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venerdì 26 novembre 2021

LIMITE E ILLIMITE: ULISSE, PROMETEO E...ELON MUSK

 

DOV’ERCULE SEGNO’ LI SUOI RIGUARDI

(Dante, Inferno, Canto XXVI, verso 109)

 

Antica mappa del mondo secondo Tolomeo, Sec.XV
 

Mi imbattei per la prima volta nel concetto di limite a scuola, studiando analisi matematica al liceo, e me ne innamorai. Cominciai a ideare integrali con variabili della vita quotidiana, per valori ipotetici, perdendoci dietro tempo invece di risolvere gli esercizi dei compiti. E al contempo mi affascinava l’idea della retta (o la curva) che tende all’infinito per un determinato valore della funzione (al limite). Anche l’infinito diventava un sinuoso simbolo matematico, un fantastico serpente, un doppio uroboro. E il bello era che i concetti di limite e infinito si coniugavano, l’uno rimandava all’altro.  Passando a studi letterari la sbornia del limite associato all’idea di infinito svaporò, ma rimase l’attrazione per l’idea di tensione ad quem, che ritrovai espressa nel bellissimo verbo tedesco streben, un verbo-leitmotiv che attraversa tutto il Faust di Goethe e spiega la salvezza dell’anima di Faust nonostante il suo patto con Mefistofele. Streben esprime lo slancio umano finalizzato non solo all’autorealizzazione ma verso la verità, il bene collettivo, l’inveramento del meglio di sé con l’altro[1]


E’ ancora lo streben che percorre la letteratura medievale francese nel tema della quête del cavaliere errante, che è ricerca ideale non solo in senso religioso ma esistenziale. Nel Parzival (Parsifal) di Wolfram von Eschenbach, che riprende la chanson de geste incompiuta di Chretien de Troyes, la ricerca del Graal riassume il compito sommo di tutta la vita. Creando la figura immortale di Don Chisciotte, la letteratura spagnola con Cervantes sancisce la fine di questo ciclo letterario facendo collassare il sublime nel ridicolo e viceversa.

Faust sulla copertina Oscar Mondadori

 Il limite come orizzonte di senso si ritrova nella filosofia classica greca, iscritto in una cornice politica ed etica e relazionato al concetto di misura, alla giusta misura dell’agire. La realtà però, essendo fatta di polarità, è mescolanza di limite e illimite, l’uno rimanda all’altro, e ciò crea un tutto armonico e ordinato, il cosmo contrapposto al caos[2]. Nell’agire umano tale equilibrio si ritrova nell’esercizio della temperanza, del rifiuto di accumulare ricchezze o di perseguire ambizioni smodate: “la virtù greca (areté)…va intesa come ciò per cui ogni cosa attua nel modo migliore la sua natura specifica: nel caso dell’uomo…si tratta di esplicare in modo ottimale la propria razionalità, coltivando la propria anima con ordine e misura, appunto con temperanza”[3].

Ulisse e le Sirene, decorazione su un vaso ateniese

L’eroe per antonomasia della tensione strenua verso e oltre un limite sancito dal comune intendimento dell’epoca come invalicabile è stato creato dalla fantasia poetica di Dante nel XXVI Canto dell’Inferno. Ulisse è relegato in una delle più profonde bolge infernali, prigioniero di una fiamma incessante che lo avvolge, insieme a Diomede, in quanto politico fraudolento che abusò dell’ingegno di cui era dotato per trarre altrui in inganno e nuocere. La riprovazione del moralista Dante si unisce all’ammirazione intellettuale per colui che il poeta immagina lanciato nel suo ultimo viaggio, quello che lo perderà ma lo renderà per sempre nella letteratura universale l’emblema della sete umana di conoscere e superare nuove mete. “Facendo ali al folle volo[4]” per “seguir virtute e canoscenza[5]” Ulisse, con la sua “compagna picciola[6]”, oltrepassa un limite che la ragione teologica di Dante giudica invalicabile, perché così ritenuto dalla concezione cosmologica di allora (tolemaica) e perché non illuminato dalla grazia divina. Infatti, oltrepassando le colonne d’Ercole e continuando la navigazione, di fronte alla nave si erge la montagna del Purgatorio, l’oltretomba precluso ai pagani, e il naufragio e la morte sono ineluttabili. 

