LA LINEA DI SPARTIACQUE
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Foto di Chiara Ameglio in Cakigula's Party **
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The time is out of joint è uno dei versi di Shakespeare più famosi.
Amleto pronuncia questa frase dopo aver ricevuto dallo spettro del padre, sugli
spalti del palazzo reale di Elsinore, la fatale rivelazione che la sua morte non
è stata naturale bensì è stata provocata dal veleno versatogli in un orecchio
dal fratello, che ha così usurpato il trono e sposato sua madre, la regina. La
frase indica il crollo, la negazione di tutte le leggi umane e del vivere
civile, la violazione dell’ordine che regge il cosmo sociale e lo trasforma in
caos. E’ una sovversione che sconvolge il mondo e ottenebra il giudizio: gli
istinti primordiali dell’animale umano si scatenano senza il freno né della
legge morale né della legge statuita. E chi meglio di Sigmund Freud ha
analizzato le pulsioni umane?
“Il problema
fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino
a che punto, l’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della
vita collettiva provocati dalle pulsioni aggressive e autodistruttive degli
uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare
interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle
forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda,
fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente
inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c’è da aspettarsi che l’altra
delle due “potenze celesti”, l’Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi
nella lotta con il suo avversario parimenti immortale. Ma chi può prevedere se
avrà successo, e quale sarà l’esito?”
Ciò scriveva nel
1929 Sigmund Freud nella conclusione al suo “Disagio della civiltà”. Negli anni
1930/40 gli sforzi di Eros non ebbero successo nei confronti delle ben più
possenti pulsioni distruttive e autodistruttive di Thanatos.
Le immani catastrofi e i milioni di morti causati dalla furia mortifera della
seconda guerra mondiale portarono alla consapevolezza di governanti e popoli della
necessità di erigere barriere di diritto internazionale, più solide della
Società delle Nazioni pre-1939, contro i rischi di sconvolgimenti futuri di
pari o superiore entità. In pochi anni furono erette nuove strutture istituzionali
sovranazionali, mondialmente riconosciute e rispettate, un edificio
prefigurante un governo planetario condiviso, un corpus complesso e quanto più
possibile completo di leggi e convenzioni. A priori infrangibili. Rivalità e
divergenze dovevano essere affrontate e risolte nei consessi internazionali
deputati ad hoc, discusse, negoziate, superate. L’abisso intravisto con
l’esplosione delle prime bombe atomiche in Giappone sembrava aver allontanato
per sempre il rischio di una ripetizione di tali eventi. Sembrava.
Nella storia
mondiale è evidentemente presente da tempi immemorabili una potente coazione a
ripetere, così come si riscontra patologicamente sul piano individuale, con
variazioni sul tema. Il ciclo post 1945, dominato prevalentemente dalla
pulsione di vita, dall’alato Eros, ha portato alle lotte di liberazione e alla
fine del colonialismo in Africa, in India e Indocina, alle lotte contro la
segregazione “razziale” e per il Black Power negli Stati Uniti e in Africa del
Sud, ai figli dei fiori, fiori che dovevano sostituire i proiettili nei fucili,
alle lotte antiautoritarie, operaie e anticapitaliste degli anni 1960/70, a
innovazioni artistiche e sperimentazioni poetiche. In contrasto tuttavia la
guerra fredda, iniziata con il maccartismo, ha inserito il suo cuneo nocivo in
tale distensione, agitando lo spauracchio rosso, il pericolo comunista e
lanciando una competizione sfrenata tra USA e URSS, una rivalità che di nuovo
ha rischiato di sfociare in scontro di proporzioni gigantesche. Lo si è capito
in tempo nel 1962 con la crisi di Cuba, e una serie di trattati sulla reciproca
limitazione della potenza nucleare dei due principali rivali Ovest-Est hanno
progressivamente fatto abbassare la tensione. La consapevolezza politica e
sociale della “mutual assured destruction" (MAD,) riconosciuta vicendevolmente,
la constatazione che da un conflitto nucleare nessuno esce vincitore, l’uscita
del film del 1983 “The Day After”,
contribuirono ad un nuovo periodo di distensione apparentemente foriero di
un’epoca di saggezza e maturità nelle relazioni internazionali. Era soltanto
una pausa, non l’inizio di una nuova era di collaborazione tra potenze e
popoli, incompatibile con un miope capitalismo transnazionale, mirante solo all’aumento
dei profitti finanziari tramite sfruttamento di forza lavoro e saccheggio delle
risorse naturali. Ma c’era ancora una dialettica politica accettabile
tra i due protagonisti principali della guerra fredda.
