LA GLOBALIZZAZIONE DAL BASSO E LA GRANDE
CECITA’
Per anni si è
lamentata l’assenza di una politica europea coerente e univoca concernente
l’immigrazione; oggi se ne delinea una che assomiglia alla doppia faccia del
dio romano Giano [1].
Da un lato si continua ad affermare in linea di principio il diritto
all’accoglienza di minori, profughi, rifugiati, perseguitati in patria, ma
dall’altro ci si allinea sempre di più sul respingimento alla fonte, si ergono
barriere e finanziano “centri di accoglienza”, spesso lager, sempre più lontani
dalle mete dei migranti.
Tale politica è
dettata soprattutto dal timore di perdere il consenso di un’opinione pubblica
disinformata e turbata da timori irrazionali di “invasioni”, “perdita di
identità culturale”, perdita di status. Diffusi quanto infondati sono i
commenti di chi teme che i migranti rubino posti di lavoro agli italiani. Non
si sono mai condotte campagne serie di informazione e comunicazione sociale
sulle realtà, ciascuna diversa dall’altra, dei luoghi di origine di chi fugge
dal proprio paese, condizioni complicate e inoltre cangianti a livello
individuale. Né si conoscono le condizioni di lavoro e di vita dei migranti nei paesi di arrivo, con la condanna del lavoro ricattato e in nero a causa della
condizione di irregolari senza documenti.
L’opinione pubblica si può e si
dovrebbe formare sulla base di fatti, analisi e conoscenze, mentre la si è
lasciata in preda a imbonitori ignoranti e miopi. I governi vengono meno al
loro dovere di avere una visione di lungo periodo e anticipare quelle che sono
tendenze inarrestabili già in atto, mentre non si fanno scrupolo di venire a
patti con i peggiori figuri della storia contemporanea, pur di tentare di
arrestare l’inarrestabile e riuscire a stare a galla fino alla prossima
scadenza elettorale.
Si rimuove la
consapevolezza che i grandi movimenti migratori attuali mettono in scena un
assaggio del futuro, rappresentano la globalizzazione che nasce dal basso e non
può che espandersi e dilatarsi nei prossimi decenni per sfociare in una nuova
umanità meticcia. Sempre che si riesca a superare gli stravolgimenti
inevitabili inerenti al cambiamento traumatico del clima e le sue conseguenze
sul piano ambientale, economico, sociale, culturale. E’ questo il primo fattore
che non potrà non innescare un aumento dei movimenti migratori, il primo angolo
di un metaforico triangolo delle Bermude che minaccerà di inghiottire la stessa
civiltà (o inciviltà) costruitasi negli ultimi diecimila anni, dal neolitico ad
oggi.
Il
riscaldamento climatico che accelera ogni decennio di più, ogni anno di più, è
una realtà ineludibile e quel che più conta, ormai ineluttabile, e stupisce,
con le parole di Amitav Gosh, “la grande
cecità” [2]non
solo e tanto della letteratura che non riesce a farne un soggetto di
narrazione, ma quella ben più gravida di conseguenze dei gruppi industriali,
dei policy makers, che non agiscono né prendono decisioni all’altezza
dell’urgenza dettata dal surriscaldamento. Tutti gli indicatori sono in rosso:
ogni giorno s’allontana la prospettiva di poter limitare l’aumento medio della
temperatura del pianeta rispetto all’era preindustriale a meno di 2 °C[3], in barba all’impegno preso
alla COP 21 a Parigi di limitarlo a 1,5°C. Il sommario rivolto ai decisori
politici del Rapporto dell’IPCC 2013 (International
Panel on Climate Change) non è di lettura agevole, dato il continuo
riferimento alle modellizzazioni elaborate in base al variare delle ipotesi
sugli scenari futuri possibili, a loro volta determinati dalla gamma delle
variabili climatiche in gioco, ma alcune frasi, in grassetto, sono
inequivocabili e si riferiscono a tutti gli scenari, dal più ottimistico al più
pessimistico. Come ad esempio: “Il
livello medio globale del livello dei mari continuerà a salire durante il 21°
secolo. Sulla base di tutti gli scenari, il tasso di aumento del livello marino
supererà molto probabilmente quello osservato tra il 1971 e il 2010 a causa del
riscaldamento dell’oceano e dello scioglimento delle masse dei ghiacciai e
delle lastre di ghiaccio.” [4]
A partire dal
2014, ogni anno è stato più caldo del precedente. Già nel 2008 lo scenario più
benevolo, disegnato da un gruppo di scienziati, the Stockholm Network Thinktank, secondo il quale la transizione energetica
a fonti rinnovabili non impattanti veniva abbracciata con convinzione dalle
principali nazioni fonti di emissioni di gas di serra e il picco dei veleni
nell’aria veniva raggiunto nel 2017 (il che sembra si stia verificando, a 40
miliardi di tonnellate/anno di Co2[5]) implicava un aumento di
temperatura rispetto al 1850 di 2,89°C[6] nel 2100.