Dante e Virgilio di fronte alla fiamma di Ulisse all'inferno

Primo Levi riprende in un indimenticabile capitolo di Se questo è un uomo i versi dell’ultimo viaggio di Ulisse del XXVI Canto dantesco: l’autore era uscito dal lager di Auschwitz con altri compagni per eseguire un lavoro pesante, e tornando al suo inferno cerca di ricordarli e li traduce al suo compagno di lager. Mentre camminano riaffermano la loro dignità di uomini pensanti, l’uno citando e l’altro chiedendo. Oltrepassato il cancello del lager, il mare si richiude anche su di loro[7].

L’altro eroe mitico del travalicamento del limite è il titano Prometeo, che, nella tragedia di Eschilo Il Prometeo Incatenato, impietosito per la miseria in cui versa la condizione umana, ruba una scintilla di fuoco per donarla agli uomini e migliorare così la loro vita, suscitando la collera di Zeus, che ordina al Potere e alla Forza di incatenarlo con l’aiuto di Efesto ad una rupe sulle montagne della Scizia. Prometeo confida al coro delle Oceanine, turbate dalle sue sofferenze inflitte da un dio a lui dio pur minore, che ha commesso il furto consapevole delle conseguenze che la sua azione avrebbe avuto, perché riteneva giusto farlo. E’ punito, si lamenta ormai avvinto alle rocce, perché troppo profondamente dall’alto/ebbi pietà della mortalità degli uomini. Ha varcato il limite che un dio più potente ma tiranno vietava di oltrepassare, per altruismo e non per tracotanza o per vantaggi personali. E’ un “travalicatore virtuoso” di frontiere ingiuste e ingiustificate, pronto a pagare di persona per il suo gesto di sfida.

Prometeo incatenato sul Caucaso

Stefano Levi della Torre riprende la figura di Prometeo nella bella raccolta di saggi Essere fuori Luogo[8], nel capitolo intitolato Mosé e Prometeo, con un brevissimo ed enigmatico racconto di F.Kafka che lui interpreta come “racconto alla rovescia” ed esempio di “inabissarsi di senso”, che riporto per la sua gelida perfezione:

 “Di Prometeo raccontano quattro leggende. Secondo la prima egli, avendo tradito gli dei in favore degli uomini, venne incatenato al Caucaso, e gli dei inviarono delle aquile a divorargli il fegato che ricresceva continuamente. La seconda narra che Prometeo, per il dolore causato dai becchi che lo dilaniavano, si serrò sempre più alla roccia finché divenne una sola cosa con essa. Secondo la terza il suo tradimento venne dimenticato attraverso i millenni: gli dei, le aquile, egli stesso dimenticarono. Secondo la quarta, tutti si stancarono di colui che ormai non aveva più senso. Gli dei si stancarono, le aquile si stancarono, la ferita si richiuse stancamente. Rimase l’inesplicabile montagna di roccia. La leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché nasce da un fondo di verità, deve finire nell’inesplicabile”.

In epoca moderna (quasi contemporanea) ritroviamo in politica il concetto di limite con il famoso Rapporto I limiti dello sviluppo del 1972 commissionato al MIT[9] dal Club di Roma[10] (si noti che il titolo in inglese è The Limits to Growth, cioè I limiti allo sviluppo), il cui succo tuttora attualissimo era: attenzione, in un sistema finito le risorse non sono infinite e la crescita progressiva non commisurata a quanto effettivamente disponibile e passibile di rigenerazione conduce al declino e al collasso. Ne sono uscite riedizioni aggiornate dagli autori nel 1992 e nel 2004, basate su dati reali e nuove tecniche di calcolo più sofisticate. 

Figlia del concetto del limite necessario è la formulazione dell’idea di sostenibilità intesa come “… la caratteristica di un processo o di uno stato che può essere mantenuto a un certo livello indefinitamente”[11], che appare nel Rapporto Brundtland del 1987. La sostenibilità rischia oggi di divenire un mantra invocato a destra e a manca, svuotato di ogni sostanza in un’orgia di ipocrisia e impostura intellettuale al servizio di politiche improntate al saccheggio continuo delle risorse ambientali, economiche, culturali e dello sfruttamento sfrenato della forza lavoro a vantaggio di una accumulazione selvaggia di ricchezza. Sembra che neppure i Rapporti dell’IPPC[12], sempre più precisi, frutto del lavoro di centinaia di scienziati di tutto il mondo, che pullulano di scenari infausti come conseguenza di un innalzamento della temperatura media globale del pianeta oltre il limite di 1,5° C a causa dei gas presenti in atmosfera servano a flettere le politiche delle maggiori potenze industriali e politiche e a indirizzarle verso quella moderazione e quel senso della giusta misura così bene illustrati dalla filosofia classica greca e da Platone.

