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mercoledì 21 novembre 2018

MEDIOEVO ITALIANO


MEDIOEVO ITALIANO 


DaisyOsakue atleta italiana colpita dal lancio di un uovo, estate 2018

“They were crooks who knew what they were doing, these are crooks who don’t know what they are doing”: tradotto, erano farabutti che sapevano dove mettere le mani, questi sono farabutti che non lo sanno.

 Questa frase letta molti anni fa, probabilmente sul Guardian, era il fulminante giudizio di un politologo sulla differenza tra la dittatura di Ferdinand Marcos nelle Filippine, durata dal 1965 al 1986, e il regime di Corazón Aquino, succedutagli dopo la sua caduta e fuga. L’elezione di “Cory” fu salutata con grande entusiasmo, ma presto mostrò tutte le sue pecche: improvvisazione, inettitudine e malcostume dei suoi collaboratori,patetica impreparazione di Cory stessa in loro balìa, lei che era vissuta fino all’assassinio del marito, famoso oppositore di Marcos, all’ombra del consorte, senza alcuna carica o esperienza di governo.

Quella frase mi sembra calzare a pennello la situazione italiana attuale dopo le elezioni politiche del 4 marzo scorso  e la formazione dopo molti tiramolla di una sgangherata e destrorsa coalizione di governo, non tempesta improvvisa e inaspettata come alcuni, ad esempio Alessandro Piperno, sembrano suggerire[1], bensì esiziale esito di un tragitto storico lungo decenni durante i quali anche le fasi di relativa salute economica, integrazione sociale e ricchezza culturale sono state insidiate da tare di cui i farabutti che sapevano dove mettere le mani ed erano al potere  non solo non hanno mai voluto sbarazzarsi, ma che hanno coltivato più o meno nascostamente, mentre chi avrebbe dovuto e potuto contrastarli  alzava la voce, se la alzava, tanto sommessamente da riuscire il più delle volte inudibile, in un crescendo di negligenza della cosa pubblica e di alacre accudimento a privati interessi. Altro che rivolta contro il “politicamente corretto”! In passato avevamo probabilmente più anticorpi, ora il sistema immunitario Italia sta andando in tilt. 
Questi dilettanti apprendisti criminali allo sbaraglio, chi li ha eletti?


Un rapido rewind a partire dal 1945.

Bisogna ricordare innanzitutto che questo è il paese delle stragi impunite, a partire da quelle nazifasciste. Fu solo nel 1994, in margine alle indagini su Erich Priebke, condannato successivamente per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, che emersero più di 600 fascicoli relativi alle stragi compiute da nazisti e fascisti dopo l’8 settembre 1943, archiviati “provvisoriamente” nel 1960 in un armadio le cui ante erano girate verso il muro. Grazie alla battaglia in primis del giornalista Franco Giustolisi appoggiata dal settimanale L’Espresso a partire dal 1996 si arrivò infine alle indagini, alle audizioni di testimoni e indiziati, e a condanne, anche all’ergastolo, che non furono mai eseguite.  L’istituzione di una Commissione Parlamentare d’inchiesta terminò con due relazioni contrastanti nelle conclusioni e l'increscioso ritrovamento fu silenziato con il solito insabbiamento. Dal 2016 i fascicoli sono almeno consultabili online[2].
 
Emblema della Gladio
A due anni dalla Liberazione la strage di Portella delle Ginestre, il primo maggio 1947, apre la strada al potere democristiano e inaugura la strategia della tensione, come giustamente sottolineano  Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino in un lungo scritto assai documentato pubblicato nel 2007 sul sito Peacelink dal titolo eloquente: Stati Uniti eversione nera e guerra al comunismo in Italia 1943-1947. Non bisogna quindi aspettare la strage di Piazza Fontana alla Banca dell’Agricoltura di Milano del 12 dicembre 1969 per inaugurarla ufficialmente. E durante il ventennio 1947-1968 d’altra parte non mancano tentativi di golpe militari con la complicità di poteri manifesti e occulti: basti pensare al Piano Solo, cospirazione il cui motore primo è il Generale De Lorenzo dell’Arma dei Carabinieri, che tesseva le sue trame eversive per sventare l’avvicinamento della sinistra al governo, disegni mai concretizzati fortunatamente. Oppure si vada a rispolverare la documentazione relativa all’Organizzazione Gladio, struttura militare occulta costituita nel primo dopoguerra in ambito NATO allo scopo preciso di condizionare il quadro istituzionale e politico italiano, che era parte della ben più estesa rete NATO-CIA Stay Behind esistente in vari paesi europei[3].