Le conseguenze
sulle aree più fragili del pianeta, che coincidono quasi sempre con quelle di
provenienza dei flussi migratori, sono piuttosto facili da intuire: vaste zone
del Bangladesh sott’acqua, terre sempre più salinizzate e sterili per
privazione dell’humus dilavato da piogge torrenziali (eventi climatici più
violenti e frequenti), conflitti per accesso a risorse sempre più scarse (già
da tempo si sono acuiti scontri tra allevatori e agricoltori nel Sahel),
urbanizzazione e degrado delle bidonvilles, disoccupazione cronica, crisi
idriche. A Gaza già il 97% dell’acqua non è adatta a usi domestici, allerta
l’UNRWA, e nel 2020 l’enclave potrebbe non essere semplicemente abitabile, se
nessuna misura sarà presa. Israele non sembra preoccuparsene. E la grande
cintura verde che dovrebbe attraversare tutta la fascia saheliana dal Senegal a
Gibuti e rigenerare i terreni restituendo fertilità sta avanzando a passo di
lumaca, né egualmente pare essere in cima alle preoccupazioni dei governi dei
paesi della regione[7].
Attualmente assomiglia a una pelle di leopardo, e non può non risentire delle
vicende politiche turbolente nel Sahel.
Quindi in
futuro non potremo che constatare un aumento dei cosiddetti profughi
ambientali. Li vogliamo buttare tutti a mare? Mettere in carcere in un deserto
in bollore?
Il secondo
fattore non preso sufficientemente in
considerazione dagli attuali policy makers, sia europei che statunitensi, e
secondo angolo del triangolo delle Bermude, riguarda la demografia. Basta
scorrere qualsiasi rapporto recente recante i tassi di crescita della
popolazione o gli indici di fertilità per donna per rendersi conto che nei
prossimi 30 anni in molti paesi della UE la popolazione o crescerà di poco o
addirittura diminuirà (crescita negativa oggi in Germania, Ungheria, Lettonia,
Lituania, Moldavia, debole crescita in Italia, Olanda, Francia, Portogallo,
Svezia). Nel 2050 l’Europa perderà circa il 24% della popolazione lavorativa
mentre gli ultrasessantenni rappresenteranno il 47% della popolazione[8]. Negli Stati Uniti la
popolazione crescerà da 321 milioni nel 2015 a 438 milioni nel 2050 grazie al
contributo (per l’82%) dell’immigrazione[9].
Ma il Sud-est
asiatico e soprattutto l’Africa sub-sahariana continueranno ad avere nei
prossimi decenni una popolazione in robusto aumento: ancora i tassi totali di
fertilità (TFR) nella maggioranza dei paesi a sud del Sahara oscillano tra 3/4
e un massimo di 6, con un minimo di 1,5 delle Mauritius e di 2,3 delle
Seychelles[10].
Se si pensa al principio dei vasi comunicanti –e comunicanti non potranno non
essere a prezzo più o meno alto, ad onta di tutte le barriere – è facile trarre
le conseguenze da quanto sopra. Quando la Germania nel 2015 ha aperto le porte
a un milione di profughi pensava precisamente al suo futuro deficit
demografico.