In questa frenetica e folle corsa verso un “sempre più” (più veloce, più ricco, più produttivo, più redditizio, più letale, più distruttivo, e via dicendo) si inseriscono non solo le politiche socio-economiche, la finanziarizzazione  dell’economia e la distruzione dello Stato Sociale, ma anche la corsa agli armamenti e la corsa verso la conquista dello “spazio”: Luna e Marte per ora, a parte il nugolo di satelliti che ruota sempre più numeroso intorno alla Terra e causa sempre più detriti pericolosi (space debris)[13]. La NASA ha aperto le danze e molti si sono lanciati al seguito, anche se gli Stati Uniti lottano strenuamente per mantenere la leadership nelle tecnologie di punta in ogni campo a suon di migliaia di miliardi, tallonati da Cina, Russia, India e ormai anche dalle potenze del Golfo. Ma non si trovano i miliardi per rimediare alle crepe terrestri e all’avanzare gagliardo di questo pianeta verso la sua rovina. 

Immaginarie astronavi su Marte

L’ antieroe emblematico di questa corsa allo spazio e allo sperpero planetario mi sembra oggi essere Elon Musk, un aspirante travalicatore di limiti agli antipodi delle figure mitiche prima ricordate, in quanto non animato né da amore della scienza e conoscenza né dal desiderio di giovare al benessere collettivo o di una qualche comunità. E’ un imprenditore dello spazio, e in quanto tale i suoi prodotti debbono generare profitto. Con Starship HLS[14], navicella spaziale con struttura di alto livello (questo significa HLS) per transitare un futuribile equipaggio da un’astronave (Orion) all’atterraggio sulla luna, la sua società Space X ha vinto una gara d’appalto (2,9 miliardi di dollari) della NASA nell’aprile scorso contro l’altro aspirante imprenditore spaziale, Jeff Bezos, CEO di Amazon e famigerato sfruttatore di forza lavoro a buon mercato, che gareggiava con il suo Blue Origin[15]. La NASA tranquillizza lo sconfitto: ci sarà spazio per tutti, spazio appunto, in futuro. E intanto ambedue cercano di attirare miliardari annoiati in cerca di brivido per un breve tuffetto nello spazio e ritorno per pagarsi almeno il caffè e la brioche del mattino. O magari, en attendant Godot, sulla Luna. E Mr Musk dichiara sprezzante: “Non vogliamo essere una di quelle specie che vivono soltanto su un pianeta; noi vogliamo essere una specie che vive su molti pianeti”[16]. Da non credere.

I due antieroi

In effetti, a Elon Musk la luna non interessava granché. La concezione della Starship originale di Space X nel 2010 era mirata alla colonizzazione di Marte, che secondo l’imprenditore celeste sarebbe raggiungibile a livello tecnico con un equipaggio nel 2026. Una volta mangiatasi la terra, succhiate fino al midollo le sue risorse, questi pseudo-visionari, nanetti assetati di soldi e potere, guardano al sistema solare, lasciando i torsoli rosicchiati ai circa otto miliardi o più di poveracci che non potranno scappare a cento milioni di km di distanza su un altro pianeta per distrarsi un po’ – pianeta che tra l’altro non appare molto attraente. Probabilmente assomiglia al futuro della Terra spolpata. Il titolo di un articolo letto per la preparazione di questo articolo recita “La nuova ambizione di Elon Musk potrebbe essere la più rischiosa impresa (quest = ricerca, analogo inglese della quête) mai intrapresa dagli umani”[17]. Ma il signor Elon non è un cavaliere errante che rischia in prima persona. “Molti scienziati, tuttavia, mettono in guardia sulle troppe domande senza risposta rispetto ai viaggi nelle profondità dello spazio (deep-space travel). “Musk ha ammesso di riconoscere i rischi: è dura scorrazzare lassù (it’s tough sledding over there)”[18]. La pelle non è la sua.