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 Dopo ben sette processi per la strage di Piazza Fontana, di chiarissima marca fascista con amplissime implicazioni del potere statale anche ai massimi livelli civili e militari, la conclusione fu: assoluzione collettiva per tutti gli imputati a dispetto della ormai comprovata colpevolezza di almeno due dei principali responsabili, Franco Freda e Giovanni Ventura, perché già assolti in un precedente procedimento e quindi non più punibili. Nel giugno del 1970 era uscito il primo libro d’inchiesta su Piazza Fontana, La Strage di Stato, frutto del lavoro di militanti della sinistra edito da Samonà e Savelli. La copia che possiedo, la quinta edizione, è del 1971 e reca sulla copertina la scritta: 130° migliaio. Già allora emergevano inequivocabili sia le responsabilità istituzionali in alto loco sia l’impiego della manovalanza fascista, responsabilità che trentasei anni dopo sono state siglate dall’impunità.

E impunite sostanzialmente sono state le stragi di Brescia, del treno Italicus, di Bologna, di Ustica e le morti delle tante vittime delle leggi speciali degli anni ’70. Sono le stragi statal-fasciste che stanno dietro ai cosiddetti anni di piombo e alla scelta sventurata della lotta armata.
Così la fiammata di liberazione e riscatto del 1968/69, le lotte operaie e popolari che seguirono e gli innegabili successi che esse conseguirono, furono troppo presto smorzate e spente dal contrattacco durissimo e sanguinoso dei padroni del vapore. Con la “marcia dei 40.000” alla Fiat[4] iniziò il declino della mobilitazione di massa e la perdita di terreno delle organizzazioni dei lavoratori e dei proletari. 
Marcia dei 40.000 a Torino, 1980

Gli anni ’80 furono gli incubatori della globalizzazione e prepararono la disintegrazione del lavoro in tutto il mondo, quindi anche in Italia, dove un imprenditore e faccendiere toscano chiamato Licio Gelli, alias il Venerabile, stendeva il suo Piano di Rinascita Democratica della Loggia Massonica P2 e ne controllava la lenta messa in opera. 
La Commissione Parlamentare d’Inchiesta, presieduta dalla integerrima democristiana Tina Anselmi, dal 1981 al 1985 riuscì a portare alla luce tutta la complessità della macchinazione e a rendere pubblici i nomi dei componenti della Loggia, tra i quali politici, militari e imprenditori di spicco, incurante di minacce e intimidazioni. Ciò non ne impedì la progressiva esecuzione, tanto è vero che lo stesso Venerabile poteva compiacersene: «Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tivù, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto 30 anni fa in 53 punti»[5]. Da notare che è già pronto il nuovo Gelli versione digitale alias Steve Bannon, in missione per conto di dio in Europa con l'occhio fisso alle elezioni europee e le tasche piene di soldi.**
Lo spartiacque del 1989 pone fine alla rivalità “tradizionale” Est-Ovest e cambia tutto lo scenario internazionale per inaugurare un’era di nuove guerre e nuovi conflitti, e non è certo un caso che in Italia fu solo nel 1990 che la questione Gladio emerse alla luce del Sole.
Licio Gelli e Andreotti
Gli anni ’90 sono “la grande occasione” per gli eredi del PCI, sciolto frettolosamente nel 1991 dal suo ultimo segretario, Achille Occhetto[6] e diventato Partito Democratico della Sinistra (PDS) per entrare a pieno titolo nel rango dei papabili in vista della conquista del governo, vista come ultima tappa vittoriosa della lunga marcia attraverso le istituzioni. Grande occasione che sarà tristemente mancata e sfocerà nell’assenso del governo D’Alema alla “nuova” NATO del 1999 (altri 50 anni di sicurezza!) e alla partecipazione alla guerra in Kosovo.

