VIAGGIO A CIPRO E
TURCHIA: ANATOLIA (3) FINE
Antiochia, Samandag,
Cappadocia e costa meridionale fino a Bodrum
Venere e ninfe, Museo archeologico di Antiochia |
Antiochia, capitale della provincia di Hatay, la più
meridionale della Turchia incuneata tra il Mediterraneo e la Siria, è anche la più
antica città cristiana ad oriente di Roma. Sorge nelle vicinanze di quella che
a partire dal tardo terzo millennio a.C. fu la città-stato di Alalalakh, che
dopo alterne vicende fu distrutta nel XII sec. a.C. dai “popoli del mare”[1].
Antiochia fu la sede del governatore della provincia romana di Siria e secondo
la tradizione fu lì che nel 38 d.C. gli apostoli Pietro e Paolo fondarono la
Chiesa siriaca o Chiesa di Antiochia.
L’autobus malandato che prendo a Adyaman vi arriva dopo cinque ore di viaggio ma compensa la scomodità e la lentezza con la buona grazia dell’autista
che mi scarica non alla stazione delle corriere ma in centro (credo che vada a
casa sua e parcheggi il bus sotto casa), per cui appena scesa mi imbuco in un
dedalo di viuzze e capito davanti ad un bell’hotel, una casa dall’architettura
turca tradizionale - sono chiamate konak
– con rigogliosi gelsomini, dove la gerente, miracolo, parla un buon inglese.
Antiochia, particolare moschea |
Nelle vicinanze c’è un’antica moschea e quasi a fianco l’unica chiesetta
cristiana della zona, anch’essa antica, oltre che buoni ristoranti non solo per
astemi. L’indomani mi incammino verso il grande e ambizioso Hatay Archeological
Museum, che dista parecchi km dall’hotel. Nel corso della scarpinata vedo
un’indicazione sulla destra e salgo per una strada ripida e sassosa che culmina
con la cosiddetta chiesa rupestre di San Pietro, dove la tradizione vuole che
l’apostolo predicasse il Vangelo.
C’è un’alta rupe sulla sinistra e sopra la
facciata della chiesa, costruita dai Crociati nel 1100 e restaurata in epoca
più recente, si vedono varie grotte. Probabilmente il luogo originale dove il
santo predicò non era molto diverso; ora varie auto sono parcheggiate davanti
al piazzale e la tariffa per entrare nella ex-grotta rifatta è ridicolmente
esosa, per cui fotografo solo una grotta della montagna sovrastante, più fedeli
all’originale, e me ne torno sulla strada principale verso il museo, che è
ricchissimo di straordinari e immensi mosaici delle ville ellenistiche del 2° e
3° secolo appartenute alle facoltose famiglie della provincia romana di Siria.
Alcuni personaggi sono decisamente unici, deformi, personificano dei difetti o
comportamenti sconvenienti. Uno scheletro invita a godere delle delizie della
vita finché possibile, un “memento mori” da gaudenti. Mi ha ricordato una
lezione universitaria di letteratura latina in cui il professor Cazzaniga,
esimio latinista, evocava un teschio posto sulla spalliera del letto per
incitare le amanti riottose a concedersi senza remore; pare non fosse abitudine
infrequente tra i ricchi romani. Su una colonnina il re ittita Suppiluliuma I (re
ittita del XIV sec. a.C.) ha un’espressione esterrefatta e la stele di re Arsuz
ricorda un altro antico regno caduto nell’oblio, ma familiare agli studiosi di
geroglifici Luwian. Nell’odierna
provincia di Hatay c’è una cittadina chiamata Arsuz.
Suppiluliuma |
Da Antiochia scendo ancora a sud verso l’ultima città al
confine meridionale con la Siria, Samandag, sia perché è sul mare e desidero
vivamente tuffarmi di nuovo, sia per visitare il tunnel di Tito, opera romana
notevolissima segnalatami dalla guida incontrata in autobus tra Adana e
Gaziantep. Per vederlo bisogna prenotare un taxi o farsi 12 km a piedi tra
andata e ritorno da Samandag. Date le temperature sempre infuocate opto per il taxi
E’ veramente un’impressionante cunicolo tra due pareti di roccia a strapiombo, scavato
a mano con picconi e asce da chissà quanti schiavi per farvi defluire gli
impetuosi torrenti che scendevano dai monti al disgelo e minacciavano il porto
di Antiochia, che allora era sulla costa[2].