Razzo prototipo di navetta spaziale SN 10 di E. Musk

L’antieroe ha anche i piedi ben piantati a terra e ha fiutato da tempo un altro ottimo affare: la Tesla è la sua automobile elettrica e ha ora costruito un mega-impianto in Germania nei pressi di Berlino che sfornerà centinaia di migliaia di auto con batterie elettriche ricaricabili. Auto per la motorizzazione privata naturalmente, replicando l’errore fatale di molti decenni fa a discapito del trasporto pubblico, su rotaia, su gomma, via mare o fiumi, con il bel risultato attuale di aria irrespirabile e intasamento della circolazione urbana e extra-urbana. E centinaia di migliaia di morti da inquinamento. I gas di scarico dei veicoli privati costituiscono una percentuale consistente dell’inquinamento totale dell’aria che respiriamo[19]

Mega Stabilimento di Tesla nei pressi di Berlino

E peccato che le batterie elettriche necessitino di litio ad esempio, per cui si sta scatenando una corsa per lo sfruttamento di nuovi giacimenti di questo minerale per la cui estrazione si consumano quantità immani di acqua. Le più grandi miniere di litio sono in territori fragilissimi e aridi: i salares, deserti di sale della Bolivia e del Cile. Ho visto il salar dell’Atacama nell’estremo nord del Cile, il deserto più arido del mondo, delicatissimo: non si poteva calpestare, c’erano sottili tracciati da percorrere. I villaggi sparsi attorno a San Pedro de Atacama potranno crepare di sete, gli acquiferi esaurirsi, ma ci saranno auto elettriche per tutti! E quando la Terra comincerà a bollire davvero e l’acqua a scarseggiare dappertutto e non solo nelle campagne africane riarse, tutti i miliardari si rifugeranno su Marte, grazie al benefattore visionario Elon Musk.

Space Debris, rottami di satelliti e affini nello spazio intorno alla terra

Specie multi-planetaria o specie estinta? Oggi i soli travalicatori virtuosi di limiti ingiusti sono i migranti.



[1] Nel momento culminante dell’opera di Goethe, appena prima di morire, Faust sta lavorando per sottrarre una palude all’acqua che la invade per riscattarla in “verdi campi fecondi” dove si potrà “In una terra libera fra un popolo libero esistere” e afferma “la libertà come la vita/si merita solo chi ogni giorno/ la dovrà conquistare”.  Raggiunge così il fine della sua vita, dice all’attimo il fatidico “Fermati dunque, sei così bello”, e muore. (Faust II, Atto quinto, pag. 1017/1019, Oscar Mondadori 2010, trad. di Franco Fortini). Mefistofele è sconfitto, l’anima di Faust è salva per il suo streben incessante, non più verso la pura conoscenza ma per azioni a vantaggio dell’umanità.

[2] Platone nel Gorgia

[3] https://www.economiaediritto.it/il-concetto-greco-di-limite-come-orizzonte-di-senso-per-una-vera-politica/

[4] Verso 125

[5] Verso 120: la dizione scelta da Natalino Sapegno è “canoscenza”, come più avanti compagna” (compagnia)

[6] Versi 101-102

[7] Capitolo “Il canto di Ulisse”.

[8] Stefano Levi della Torre, Mosé e Prometeo, Essere fuori luogo, Donzelli, 1995.

[9] Massachusetts Institute of Technology

[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_sui_limiti_dello_sviluppo

[11] https://it.wikipedia.org/wiki/Sostenibilit%C3%A0

[12] Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico

[13] https://en.wikipedia.org/wiki/Kessler_syndrome

[14] https://en.wikipedia.org/wiki/Starship_HLS

[16] Published Fri, Apr 23 202111:10 AM EDTUpdated Fri, Apr 23 202111:43 AM EDT, Michael Sheetz@thesheetztweetz

[17] https://www.livemint.com/news/world/elon-musk-s-new-ambition-could-be-riskiest-ever-human-quest-11622008817799.html

[18] Ibid.

[19] Il settore dei trasporti è responsabile del 30% delle emissioni totali di CO2 in Europa; di questo 30%, il 72% è prodotto dal solo trasporto stradale (europarlamento.europa. eu, 18/04/2019)

martedì 16 novembre 2021

DUE PAROLE SU PECHINO

 

QUATTRO CONFERENZE INTERNAZIONALI ONU SULLA DONNA DAL 1975

POI IL NULLA?[1]

 


Rovistando stamani tra i miei scartafacci ho trovato due fogli dattiloscritti che avevo redatto dopo aver partecipato a un incontro nazionale femminista a Roma, immediatamente dopo il ritorno delle delegate italiane di varie ONG e di gruppi di donne autonomi da Pechino. Ricordo che l’inizio quasi rituale di ogni intervento era: “Io sono stata a Pechino…” (intendendo conferenza ONU ufficiale) …, oppure: “Io ero a Huairou (luogo fuori Pechino di incontro del Forum indipendente delle ONG internazionali)”, o anche “Io non sono andata a Pechino ma…”, e che per tutta la sera con un’amica rifacemmo ridendo il verso: io ero a Pechino, io non ero a Pechino; noi non c’eravamo di sicuro, ambedue disoccupate in cerca di un ingaggio di cooperazione internazionale.