Il 1992 sembra marcare uno spartiacque storico con il terremoto dell’inchiesta “Mani Pulite”, la crisi dei poteri forti di cui vengono alla luce malversazioni e corruzione endemica, la fine del potere socialista e di Bettino Craxi e, bomba mediatica, la sparizione della Democrazia Cristiana al potere dal 1948. Ma la rottura è più apparente che reale e soprattutto si compie ad opera del potere giudiziario, non attraverso una presa di coscienza popolare a livello politico. Il tradizionale trasformismo italiano prevale, ed ecco spuntare “il nuovo” nel 1994 nella veste del grande Venditore[7] per antonomasia che venderà fuffa e sogni per un ventennio agli italiani narcotizzati dal suo piglio buffonesco e dai suoi successi imprenditoriali, un ventennio inaugurato, guarda caso, da un’altra stagione stragista (1992-93).
Strage Via dei Georgofili, 1993


E sarà il ventennio della sconfitta di quel che resta della gloriosa classe operaia degli anni ’70, della sua disgregazione in una miriade di lavoratori “atipici” - anteprima della flessibilità, delle delocalizzazioni e dismissioni, della Gig Economy odierna[8] - , del declino del Welfare State e della progressiva sottrazione di finanziamenti ai servizi pubblici, cardine della solidità della compagine sociale, a vantaggio del privato (Università e scuola, sanità, trasporti, telecomunicazioni), il ventennio della scomparsa della locuzione “lotta di classe” dall’ordine del discorso[9], ormai parola interdetta nella terminologia di Michel Foucault.  Ma viva e vegeta nella realtà storica e sociale: come ben spiegato da Luciano Gallino, ora la lotta di classe la fa una parte sola[10]. E’ in questo quadro di dilagante strapotere del corporate power internazionale, altresì denominata globalizzazione, di pauperizzazione di larghi strati di popolazione e di aumento della capacità attrattiva di mafie vecchie e nuove che estendono i loro pascoli su sempre nuove fette di economia che crescono le disuguaglianze, la distanza astronomica di reddito e benessere tra la base e il vertice della piramide sociale e esplode la bolla finanziaria del 2007/20008 a partire dagli Stati Uniti, che in Italia non è mai finita.

La storia di un paese non si sbianchetta facilmente e se non si ignora questa zavorra pesantissima che l’Italia si porta dietro – e si è accennato sommariamente soltanto ad alcune fasi marcanti dell’ultimo dopoguerra – si può esprimere smarrimento nel guardare al nostro presente in questo scorcio finale di 2018, a questa oscena sceneggiata quotidiana di dilettanti allo sbaraglio che per via elettorale si sono impadroniti dell’Italia, ma non è lecito stupirsi più di tanto. Questo non vuol dire ovviamente che fosse scritto in cielo che Lega e Cinque Stelle formassero questo governo, ma è difficile negare che non si respirasse un’aria da fin de régime da anni. Ora guardiamo le macerie e ci chiediamo come ce ne sbarazzeremo per ricominciare a costruire su fondamenta più solide la casa Italia. In tutti i sensi, pensando al dissesto idrogeologico, trascurato come se fosse un aspetto secondario della nostra realtà. Ci chiediamo se stiamo toccando il fondo o no.

Ma alla luce degli ultimi 70 anni si comprende come siamo potuti arrivare al margine del burrone: lenta privatizzazione strisciante del Sistema Sanitario Nazionale universalistico del 1978, spesa sanitaria ridotta a una percentuale sempre decrescente di PIL, il 6,6 nel 2017, che dovrebbe ulteriormente scendere a 6,3 nel 2020, percentuali mai raggiunte in passato che non assicurano le coperture necessarie, tanto che circa 12 milioni di persone rinunciano a curarsi[11]; Italia fanalino di coda per quanto riguarda l’istruzione tra i paesi OCSE, al 30° posto, con 600.000 giovani che non finiscono la scuola dell’obbligo, con 2,2 milioni di ragazzi che non studiano né lavorano, e con una percentuale di laureati tra le più basse in Europa (18%, mentre la media OCSE è del 37%), la percentuale di analfabeti funzionali più alta dell'Unione Europea[12]. In Italia più del 45% di persone adulte legge meno di 3 libri all’anno e solo il 12% ne legge almeno 12, mentre un 40% circa ha meno di 1 libro in casa. Tutti dati facilmente reperibili online. Abbiamo almeno 40 Siti di Interesse nazionale (SIN) nei quali sono interrati rifiuti tossici che uccidono lentamente, molti di essi conseguenze di una industrializzazione altrettanto tossica e conseguita a colpi di sovvenzioni statali a fondo perduto, vedi Ottana in Sardegna[13], industrializzazioni fugaci che hanno lasciato dietro la desertificazione. Il bel libro di Marina Forti, Malaterra, edito da Laterza, offre una desolante panoramica di questi territori che aspettano una bonifica. 