Tombe ipogee vicino al Titus Tunnel |
Se lo scopo di vedere l’antico tunnel è raggiunto, non
altrettanto soddisfatta è l’esigenza di nuotare: a vederla da lontano la
spiaggia è spettacolare, la più lunga mi dicono della Turchia, si estende a
perdita d’occhia ed è amplissima. Ma l’acqua è la più torbida e sporca che
abbia mai avuto la sfortuna di vedere: c’è dentro di tutto, ma la materia più
frequente è la plastica, plastica in tutti i formati, da brandelli di vari
colori a bottiglie, bottigliette, sacchetti, bicchieri, cucchiai, e poi
cartacce, tappi, eccetera.
La spiaggia è cosparsa adeguatamente di rifiuti: in
inglese an eye-sore, una piaga per
gli occhi. Un americano dinoccolato, unico straniero oltre a me, mi incita a
non badarci e cercare di allontanarmi dalla riva per poi provare a nuotare. Non
ci penso neppure e per 5 giorni mi limito a leggere e a passeggiare per
chilometri cercando di raggiungere dune meno irrorate di scarpe rotte e bottiglie
dove almeno bagnarmi le gambe. Penso alla meraviglia che il paesaggio deve essere
stato 30/40 anni fa, forse meno. E suppongo che parte dei brandelli di plastica
di lungo corso, sfilacciati e pallidi, possano provenire dalla vicina costa
siriana, con priorità diverse dalla raccolta differenziata.
Cappadocia, vicino Goereme |
Di nuovo riparto verso nord, obiettivo Nevşheir e la
Cappadocia; mi sembra stupido trascurarla per la seconda volta, essendoci
passata vicino senza visitarla nel 2013. E quando arrivo mi trovo in un’altra
Turchia rispetto a quella finora attraversata, una Turchia europeizzata con molti
turisti stranieri che quasi immancabilmente scelgono gli hotel scavati nella
roccia o finti tali[3] con
giardino e vista tipica, beninteso a tariffe occidentali. Io trovo un hotel più
che decente a prezzi turchi, cioè a 11 euro, a Ürgüp, piccolo centro ben
ubicato per raggiungere tutte le mete principali della regione e ricco di bei
panorami e antichità da scoprire.
Kiranlik Kilise, dalla cripta |
Mete che, oltre a monumenti di roccia che
sono capricci di natura e vallate come sculture gigantesche, racchiudono
innumerevoli tesori d’arte, chiese affrescate e palazzi dell’epoca d’oro
dell’impero ottomano, oltre a residui di opere infrastrutturali lodevoli come
canalizzazioni d’acqua potabile del 1700. Oggi dappertutto in Anatolia si è
costretti a bere acqua minerale. Spettacolari le vedute dei castelli di roccia
di due cittadine, Ortahisar e Uçhisar, dove inaspettatamente trovo una fornitissima
cantina; infatti le aree rurali sono solcate da filari di vigne quasi nane,
data l’aridità dei suoli. I vini locali sono deliziosi, sia rossi che bianchi.
Il parco archeologico-geologico di Zelve è una
meraviglia: sembra un villaggio neolitico e invece fu abitato fino al 1952, un’altra
Matera. A Göreme, la località più gettonata dai pullman turistici, c’è la Karanlik Kilise, (Chiesa oscura) dell’XI
secolo, scavata nella roccia, che contiene dei preziosissimi e affascinanti
affreschi non fotografabili. Riesco a carpire proditoriamente dalla cripta una
mezza immagine di azzurrissimi lapislazzuli, la tentazione è troppo forte[4].
La sera prima di lasciare Ürgüp, quasi per caso, scopro un intero quartiere antico
abbandonato in via di restauro (con finanziamenti internazionali) con case
ammonticchiate a ridosso di pareti a picco e una stranissima chiesa-cocuzzolo
roccioso. Non c’è anima viva, forse l’ingresso è proibito; d’improvviso si
materializza un agente di polizia di guardia che cortesemente mi fa da guida e
mi conduce anche in un stranissimo ambiente: tre secoli fa era una stalla ed
ora è una specie di santuario con un altarino in fondo con l’immagine di un ex
prigioniero di guerra russo che dal 1711 al 1730 visse lì con il suo cavallo. Patetica
la sua storia di schiavo dell’Agha, signore di Ürgüp[5].
