lavoro con Kaltouma e le sue amiche sudanesi sui possibili accorgimenti per
proteggersi dagli stupri collettivi quando si va in cerca di legna. Dicono quali sono le misure di prudenza che
adottano, parlano senza esitazioni, raccontano aneddoti. Ridono
dicendo che delle bambine hanno abbandonato i loro animali al pascolo e sono
fuggite di fronte a dei nomadi che hanno scambiato per djandjaweed. I genitori
sono dovuti andare a recuperare le bestie e il tutto é finito in ilarità. Una
vecchia aggiunge che lei ha paura ormai dei cavalli (i djandjaweed sono in
genere sempre a cavallo o a dorso di cammello). Sono
contenta dell’atmosfera di fiducia e confidenza che si é creata.
In
luglio, quando le ho incontrate per la prima volta, eravamo tutte imbarazzate. Mi avevano
detto : attenzione, non si puo’ parlare apertamente di stupri, anche se
tutti sanno cosa é avvenuto, se ne parli direttamente rischi di compromettere
poi il lavoro di sensibilizzazione e educazione, « ti bruci ». Quindi
cercavo di prenderla alla larga, ma con una certa sorpresa mi sono resa conto che queste donne erano
pronte a parlare subito di cio’ che era loro successo. Ma come ? Allora ho capito che non so quanti operatori umanitari o quanti giornalisti e
giornaliste le avevano già intervistate per i loro articoli o per le loro
statistiche. Parlando, ognuna di loro tirava spesso un lembo del velo (che non
copre mai la faccia ma solo i capelli) verso le labbra, meccanicamente, sembravano
spersonalizzate, parlavano delle atrocità che erano loro successe con un tono neutro e l’occhio fisso davanti,
raramente con esitazioni, senza mimica facciale Ripetevano cio’ che sapevano che « gli occidentali » vogliono
sapere, gli occidentali che prendono appunti, fanno domande, forse lasciano
qualche spicciolo agli uomini di casa che hanno facilitato l’incontro, e se ne
vanno. Mi sono sentita orribilmente disumana, e ho allora cambiato le carte in
tavola : dopo i loro racconti, ho
deciso di condividere con loro un’esperienza che avevo vissuto in un altro paese africano, un
tentativo di stupro fortunatamente fallito durante una rapina a mano armata. L’atteggiamento e l’espressione dei loro visi
é cambiata. Mi hanno ringraziato
commosse, hanno sorriso, hanno detto che
non avevano mai vissuto una condivisione del genere con delle
« bianche ».
Da
allora abbiamo iniziato degli incontri sulla prevenzione, sull’allerta precoce,
come la chiamiamo, e sulle malaugurate conseguenze del silenzio dovuto alla « honte », alla
vergogna, vergogna che viene gettata loro addosso dalla famiglia,
dall’entourage tutto, dalle autorità, e che viene introiettata . Nel loro caso non
si tratta degli stupri in brousse che minacciano tutte le donne anche locali che vanno
quotidianamente alla ricerca del « fagot », del fastello di legna per
cucinare ma anche e soprattutto da vendere. Crimini questi da « tempo di pace », anche se non
so di che pace si possa parlare in
questo contesto, data l’instabilità politica
cronica del Ciad e il timore di incursioni di ribelli, di nomadi e arabi,
assimilati appunto ai Djandjaweed. Nel
caso di « Kaltouma e le altre » si tratta di crimini di guerra , di crimini contro
l’umanità, di genocidio, anche se probabimente loro di genocidio non hanno mai
sentito parlare.
« Ero
tornata a Oroum dopo un viaggio. Sono arrivati a dorso di cammello ma anche con gli
aerei, Sono fuggita verso la collina, ho
perso mio marito, ho perso I miei bambini, e ne ho poi ritrovato soltanto uno. Sono
rimasta 2 mesi nascosta sulla collina
(con altri). Ma i djandjaweed sono tornati (ci hanno trovato), hanno
selezionato le donne (più giovani), e ci
hanno tenuto per 3 mesi. (Ero incinta),
ho partorito, loro hanno ucciso il
bambino (il traduttore dice « égorgé », sgozzato, ). Ci siamo ancora spostati, sono andata con
loro. Sono rimasta ancora incinta, dopo due mesi mi hanno lasciato partire e
(sono arrivata) in un villaggio di cui non so il nome. Qui ho abortito. Dopo questo, ho lasciato il villaggio e
sono arrivata alla frontiera. Ora sono con mio marito
(ritrovato). Parla un’altra donna:
« Siamo tutte dello stesso villaggio. Sono arrivati la notte, dicevano
che venivano da Nord, allora siamo tutti andati (a rifugiarci) verso il wadi
(corso d’acqua della stagione delle
piogge). Ma loro hanno cambiato direzione. C’erano morti
dappertutto. Io non sono stata stuprata, mi hanno provocato, mi hanno fatto male. Siamo riusciti a seppellire i morti in una fossa comune”. Un’altra donna descrive la sua marcia forzata
quando é riuscita a fuggire dal campo dei djandjaweed dopo 33 giorni:
« Abbiamo camminato per 8 giorni,
abbiamo trovato solo villaggi bruciati,
abbiamo trovato dei campi di arachidi e abbiamo mangiato quello. A Modeina (villaggio alla frontiera) ho incontrato mia
madre, mi ha detto che il papà era stato
ucciso. » Aggiunge che « nessuno la chiede in sposa ». Uno
psicologo camerunese con cui ho parlato diceva che molte di queste ragazze che tutti sanno sono state catturate dai
djandjaweed non riescono più a farsi una famiglia loro e sono praticamente
costrette a trasformarsi in prostitute. “Le si ignora il giorno, si domandano loro servizi
sessuali la notte ».
La
nostra sessione di formazione é finita,
il sole scalda e i bambini (impossibile vedere una donna africana di qualsiasi
età seduta senza bambini addosso) si
fanno impazienti, sono stati fin
troppo buoni. A venerdi’ ? A venerdi’. Usciamo dal campo lentamente, ci sono sempre
persone che chiedono un passaggio.. Penso alle centinaia di Kaltouma che queste
fila di capanne contengono, alle centinaia di migliaia di Kaltouma sparse per il
Ciad e nel Darfur. Le prospettive di
pace in Darfur peggiorano di giorno in giorno in vista dei colloqui di Tripoli,
in Libia, afferma Libération di questa mattina, 11 ottobre. La forza di
pace « ibrida « internazionale promessa da mesi non ha ancora i
finanziamenti. Quante Kaltouma ci saranno ancora ? E a chi importa ?
[1] La concession é lo spazio abitato dove sorgono le varie capanne, dove
abitano i membri di un a famiglia allargata, e generalmente é circondato da
cannucciato e paglia. In una concession possono abitare anche 50 persone
(compresi i numerosi bambini).