 Terra dei fuochi, terra di tumori

C’è un revival di neofascismi razzisti in molte parti d’Europa[14], ma l’Italia ne è una degna testa di ponte, con una serie di aggressioni a catena negli ultimi mesi[15]nelle quali non si sa se sia più stupefacente l’ottusità o la crudeltà gratuita. E il bersaglio preferito è il tasso di melanina giudicato eccessivo dell’epidermide. In particolare ci fa una bella pubblicità sul New York Times l’articolo di una giornalista che ha avuto la sfortuna di fare uno stage di sei mesi a Firenze durante i suoi studi, nel 2013[16]. Disoccupazione oltre il 10%. Caporalato, a dispetto della recente legge che intende combatterlo, favorito dalla mancanza di controlli per carenza di ispettori e connivenze. Il decreto sicurezza che toglie la protezione umanitaria e smonta il sistema di integrazione diffusa per i migranti rafforzerà l'illegalità e aumenterà il tasso già notevole di anomia. per soprammercato, si contesta l'austerità della UE da destra, un capolavoro. Eccetera.

L’Italia si è risollevata dalla catastrofe del 1943, è legittimo sperare che si risollevi dal fallimento di questo lungo lunghissimo dopoguerra? E che si doti di una classe dirigente degna di questo nome?







[1] Si veda ad esempio l’intervista a Alessandro Piperno sulla Stampa del 18/!!/2018, https://www.lastampa.it/2018/11/18/cultura/fiaccati-da-anni-di-politicamente-corretto-gli-italiani-vogliono-trivialit-e-tracotanza-3TQuomd3B2BPoHGGqLVLcP/premium.html
[2] http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/15/news/stragi-nazifasciste-l-armadio-della-vergogna-adesso-consultabile-online-1.250535

[3] http://www.archivio900.it/it/documenti/doc.aspx?id=24
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Marcia_dei_quarantamila
[5] https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2015/12/16/piano-di-rinascita-di-gelli-cosa-e-stato-attuato/160398/
[6] http://www.italnews.info/2018/02/03/3-febbraio-1991-su-iniziativa-di-occhetto-si-scioglie-il-pci/
[7]https://www.ibs.it/venditore-storia-di-silvio-berlusconi-libro-giuseppe-fiori/e/9788811600466
[8] https://www.ft.com/content/b5a2b122-a41b-11e5-8218-6b8ff73aae15
[9] http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/filosofiacritica/ordinediscorso.pdf
[10] Luciano Gallino. La lotta di classe dopo la lotta di classe. Laterza, 2012
[11] https://www.ilmessaggero.it/economia/economia_e_finanza/sanita_poverta_italia_cure_medicine_istat-3836039.html
[12] http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/03/07/news/analfabeti-funzionali-il-dramma-italiano-chi-sono-e-perche-il-nostro-paese-e-tra-i-peggiori-1.296854
** Si leggano gli articoli che il Guardian ha dedicato alla missione di Bannon in Europa: https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/jun/06/steve-bannon-far-right-radicalise-europe-trump

[13] http://www.dire.it/15-05-2018/202412-ottana-dallillusione-industriale-allincubo-desertificazione/

[14] https://www.letemps.ch/opinions/retour-racisme
[15] http://www.cronachediordinariorazzismo.org/unestate-allinsegna-del-razzismo/
[16] https://www.nytimes.com/2018/10/23/travel/racism-travel-italy-study-abroad.html

mercoledì 17 ottobre 2018

MARE E' MONTAGNA: MARSIGLIA E LANGUEDOC-ROUSSILLON


MARE E’ MONTAGNA: DALLA SARDEGNA AI PIRENEI CATALANI (3)