Stalla-santuario del monaco russo (foglio bianco in fondo) |
La visita a Kayseri è abbastanza deludente: a parte le mura
possenti e una moschea interessante non c’è molto altro, dato che il “mausoleo
girevole”, l’attrazione principale, è in restauro. L’ultima tappa in Cappadocia
la faccio nella città sotterranea di Kaymakli,[6]
scavata nella tenera roccia vulcanica pare dai Frigi nell’VIII/VII sec. a.C. Difficile
pensare che dei cunicoli simili e stanzette claustrofobiche fossero dimora
abituale di centinaia di persone.
Sorpresa! Gondola a Avanos, Cappadocia |
In una giornata scendo dalla Cappadocia a Silifke per
volgere i miei passi ormai a ovest sulla via del ritorno e, dopo una notte
tranquilla nello stesso hotel già collaudato il mese precedente, ho la cattiva
idea di provare a nuotare per qualche giorno in quel di Taşucu, a una decina di
km da Silifke. L’acqua è pulita e c’è un pullmino frequente da e per Silifke, penso
così di fermarmi per qualche giorno. L’ambiente balneare è anatolico, cioè ci
sono molte donne in burkini con salvagenti a ciambella giganti e nessun spogliatoio.
Il secondo pomeriggio, per togliermi il bikini bagnato e vestirmi, mi infilo, dopo averlo segnalato al bagnino a gest,i n una specie di deposito aperto con una catasta di sdraio e ombrelloni, e per non farmi scorgere dai passanti mi raggomitolo a terra riuscendo a completare l’operazione con contorcimenti vari. Uscendo mi si para davanti un ragazzotto in calzoncini azzurri che mi chiede soldi. Naturalmente lo ignoro e dal momento che insiste gli rispondo bruscamente che ho già pagato il bagnino. Mi segue e si accanisce. Infine, mentre mi avvio sulla strada per prendere il pullman per Silifke, mi passa davanti e vedo che parlotta con l’autista appena arriva l’autobus. Mentre si è a mezza strada tra Taşucu e Silifke il pullman fa una brusca fermata: salgono dei poliziotti, mi adocchiano e mi fanno scendere, ci sono due vetture della polizia che sbarrano la strada. Vedo vicino ai poliziotti il tipo in calzoncini e immediatamente capisco che mi ha combinato un guaio. Dopo un’ora di fermo alla stazione della polizia ad opera di agenti unicamente turcofoni, il capo ha la buona idea di farmi parlare con un suo superiore anglofono di chissà dove che gentilmente mi informa che lo zotico in calzoncini mi accusa di essermi infilata nel deposito per rubare i suoi soldi, 300 lire turche, e si offre di chiamarmi un avvocato!!
Zelve, Cappadocia, chiesa rupestre |
Il secondo pomeriggio, per togliermi il bikini bagnato e vestirmi, mi infilo, dopo averlo segnalato al bagnino a gest,i n una specie di deposito aperto con una catasta di sdraio e ombrelloni, e per non farmi scorgere dai passanti mi raggomitolo a terra riuscendo a completare l’operazione con contorcimenti vari. Uscendo mi si para davanti un ragazzotto in calzoncini azzurri che mi chiede soldi. Naturalmente lo ignoro e dal momento che insiste gli rispondo bruscamente che ho già pagato il bagnino. Mi segue e si accanisce. Infine, mentre mi avvio sulla strada per prendere il pullman per Silifke, mi passa davanti e vedo che parlotta con l’autista appena arriva l’autobus. Mentre si è a mezza strada tra Taşucu e Silifke il pullman fa una brusca fermata: salgono dei poliziotti, mi adocchiano e mi fanno scendere, ci sono due vetture della polizia che sbarrano la strada. Vedo vicino ai poliziotti il tipo in calzoncini e immediatamente capisco che mi ha combinato un guaio. Dopo un’ora di fermo alla stazione della polizia ad opera di agenti unicamente turcofoni, il capo ha la buona idea di farmi parlare con un suo superiore anglofono di chissà dove che gentilmente mi informa che lo zotico in calzoncini mi accusa di essermi infilata nel deposito per rubare i suoi soldi, 300 lire turche, e si offre di chiamarmi un avvocato!!