Ed infine il
terzo angolo del fatale triangolo è costituito dalle realtà politiche attuali
prevalenti nella maggioranza dei paesi di provenienza dei migranti, realtà che
a breve e medio termine non paiono promettere di cambiare in meglio. Se mai
potrebbero peggiorare. Continua il caos in Libia, che non ha mai avuto uno
Stato degno di questo nome ed è, come la Somalia, un coacervo di clan e
sotto-clan, non si vede la fine della dittatura militare in Egitto, il Mali è ancora
destabilizzato non solo a nord dai Touareg e da Isis ma anche al centro da una
crescente guerriglia peulh [11]; il Burundi resta sotto
il tallone di Nkurunziza che continua a eliminare gli oppositori[12], la Repubblica
Centrafricana è ancora in subbuglio a sud, il Corno d’Africa è non solo
poverissimo ma percorso da conflitti, repressione (Eritrea ed Etiopia seppure
in scala inferiore) e gruppi jihadisti come in Somalia con gli Shabaab e ora
anche Isis[13]
.La Nigeria non riesce a sconfiggere Boko Haram, che arretra ma si disperde in
mille rivoli come d’altra parte fa l’Isis in Siria; Il Medio Oriente è stato
sbranato e la destabilizzazione si allunga fino all’Asia Centrale
(Afghanistan); la Palestina è una ferita aperta; lo Yemen è spaccato e in preda
a una crisi umanitaria gravissima dopo l’inizio della guerra contro il
movimento Houthi guidata dall’Arabia Saudita e foraggiata dagli USA, che ha provocato il rafforzamento di Al Qaida. La
situazione intorno al lago Ciad è migliorata dal punto di vista militare, ma
manca sempre l’intervento statale in termini di servizi, opportunità di lavoro
e finanziamenti sociali (http://www.adiac-congo.com/content/autour-du-lac-tchad-se-joue-un-gigantesque-drame-de-survie-62010). Anche in Niger e Burkina Faso la risposta al crescere
preoccupante di attacchi e attentati di marca jihadista è più militare che
sociale, a dispetto delle raccomandazioni di esperti e consiglieri strategici
dell’International Crisis Group. La Guinea era già
poverissima prima del flagello Ebola, che non deve aver migliorato le
condizioni di vita, ed ora è anche in rivolta a nord perché l’estrazione della
bauxite è fattore di inquinamento agricolo, mentre i proventi della vendita del
minerale non arrivano alla popolazione. Tutte queste situazioni sono frutto di
decenni di mala storia e malgoverno e non miglioreranno prevedibilmente né a
breve né a medio periodo in modo decisivo. E allora? Chiudere gli occhi di
fronte alla realtà non può non produrre mostri. E non si dica che un territorio
ricco come l’Europa con 500 milioni di anime non può assorbire dieci, quindici
milioni di migranti quando un Libano piccolissimo con 6 milioni di abitanti ne
ha accolti più di un milione (a dx, dintorni Lago Ciad).
Chi oggi guarda
con obbrobrio e condanna come crimini contro l’umanità la schiavitù, il
colonialismo e il commercio triangolare sul quale l’Europa costruì la
rivoluzione industriale e la sua prosperità non si rende conto che tra
cinquanta o cento anni, se l’umanità sarà riuscita a superare senza collassare
la sfida del cambiamento climatico, con eguale raccapriccio si guarderà
indietro a questa nera parentesi in cui il negazionismo del sacrosanto diritto
di attraversare frontiere per cercare una vita migliore o per fuggire guerre e
persecuzioni, siccità e inondazioni, disoccupazione e disperazione, provocò
decine, centinaia di migliaia di cadaveri, un immenso carico di sofferenze e di
vite fallite, e fu vilipeso il diritto internazionale.
[1] http://www.governo.it/sites/governo.it/files/immigrazione_0.pdf
[2] Titolo
del suo ultimo libro dedicato al cambiamento climatico, edito da Neri Pozza.
[3] http://www.lemonde.fr/planete/article/2017/05/09/tous-les-indicateurs-du-rechauffement-climatique-sont-au-rouge_5124694_3244.html
[4] E.6 p. 23 Global
mean sea level will continue to rise during the 21st century (see Figure
SPM.9). Under all RCP scenarios, the rate of sea level rise will very likely
exceed that observed during 1971 to 2010 due to increased ocean warming and
increased loss of mass from glaciers and ice sheets. {13.3–13.5}
[5] Stéphane Foucart. Tous les
indicateurs du réchauffement sont au rouge. Le
Monde, 20/5/2017
[6] Mark Lynas. There’s no escape
from meltdown. The Weekly Guardian,
20/06/2008
[7]
http://edition.cnn.com/2016/09/22/africa/great-green-wall-sahara/
[8] Jack Goldstone. The New Population
Bomb. Foreign Affairs, Gennaio 2010. http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Fertility_statistics
[9]
http://www.pewsocialtrends.org/2008/02/11/us-population-projections-2005-2050/
[10]
http://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/fertility/world-fertility-patterns-2015.pdf
[11] http://www.liberation.fr/planete/2017/03/03/paix-au-mali-l-espoir-fragile_1552847
[12] http://www.jeuneafrique.com/419261/societe/burundi-deuxieme-pays-plus-malheureux-monde-dapres-world-happiness-report/
[13]
Rapporto C.E.S.P.I. Sviluppo, Sostenibilità e Sicurezza. L’Italia e le sfide
nel Corno d’Africa. Aprile 2017.