Marsiglia: vecchio porto e Notre Dame de la Garde sullo sfondo

L’impressione provata all’arrivo nel centro di Marsiglia è stata quella di essere stata catapultata nell’ombelico di un mondo caleidoscopico dalle mille sfaccettature e colori, un microcosmo multiculturale effervescente e traboccante di vitalità e versatilità, che tuttavia si manifesta sul fondale tutto francese di palazzi dalle alte finestre piombate, di piazze dall’architettura enfatico-imperiale e di boulevard alberati. Ci sono più cuori nel centro antico[1] di questa città, ma l’arteria in cui la vita pulsa più forte è la Canebière, che parte dal vecchio porto e sale verso la stazione ferroviaria, e il cuor dei cuori è il bacino del porto, ammaliante al crepuscolo con i suoi riflessi rossastri tra i gusci di barche e la visione lucente di Notre Dame de la Garde che si accende poco dopo, appollaiata sulla collina a 162 mt sul livello del mare proprio di fronte al Quai du Port che pullula di ristoranti affollati. 
Notre Dame de la Garde
In fondo al Quai du port, dopo il Forte St Jean (fortezza del 1600), troneggia la mole del MuCEM, il Museo delle civiltà d’Europa e del Mediterraneo, la cui progettazione[2] riesce magistralmente a sposare una sagoma dalla linearità degna di Le Corbusier a delle vestigia secolari. All’epoca della mia visita, oltre a una profusione di altre mostre e alle collezioni permanenti, c’era una esposizione che ho trovato bellissima e originale il cui leitmotiv era l’oro, con il suo pendant esecrabile (esecrata fame dell’oro di virgiliana memoria), attraverso le culture, i continenti e i millenni. 

Tra una folla di oggetti, abiti e monili splendenti, particolarmente coinvolgenti sono le storie umane dietro alcuni gioielli provenienti dal Monte dei Pegni di cui si sono rintracciati gli antichi proprietari, costretti a separarsene per sopravvivere, e che sono stati riscattati dagli organizzatori e loro restituiti.
Mi ha poi colpito la grande foto di un paesaggio irto di guglie e speroni di terra rossa inframmezzati da una vegetazione rigogliosa. Il lungo pannello illustrativo rivela che quel panorama non ha nulla di naturale e si scopre l’incredibile: la contestata tecnica del moderno hydraulic fracking, usata oggigiorno per recuperare lo shale gas e le sabbie bituminose ricche di petrolio, ha insospettati antecedenti e risale addirittura al 1° sec. d.C. Infatti fu ideata e sperimentata in Spagna dai tecnici e ingegneri dell’impero romano[3], salvo che invece di usare le moderne trivelle, gli esplosivi e le micidiali sostanze chimiche si impiegava la forza lavoro umana per aprire i percorsi di penetrazione dell’acqua nella roccia. 