Era la quarta, l’ultima fino ad oggi, Conferenza Internazionale delle Donne varata e patrocinata dall’ONU che molte speranze ed entusiasmo aveva suscitato, pur a partire dalla constatazione dei risultati al di sotto delle aspettative delle tre precedenti conferenze. La prima si era svolta nel 1975 a Città del Messico, l’anno era stato dichiarato “anno internazionale della donna”; la sede della seconda Conferenza fu Copenhagen nel 1980 (avrebbe dovuto essere Teheran ma la rivoluzione del 1979 suggerì lo spostamento); la terza si svolse a Nairobi nel 1985, nel continente dove più la donna è un factotum il cui ruolo è misconosciuto, e spesso considerata una “proprietà privata dell’uomo”, come una volta mi disse una donna del Mali in un villaggio a fine anni ’80 - anche se oggi in molti paesi indubbi progressi sia nella legislazione sia nella vita familiare sono stati raggiunti. Si arrivò dieci anni dopo alla Conferenza di Pechino con moltissimo entusiasmo e la speranza di compiere un passo decisivo verso conquiste irrevocabili e definitive per la metà del cielo da parte delle femministe di tutto il mondo. Entusiasmo deluso: di momenti simili non ce ne furono più, gli anni 1990 furono invece decisivi per il trionfo del neoliberalismo che è indissolubilmente legato al patriarcato e al capitalismo predatore.

Rileggendo quanto avevo scritto nel 1995 mi è sembrato che quelle paginette potessero ancora avere qualche attualità oggi, quando ancora in Italia (e certo non solo) si lotta contro violenze in famiglia e femminicidi, discriminazioni salariali e di carriera, per il diritto all’aborto per gravidanze indesiderate, contro disoccupazione in prevalenza femminile e mercificazione del corpo della donna. E quando il pur dimesso concetto di empowerment che sembrava la bandiera vincente di progressive conquiste (che già criticavo come succedaneo moderato di power) è caduto in disuso e seppellito nell’oblio. Le donne stuprate nella RDC non hanno possibilità di twittare: me too.

E chi si ricorda della rivendicazione di un salario alle casalinghe?

Trascrivo di seguito il titolo e il testo di allora.

DUE PAROLE SU PECHINO

27 settembre 1995

 

La Conferenza mondiale delle donne a Pechino si è conclusa il 15 settembre u.s. con una dichiarazione finale che afferma “la piena applicazione dei diritti fondamentali delle donne e delle bambine”. Il 16 settembre le agenzie di stampa presumibilmente di tutto il mondo registravano e diffondevano la notizia che una ragazza filippina di 16 anni, Sara Balabagan, colpevole di avere ucciso il suo padrone e stupratore vicino a Dubai, capitale degli Emirati Arabi, era stata condannata a morte. Ma come è possibile?

Per dieci giorni a Pechino migliaia di donne di tutto il mondo di 150 paesi discutono, combattono, intrecciano rapporti per affermare la piena applicazione dei diritti umani fondamentali per uomini e donne e per far riconoscere che “la presa di decisione e l’accesso al potere delle donne sono fondamentali per l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace". Sono state rilasciate centinaia di dichiarazioni, più o meno soddisfatte, ma nel complesso tutte sono state d’accordo nel giudicare altamente positivo l’incontro. E’ possibile che le stesse delegazioni, tornate alle loro rispettive sedi, ignorino il fatto che una ragazzina, quasi una bambina, rischia la morte per avere difeso il suo diritto alla dignità e integrità personale, che nessuno voglia lanciare una campagna di pressione per la sua salvezza? Silenzio.

Nell’articolo apparso su L’Unità del 18 settembre si accenna ad una associazione britannica per la difesa dei diritti delle donne che avrebbe lanciato un appello in favore di Sara. L’esecuzione può essere fermata solo dal capo dello Stato. Come per Mumia Abu Jamal[2] la cui condanna a morte è stata sospesa per ora dalla mobilitazione internazionale, si può lanciare subito una campagna di pressione, mostrando la capacità di far davvero rispettare i diritti proclamati, almeno quando la notizia delle violazioni arrivano alla ribalta di TV e giornali. Perché le delegazioni del Forum ONG di Pechino non si fanno sentire?