Ci sono volute più di 5 ore tra perquisizioni intime[7],
gita all’ospedale per verificare la mia buona salute (!), e l’ausilio
provvidenziale di un locale insegnante di inglese strappato alla sua cena per
far capire agli astuti agenti che il tipetto è un mascalzone bugiardo che ha
fatto male i suoi calcoli. Alle ore 22.00 di quel sabato 3 agosto sono stata
recapitata senza neanche adeguate scuse al mio hotel di Silifke dalla pantera
poliziesca, digiuna e ribollente di rabbia contenuta. Naturalmente dopo un
giorno di riposo in hotel me ne vado il lunedì seguente: la mia segnalazione del
sopruso al consolato di Izmir non avrà risposta.
Cuoco zoticone a Aydancik: ho declinato una portata e lui mi si è seduto di fronte e se l'è mangiata! E me l'ha messa in conto. Costava poco, ho abbozzato, magari avrebbe chiamato la polizia! |
Delle tappe seguenti lungo la
costa ricordo Aydancik, una sosta tranquilla ( con cuochi zoticoni) per, finalmente, nuotare in pace, Alanya,
troppo cara e turistica dove mi fermo solo una notte, per cui non riesco a
visitare la fortezza, mentre la vera scoperta è Aspendos con il suo splendido
teatro, di epoca romana ma progettato da un architetto greco, Zeno, nativo del
luogo. Olympos è un’altra placida sosta, con un paesaggio da cartolina e un
mare trasparente.
Aspendos, teatro |
Proseguo per Antalya, bellissima e calda, e di seguito a Demre,
l’antica Myra, di cui visito il sito archeologico con un teatro ben conservato e
coreografiche tombe-tempietto scavate nella roccia, per giungere poi a Fethiye
che già conosco, dove riesco a trascorrere una piacevolissima giornata in barca
(e di nuoto) in una cornice di isole rocciose e boschi, arrivando infine nella
penisola di Datça.
Qui ho il piacere di assistere all’unico spettacolo popolare di piazza con canti tradizionali turchi militanti e molto mediterranei, pieni di pathos, sotto la sorveglianza del volto dagli occhi di ghiaccio di Ataturk che partecipa dall’alto di uno striscione. Da lì prendo un traghetto per Bodrum (l’antica Alicarnasso) e poi per Kos, dove sosto due giorni prima di saltare su un aereo per Bologna alle 5 di mattina: fine di un pellegrinaggio mediterraneo-anatolico di tre mesi e mezzo ricchissimo di immagini, esperienze e sensazioni: un viaggio attraverso civiltà sepolte, nella bella frase di C.W Ceram/Marek. E inciviltà vive e vegete.
Demre, particolare |
Qui ho il piacere di assistere all’unico spettacolo popolare di piazza con canti tradizionali turchi militanti e molto mediterranei, pieni di pathos, sotto la sorveglianza del volto dagli occhi di ghiaccio di Ataturk che partecipa dall’alto di uno striscione. Da lì prendo un traghetto per Bodrum (l’antica Alicarnasso) e poi per Kos, dove sosto due giorni prima di saltare su un aereo per Bologna alle 5 di mattina: fine di un pellegrinaggio mediterraneo-anatolico di tre mesi e mezzo ricchissimo di immagini, esperienze e sensazioni: un viaggio attraverso civiltà sepolte, nella bella frase di C.W Ceram/Marek. E inciviltà vive e vegete.
Demre, tombe scavate nella roccia |
[1]
Si tratta di popolazioni che irruppero da ovest nel XII sec. a.C. all’epoca del
collasso della società levantina dell’età del bronzo e delle città stato,
popolazioni di area egea non ben definite, che si insediarono nel Mediterraneo
orientale e ne cambiarono la fisionomia e le caratteristiche culturali. Vedi F.
Braudel, Memorie del Mediterraneo e
David Abulafia The Great Sea.
[2]
https://en.wikipedia.org/wiki/Vespasianus_Titus_Tunnel
[3] Cioè gli
hotel sono stati costruiti di recente su un fondo roccioso, non sono quelli
tradizionali e autentici.
[4] https://www.petersommer.com/blog/archaeology-history/goreme
[5] https://www.revolvy.com/page/John-the-Russian
(unico riferimento in inglese che ho scovato)
[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Kaymakli_Underground_City
[7]
Fortunatamente non porto mai soldi in spiaggia e la poliziotta verifica che ho
addosso la favolosa somma di 7 lire turche, cioè poco più di 1 euro! Guarda
anche ripetutamente dentro la borraccia che ovviamente contiene solo acqua.