Foto di Las Medulas al MuCEM
L’acqua del fiume Cabo era convogliata in un grande bacino a monte della zona aurifera da dove, tramite canali scavati da migliaia di braccia, si faceva irrompere l’acqua in gallerie praticate nella roccia che scoppiava cedendo alla pressione, dopo di che i filoni auriferi venivano allo scoperto e depredati[4].  Così la possente montagna è stata letteralmente demolita per sciacquarne via quasi cinque tonnellate d’oro durante i 250 anni di sfruttamento. Il paesaggio semilunare attuale che ne è conseguito è quello di Las Medulas, nella regione di Leon e Castiglia, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997 (ben avida umanità!), ed è Plinio il Vecchio, procurator in Spagna nel 74 d.C., che descrive la tecnica di estrazione dell’oro dalle profondità della montagna coperta dalla foresta primaria e ne depreca le conseguenze distruttive e feroci sul paesaggio e sugli esseri umani:
“Ciò che si realizza è più di quanto potrebbero fare dei giganti. Si scavano corridoi e gallerie nelle montagne al lume di lampade che servono (anche) a scandire i turni di lavoro. Per mesi i lavoratori non escono a vedere la luce del sole e molti di loro muoiono nei tunnel. Questa tecnica è stata definita “ruina montium” (distruzione delle montagne). ues Le crepe inferte alle viscere della roccia sono così pericolose che sarebbe più facile cercare la porporina o le perle sul fondo del mare che ferire la pietra. Quanto abbiamo reso pericolosa la terra![5]” Oggi questa regione unica e spettacolare è visitata annualmente da migliaia di turisti[6].
Las Medulas oggi, foto dal sito :https://www.spain.info/en
 Nell’esposizione Ruralités scopro un altro tipo di miniere, le “miniere d’acqua”. Si tratta di antichi reticoli sotterranei drenanti, preziose fonti di rifornimento idrico per le oasi date le frequenti crisi di siccità, abbandonati e oggi riscoperti e accuratamente riabilitati, chiamati khettaras in Marocco, foggaras in Algeria e qanâts in Iran.
Calanchi di Marsiglia
Murale nel quartiere di Panier
Dal vecchio porto parto con un’escursione in barca per vedere i calanchi, mini-fiordi di calcare bianchissimo che si estendono per miglia nelle vicinanze, e ammirare il castello d’If, nella baia, in onore di Dumas e del suo eroe più famoso, il Conte di Montecristo. Il quartiere antico chiamato Panier è un’altra attrazione del centro storico, con i vicoli rallegrati da murales beffardi e il museo dedicato all’infanzia del Préau des Accoules, che trovo chiuso poiché è domenica. E’ aperto invece il museo della Vieille Charité, originariamente un ospizio seicentesco dove si rinchiudevano i mendicanti, i vagabondi, i devianti bollati come folli, in breve una discarica sociale creata dalla nascente borghesia cittadina, un’invenzione moderna descritta e denunciata da Michel Foucalt nel suo primo libro, la Storia della follia nell’età classica.
La prossima tappa è Montpellier, altra magnifica città, altro magnifico centro storico, ma altra cornice culturale: siamo nella Linguadoca e il centro antico è medievale, ben preservato e curato.
Montpellier, centro storico
Le targhe dei monumenti e le didascalie recano una doppia dicitura: francese e catalana. Infatti la denominazione geografica Linguadoca deriva da “langue d’oc”, uno dei primi volgari (dopo il latino) parlato in questa regione dove “oc” equivaleva al nostro “si”. Al centro e al nord prevaleva invece la “langue d’oil”, sempre definita a partire dalla sua particella affermativa. Tra i due volgari, quello del sud (oc) e quello del nord (oil), prevalse l’oil grazie al centro del potere politico che si stabilì dal 1200 in poi decisamente al centro-nord con la dinastia reale dei Plantageneti, legati all’Inghilterra. Ma ancora oggi la storia delle battaglie catalane per l’indipendenza testimonia della vitalità di una tradizione culturale e di una lingua (trasformata certo) fortemente caratterizzate e dalle profonde radici. Scopro grazie a una lapide commemorativa che i poeti e le poetesse che ancora compongono le loro opere in langue d’oc sono denominate rispettivamente félibres e félibresses: essi partecipano ai lavori del Félibrige[7] per salvaguardare e promuovere questa lingua, che non viene più parlata nemmeno come dialetto locale. La si può imparare a scuola se la si sceglie come materia opzionale, mi dice una studentessa incontrata vicino alla monumentale Facoltà di Medicina dell’Università, tra le più antiche al mondo.
Montpellier, facoltà di Medicina
Per proseguire da Montpellier, sperimentata l’inaffidabile puntualità dei treni ordinari francesi[8], mi affido a Eurolines e approdo puntualmente al capolinea di Perpignan, altra piacevolissima città del Roussillon, ricca di musei e palazzi storici, il più interessante dei quali è l’imponente Palazzo dei Re di Maiorca. 
Castellit a Perpignan

Notevole anche il Castellit, porta d’ingresso al centro storico pedonale, con un museo antropologico e di varia umanità, che si estende per molti piani, dove apprendo l’origine della parola “campana”: fu nell’anno ‘400 che per la prima volta delle campane (finora chiamate kaudanés dal greco) furono installate in un campanile della città campana di Nola, per cui da allora furono chiamate “nole” o…campane[9]. All’ultimo piano sono esposte delle statuette chiamate dagydes, strumenti di stregoneria nera usate per gettare la mala sorte[10]. Bellissima la mostra su Raoul Dufy al museo Hyacinthe-Rigaud.
Musica in strada a Perpignan
Infine arrivo alla tappa finale del viaggio, i Pirenei, di cui esploro parzialmente soltanto la sezione orientale grazie al famoso trenino giallo, meraviglia tecnologica del 1910 che si arrampica fino oltre 1550 mt di altitudine su solidi ponti d’ acciaio tra foreste, in servizio (estivo) ininterrotto da 118 anni. Sovrastando grandi distese di prati le montagne più alte si profilano all’orizzonte, ruscelli e fiumi scorrono in abbondanza, per cui le passeggiate sono sempre accompagnate dal borbottio dell’acqua che scorre da qualche parte. Il villaggio più densamente abitato è Villefranche de Conflent, capolinea inferiore del percorso del trenino giallo, sul quale incombe inastato su una rupe vellutata di verde la fortezza Liberia, capolavoro dell’architetto-ingegnere di fiducia di Luigi XIV, il marchese di Vauban[11], che ne fece costruire tutta una serie a difesa del territorio francese.
Trenino giallo dei Pirenei
Fort Liberia visto da Villefranche de Conflent