A me sembra che questa contraddizione - che spero sia controbilanciata da un pronto interessamento delle organizzazioni internazionali (Amnesty International sta seguendo il caso) e cancellata da una resipiscenza delle organizzazioni femministe -  non sia una semplice coincidenza. Sia la Conferenza ufficiale ONU che il Forum delle ONG internazionali, al di là della ricchezza di spunti, di scambio di esperienze e pratiche che simili incontri comportano e quindi della legittima soddisfazione che possono suscitare tra chi vi partecipa e in chi vi è coinvolto in qualche modo, hanno puntato e puntano ormai da vari anni sull’affermazione di principio dei diritti. Ci si misura sul piano giuridico, sul terreno istituzionale più che su quello dell’organizzazione delle lotte e sulla capacità reale di far seguire alle parole i fatti.

Negli anni 1970 prima si conquistavano i diritti con le lotte, e poi se ne cercava la sanzione. Ora la sequenza non solo si è capovolta, ma rischia di essere monca. Allora possiamo felicitarci che per la prima volta la piattaforma d’azione, in un documento internazionale, proclami il diritto della donna alla sessualità fuori della sfera della riproduzione, ma che dire del fatto che il testo finale non impegna veramente gli Stati? O delle riserve espresse dagli stessi che l’hanno sottoscritto in materia di depenalizzazione dell’aborto o di diritto all’eredità?

Non solo: il quotidiano francese Le Monde del 18 settembre scrive: “La Conferenza di Pechino non fa che confermare l’arretramento iniziato nel nome di alcune donne che contrarie agli “integrismi” hanno battezzato diversalità il diritto alla differenza culturale e religiosa, rivendicata anche dal Vaticano – passato dal ruolo di osservatore a quello di capogruppo – e dai paesi arabi, da qualche paese africano e dall’America del sud”.

Ecco così che il concetto e la pratica della differenza sessuale vengono snaturati e ritorti contro in senso reazionario, trasposti su un altro piano; dalla differenza sessuale si passa alla differenza culturale che giustifica l’arretramento e l’applicazione differenziale dei diritti. La marea montante dei conservatorismi stravolge le battaglie.

Non solo. L’enfasi sui diritti, la terminologia che sottende questa impostazione, i modelli proposti sono riconducibili all’egemonia che alcune agenzia ONU, quelle “progressiste” o alcune sue punte supposte avanzate esercitano ormai a livello planetario, modificando il modo di fare politica delle donne. Parole e concetti come lobbying e empowerment (e non più power!) sono desunti da un gergo internazionale che vede la schermaglia, la pressione, le buone maniere e il patteggiamento come le armi preferite e privilegia il consenso sulle affermazioni di principio alle lotte e alle mobilitazioni, allo scontro con chi il power lo detiene e difende. E sono stati questi termini in inglese ad affollare gli articoli su Pechino, conferenza ufficiale e non. Quanto alla dichiarazione alternativa è tutta una sequela di “chiediamo”, “facciamo appello”, e suscitano un conclusivo “amen”.

Un’ultima considerazione: l’ormai annuale “Rapporto sullo Sviluppo Umano” dello UNDP uscito recentemente in italiano reca il titolo: Dalla parte delle donne[3] e si basa su un approccio “di genere”. Accanto all’indicatore ormai classico ISU (indice di sviluppo umano) ricavato da un insieme complesso di variabili che misurano diversi aspetti, non solo il benessere economico ma il grado di libertà di scelte delle persone, appare un nuovo indicatore, l’ISG, cioè l’indice di sviluppo umano correlato al genere, oltre a una misura di attribuzione di potere correlato al genere, l’MPG. Come interpretare ciò? Riconoscimento del ruolo economico, sociale e politico delle donne o/e insieme burocratizzazione e riconduzione di lotte dirompenti nell’alveo di una innocua e in parte illusoria marcia attraverso le istituzioni, attraverso l’ordine patriarcale sostanzialmente immutato che si tiene ben stretto il potere (power)?

                



[1] Ho fatto riferimento al dossier di Elisa Speziali, dell’Università di Padova, unipd, centrodirittiumani.it

[2] Mumia Abu Jamal, all’anagrafe Wesley Cook, è un militante delle Pantere Nere, giornalista e scrittore, imprigionato e condannato a morte negli Stati Uniti per omicidio nel 1981 di un poliziotto a Filadelfia. In seguito a lotte e pressioni internazionali e a numerosi ricorsi, la condanna a morte venne commutata in ergastolo senza condizionale.

[3] Rosemberg & Sellier, Torino, 1995