ANATOLIA:
SULLE ORME DI ANTICHE CIVILTA’(2)
Panorama montagnoso visto dal Monte Nemrut, provincia di Adyaman |
L’impressione che la visita a Şanliurfa lascia su chi la visita con
occhi e spirito aperti è così profonda e coinvolgente che ogni disagio,
compreso una temperatura infuocata, diventa trascurabile: tesori archeologici,
artistici e religiosi di alto valore simbolico si susseguono l’uno accanto
all’altro, alcuni risalenti ai primordi del neolitico preceramico e all’epoca
della scoperta dell’agricoltura, della scrittura, delle prime sepolture umane.
Siamo in piena Mezzaluna Fertile, quell’arco ideale che va da Gerico in
Palestina fino a Basra in Siria, inarcandosi a nord appena sopra Şanliurfa,
dove si trova il tempio più antico del mondo, Göbeklitepe (9600/8000 a.C.)[1],
ben anteriore alla domesticazione degli animali che attraversa tutto il 7°
millennio. E’ un monumento di inestimabile valore antropologico e storico,
assai poco noto però anche a chi viaggia in Turchia. Quanti sanno che Şanliurfa
è la città chiamata Ur nella Bibbia? Poi divenne l’Edessa romana e nel Medioevo
la capitale di un importante regno crociato per più di un secolo.[2]
Goebeklitepe |
Per prima cosa, deposta la valigia in un hotel trovato a caso, vado al Museo
Archeologico, che racchiude reperti eccezionali, tutti provenienti dagli scavi
di Göbeklitepe: appena dopo l’ingresso mi imbatto in una statua dagli occhi di
ossidiana; secondo la scarna didascalia è “la più antica” mai trovata (nel
mondo?). In una sala c’è un diorama molto ben fatto che ricostruisce l’ambiente
preistorico locale: si suppone che le prime sepolture umane della zona fossero
scavate dentro le proprie case, e che le ossa e soprattutto i crani venissero
raccolti e successivamente riseppelliti in altre strutture (collettive?).
Pilastri di Goebeklitepe al Museo Archeologico |
Una grande sala ospita una ricostruzione con i pilastri meglio
conservati del tempio di Göbeklitepe (che visito il giorno successivo): sono
disposti in cerchio e offrono un colpo d’occhio che quasi ti sopraffa’, con i
loro sei metri di altezza e le loro sagome a T – umanizzate - sui cui fianchi
sono scolpite raffigurazioni stilizzate di serpenti, tori, volpi, uccelli. L’area
del tempio si trova a circa 20 km dalla città: gli scavi iniziarono negli anni
’60 del 1900. Il responsabile degli scavi, il professor Klaus Schmidt,
intendeva di proposito portarne alla luce una minima parte per lasciare alle
generazioni future il compito di portarlo alla luce con tecniche più
sofisticate.
La statua "più antica" |
La funzione del sito non è chiara –si ipotizza che fosse un
santuario di montagna - ma esso fu abbandonato intenzionalmente e interrato nel
corso del 7° millennio. Al Sultantepe, altro sito archeologico tardo-assiro 15
km a sud di Şanliurfa, sono state scoperte tavolette in caratteri sumerici con
l’epopea di Gilgamesh, la famosa epopea della creazione[3], alcune
delle quali sono esposte nel museo. Mi ci fermo davanti in doveroso raccoglimento
prima di fotografarne una, e così facendo mi sembra di stuprarla. Ma subito
l’attenzione è sviata verso una statuetta stupenda che mostra un ometto
neolitico con gli occhi rivolti al cielo: un visionario, un pensatore?
Un
ammasso di chiodi conici di argilla della cultura Uruk[4],
del 4° millennio, trabocca da anfore ritte o rovesciate: servivano come
decorazione, conficcati in pareti di argilla ancora molle di case forse
patrizie; le capocchie venivano colorate e disposte a seconda dell’immagine
desiderata. A Uruk-città si insegnava la scrittura cuneiforme in speciali
“tablet-houses” chiamate Edubba. In una tavoletta esposta nel museo c’è un
rituale “per fare dei bei sogni”. Peccato che non ci sia la traduzione! Una
carrozzina giocattolo di un bimbo vissuto millenni fa non può non intenerire,
si trova accanto al massiccio frammento di basalto di un Pegaso la cui sagoma
disegnata sulla parete lo sovrasta, e poi ecco la stele di re Nabonide (556–539 a.C.)[5],
il re neo-assiro e l’epigrafe con la sua testimonianza:
“Io, Nabonide, ultimo
re caldeo-babilonese, non avevo nessuno (potente), la regalità non era in me.
Ma gli dei e le dee pregarono per me e Sin[6] (dio
della luna nelle religioni mesopotamiche) mi chiamò a sé…nel tempio di Sin
nella città di Harran[7] (e
mi disse) a te affido tutta la terra”. Uscendo con la testa ronzante e turbata da
tante immagini pregnanti non posso che dimenticare l’ombrello che uso per
proteggermi dal sole, che dovrò recuperare l’indomani in taxi prima di andare a
contemplare “the real thing”, il tempio di Göbeklitepe.