Il mio soggiorno in montagna coincide fortunosamente con lo svolgimento del tradizionale Festival internazionale di fotogiornalismo di Perpignan Visa pour l’Image[12], cui partecipano i giornalisti d’inchiesta più famosi del mondo, a ingresso gratuito. Antichi palazzi, conventi e chiese sconsacrate, aule di università, tutti gli spazi pubblici possibili sono utilizzati per le esposizioni tematiche sulle grandi crisi che attanagliano il mondo anche attraverso storie individuali emblematiche con foto di un’icasticità e pregnanza indescrivibili. Ci sono servizi sull’esodo dei Rohingya, sul lavoro e la vita dei minatori del Potosì (che già mi avevano sconvolto durante il mio viaggio in Bolivia[13]),
Minatori di Potosì
sulla lenta rinascita a una nuova vita di ex-guerriglieri e guerrigliere delle FARC in Colombia, e poi le distruzioni in Yemen, Irak, e Siria, un bellissimo lavoro su una prigione modello (Bomana) in Papua-New Guinea, la storia di un ragazzino afgano (Ghorban) partito a 12 anni da Kabul senza un soldo approdato a Parigi, ora cittadino francese, la morte di Bobby Sands e la Belfast del 1981, il disastro attuale urbano di Johannesburg, forse la serie di foto che più mi ha turbato: si vedono in azione le squadre delle cosiddette “Formiche Rosse”, poveracci addestrati e pagati dai proprietari immobiliari per buttare fuori gli squatter da case fatiscenti occupate, con una violenza tale che provoca anche morti. 

Formiche rosse in azione: il marito della donna è a terra morto

Terribile vedere come le Formiche Rosse, così chiamate per le loro uniformi fiammanti, festeggiano brindando fuori dagli immobili sgomberati, loro che sono i fratelli o i cugini e i vicini delle vittime ora homeless e si inorgogliscono del vile potere acquisito su di essi vendendosi l’anima.
Sull’Italia ci sono soltanto degli enormi pannelli e foto nel cortile del Couvent des Minimes, sormontati da una scritta che mi fa rabbrividire: Napoli, la terra dei tumori. Si documenta il calvario della terra dei fuochi con dati precisi e testimonianze: la riflessione sulla metamorfosi della Campania felix in una bomba a frammentazione a effetto ritardato mi riporta bruscamente e crudelmente in patria. Ma ancora un giorno risalgo a godermi il bel paesaggio dei Pirenei.

Paesaggio nei Pirenei orientali vicino alla Cabanasse
 

 


[1] Marsiglia fu una colonia greca e poi romana, e il suo grande porto la rese attraverso i millenni un crogiuolo di lingue e culture, ciò che è ancora oggi.
[2] L’architetto, Rudy Ricciotti, è francese nato ad Algeri.
[5] https://en.wikipedia.org/wiki/Las_M%C3%A9dulas. La citazione da Plinio è tradotta dall’inglese.
[8] Non i TGV, trains grande vitesse, migliori delle nostre Frecce
[9] https://www.etimo.it/?term=campana
[10] https://lacoupedesfees.jimdo.com/les-bougies-en-magie/les-dagydes/
[11] https://fr.wikipedia.org/wiki/S%C3%A9bastien_Le_Prestre_de_Vauban
[12] https://www.visapourlimage.com/en
[13] Dopo aver visitato Potosì ho tradotto uno dei libri di uno scrittore nato nella regione che descrive in storie insieme fantastiche e truculente la realtà quotidiana dei minatori: Cuentos de la Mina, di Victor Montoya. (Racconti della miniera, reperibile in e-book su varie piattaforme, tra cui Kindle)