Stele di Nabonide |
Data la distanza e il traffico la visita mi riempie la mattinata. Il
sito archeologico, non affollato, consiste in un colle scosceso nel mezzo del
quale in un ampio cratere sorgono le rovine, un coacervo di pilastri a T
scolpiti con animali-totem e mucchi di pietre, cinto da un reticolato sottile
intorno al quale si gira per coglierne la complessità e la maestà. Raccolgo un
ciottolo rosato appena esterno alla recinzione a perpetua memoria. Di fronte al
colle si allunga una pianura coltivata a perdita d’occhio.
Nel pomeriggio torno ancora una volta nei pressi del Museo archeologico
perché mi sono tardivamente accorta che accanto c’è un altro fabbricato con
bellissimi mosaici, mancato il giorno precedente.
Tornando vado al parco
principale di fronte alla cittadella che sovrasta la città da uno sperone
roccioso, dove non mi arrampico data la temperatura. Ma nel parco ci sono altri
tre siti-richiami eccezionali: la cosiddetta “grotta di Abramo” (Ibrahim in
arabo e in turco), dove secondo la leggenda nacque il profeta, il Balıklıgöl,
ovvero lo stagno dei pesci sacri, e l’antica Halil-ur-Rahman Mosque, che
costeggia il bacino e vi si specchia. Abramo sarebbe nato nella grotta perché lì
fu nascosto dalla madre in qu
anto al re Nimrod era stata profetizzata la
nascita di un bambino che da adulto avrebbe distrutto gli idoli e quindi anche
il suo potere, per cui il re avrebbe ordinato lo sterminio di tutti i neonati.
Abramo sarebbe uscito dalla grotta solo a 15 anni, dopo di che incorse
egualmente nelle ire regali poiché conquistò il cuore di sua figlia. Il re lo condannò
a morire su un rogo, ma le fiamme si trasformarono in acqua (lo stagno) e i
legni ardenti in carpe, le cui discendenti tuttora guizzano a frotte nella
lunga vasca rettangolare[8].
Inutile forse far notare che la leggenda appare un copia-incolla della strage
degli innocenti, con il nascondiglio cavernicolo rimpiazzato dalla fuga in
Egitto. Si entra nella grotta attraversando un’altra moschea; la cavità
sottostante è protetta da un vetro, e non posso avvicinarmi troppo poiché
davanti al vetro ci sono donne velate accovacciate in preghiera, ma si
intravede l’arco della caverna e poi oscurità. Mah, chissà se qualcuno c’è
nato, e chi….
Grotta detta di Abramo |
Sazia di storia e leggende l’indomani proseguo per Diyarbakir, luogo che
da tempo desideravo conoscere anche per l’importanza che riveste per il mondo
curdo turco. La città sorge su un piedistallo di basalto che domina una fertile
lingua di terra dove scorre il Tigri, chiamato in turco Dicle, così come l’Eufrate
è il Firat. Le sue origini risalgono ad almeno 5000 anni fa; divenne romana
quando Traiano vi sconfisse i Parti nel 115 d.C. Costantino la circondò delle
mura che pur restaurate durante il periodo islamico-ottomano tuttora sfidano i
secoli: sono bellissime, con possenti bastioni ed è possibile anche camminarci
su, a tratti. Hanno una forma romboidale e quattro porte (gates).
Attraversato
il centro, si giunge ad un punto dal quale si scorge il Tigri, mentre
immediatamente sotto le mura si stendono i famosi giardini Hevsel coltivati a
ortaggi e frutta da 8000 anni ininterrottamente, come riportato dal dépliant
fornito dall’albergo. Sono rinomati i cocomeri del luogo, anche se devo
ammettere che mi sono venuti in uggia in quanto sono una perenne immancabile
presenza non solo nei mercati ma anche a tavola, dalla colazione alla cena. Una
costante architettonica di Diyarbakir sono moschee, muraglie e edifici di
pietra a fasce di pietra bianca e nera (basalto), una città tutta juventina.
Bellissima la Ulu Cami, la Gran Moschea selgiuchide del 7° secolo anch’essa
juventina, con una grande meridiana nella corte, ideata da un famoso ingegnere,
Al Jazari. Famoso e credo unico il
minareto quadrato a 4 zampe (four-legged minaret), Dört Ayakli Minaret e come
sempre interessante il museo, con reperti del paleolitico, ricostruzione di
ambienti preistorici e fossili strani.
Minareto quadrato |
Da Diyarbakir ritorno verso ovest per dirigermi a nord verso un altro
imperdibile sito archeologico, il Nemrut Daği (monte Nemrut), e Arsameia al
Nimphaios, capitale del regno ellenistico di Commagene (fondato nel 163 a.C.)
così denominata da re Arsames, regno anche questo che fu inglobato dall’impero
romano ai tempi di Tiberio. Per visitarlo la base più vicina è la cittadina di
Kâhta, nella provincia di Adyaman, da dove è imperativo prenotare una
escursione guidata perché la zona è impervia oltre che brulla e desertica; non
esiste alcun trasporto pubblico verso la zona archeologica, molto complessa ma
magnifica e stranamente poco conosciuta rispetto alla super turistica
Cappadocia più a nord. Consiglio agli eventuali viaggiatori di prenotare una
guida professionale, poiché l’autista-guida fornito dall’unico hotel di Kâhta è
un autista affidabile, ma in quanto a guida lascia molto a desiderare. E’
possibile trovare buone guide ad Adana e fare un’escursione in giornata, anche
se credo risulti abbastanza faticosa.
Karakush, stretta di mano Mitridate-Laodice |
La prima tappa dell’escursione è la visita al Karakush tumulus, la tomba
della famiglia reale di Commagene costruita da Mitridate II: sul tumulo alto 35
mt si ergono tre colonne, una delle quali, la centrale che guarda a sud, è sormontata
da un’aquila, simbolo Commagene: karakush significa infatti “uccello nero” in
turco. Le altre due colonne hanno alla sommità rispettivamente un toro e un
leone: una di esse reca un bassorilievo con re Mitridate che stringe la mano
alla sorella Laodice.
Poi si attraversa a piedi il ponte romano[9] a
schiena d’asino costruito sul fiume Cendere dalla XVI legione in onore di Settimio
Severo, di sua moglie Giulia e dei due figli, Caracalla e Geta, cui furono dedicate
quattro colonne, due all’ingresso del ponte e due alla fine; oggi se ne vedono
3, perché salito al potere Caracalla fece assassinare il fratello Geta e ne
fece abbattere la colonna.
Ponte sul Cendere |
Si prosegue al santuario di Eski Kale, dove su un
ripido viottolo ci si arrampica fino ad una stele e una grande iscrizione in
caratteri greci, l’unica del genere in tutta l’area. E vicino a un tunnel,
usato come magazzino, c’è una grande incisione sulla roccia con Mitridate I che
stringe la mano ad Ercole, simboleggiante l’alleanza di due discendenze, quella
persiana-orientale e quella greca-occidentale. In cima all’altura sorgono i
resti della città di Arsameia, le sede estiva dei re di Commagene.
Infatti
siamo ormai tra montagne che più desertiche e selvagge non potrebbero apparire.
L’ultima tappa e la meta principale dell’escursione è il monte Nemrut, una
delle visioni più affascinanti e cariche di mistero di tutto il viaggio. Dopo
una lunga ascesa dalla base dove si trova la biglietteria, il sentiero si
biforca tra il terrazzo a ovest e quello a est[10].
E’ lo Hierothesion, il santuario che Antioco I Commagene (69/34 a.C.) dedicò
alla celebrazione dei suoi antenati persiani e al connubio con l’eredità
greco-ellenistica: sullo sfondo dello spiazzo si ergono dei troni in fila e ivi
assise figure reali-divine i cui tronchi sono parzialmente ritti, ma le cui
teste sono rotolate a terra, e ti fissano ancora rotondi nelle orbite di
pietra, tra simboli zoomorfi come aquile e leoni, a terra anche essi.
Nemrut Dag, Western Terrace |
Sono
teste enormi e così decapitate ancora più impressionanti, nella luce rosa azzurrina
del tramonto e del rapido crepuscolo. La testa d’aquila rappresenta un dio
persiano, ma ci sono anche Cerere e Apollo/Mithra/Helios/Hermes, a testimoniare
di nuovo il sincretismo sottolineato nell’incisione di Eski Kale, l’incontro
delle due culture ellenistica e persiana. Rimpiango solo di non avere avuto una
guida all’altezza dell’importanza e complessità del sito archeologico, al
momento della visita.
Nemrut Dag, Eastern Terrace |
L’indomani mi riposo nel giardino dell’albergo tutto il giorno, e il
lunedì parto per Antiochia nella provincia dell’Hatay, a sud, una galoppata che
in autobus dura dalla mattina alla sera.
Foro di proiettile a Diyarbakir, lasciato nel 2016 durante l'assalto turco subìto dal Kurdistan | dopo il "golpe Gulenista" |
[1] La
famosa etichetta di “Mezzaluna fertile” è dovuta all’egittologo J.H. Breasted.
[2] Il
prefisso “Ur” in tedesco indica le origini, qualcosa di ancestrale.
[3] http://www.istitutocintamani.org/libri/GILGAMESH.pdf
[4] La
città-stato di Uruk si trovava vicino all’Eufrate, nel territorio dell’odierno
Irak.
[5]
https://en.wikipedia.org/wiki/Nabonidus_Chronicle
[6]
https://en.wikipedia.org/wiki/Sin_(mythology)
[7] Città
tuttora esistente, 4 km a sud di Şanliurfa
[8] https://theculturetrip.com/europe/turkey/articles/the-carp-fish-at-this-holy-sight-in-urfa-are-sacred-and-heres-why/
[9] C’è un
moderno ponte e l’auto passa su quello.
[10] In
teoria ci dovrebbe essere anche quello settentrionale, ma sinceramente non lo
trovo, e l’autista-supposta guida è rimasto al caldo nel bar-ristorante vicino
alla biglietteria. Fa freddo ed annotta, quindi mi affretto a scendere. Siamo a
2200 mt di altezza.
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