Il 1989 ha
cambiato tutto, la caduta del Muro di Berlino è stata, con una capriola della
storia, l’anticamera della costruzione di una pluralità di nuovi muri e di una
recente (ri)corsa agli armamenti che rischia di precipitare tutti ogni giorno
di più in un vortice di violenza eslege. Nel 1990/91 ricordo le grandi
discussioni sui dividendi della pace, l’illusoria pacificazione ritrovata
est-ovest: fine della divisione del mondo in due, fine della cattiva URSS,
niente più Patto di Varsavia, aperto il cammino verso magnifiche sorti e
progressive. Ma il post-comunismo si è rivelato una terra incognita costellata
di brutte sorprese: la neo-NATO rifondata nel 1999 festeggiava e cominciava a
pianificare la sua ignobile e funesta avanzata verso est, alla radice di mali
venturi.
L’ombra di Thanatos sorgeva di nuovo. Si inauguravano le “nuove guerre” locali e
la demolizione lenta del diritto internazionale umanitario: la prima guerra del
Golfo con il deserto iracheno in fiamme mostrato da Werner Herzog,
la disgregazione della Jugoslavia, prima guerra in Europa post 1945, furono
pessimi presagi. Seguirono il Rwanda del 1994 con la Francia paladina delle
forze responsabili del genocidio e l’inazione dell’ONU, la guerra del Kossovo
del 1999, le spietate guerre in Cecenia, l’11 settembre 2001 e l’inizio della
“Guerra al Terrore” del geniale George W. Bush, l’aggressione sciagurata all’Afghanistan,
poi la seconda guerra del Golfo del 2003, le stragi in Darfur, Sudan, del 2003
con attuale aggiornamento,
e via via giù per la china di ogni violazione dei diritti umani con la
delinquenza politica di USA e Gran Bretagna delle “extraordinary renditions”, eufemismo per sequestro di persona sulla base
di presunzioni, sospetti
senza la minima prova, con torture annesse e spesso esito mortale.
Julian
Assange, il giornalista che rivelò il lurido rovescio della medaglia della
lotta al terrore, sta ancora marcendo in una galera inglese, possibile
anticamera di ergastolo americano. La sporchissima guerra d’Algeria degli anni
1990 è un garbuglio di orrori. La distruzione della Libia nel 2011, il dilagare
dei vari gruppi jihadisti, la creazione di Daesh e dell’effimero Stato Islamico
seguono a ruota. Tralasciando il Caucaso sottosopra.
L’Europa, ormai Unione Europea, che si sogna
faro di civiltà e patria naturale dei famosi diritti umani, vede rinascere
movimenti e partiti di estrema destra, qua e là, minoritari ma pervicaci. L’Italia
è un esimio esemplare del nuovo corso necrofilo: già durante la sua patriottica
“guerra al terrorismo” ha varato tutta una serie di leggi speciali
prevaricatrici, la polizia sparava ripetutamente contro manifestazioni pacifiche
e uccideva. Il 12 maggio appena trascorso segnava il 47esimo anniversario della
morte per mano della polizia, a Ponte Garibaldi a Roma, di una ragazza di 19
anni, Giorgiana Masi. Per non parlare delle numerose stragi fascio-statali e
gli attentati assassini sui treni. Oggi si sfoga contro poveri e migranti, mietendo
ciò che ha seminato e si gode in pieno il ritorno di antichi amori fascisti e
fascistoidi, con una accozzaglia di personale politico degno di una grottesca farsa.
Manca purtroppo un Georg Grosz all’altezza delle esigenze. Ma basterebbe
ampiamente Guttuso.
Quindi l’Europa
da ideale terra di asilo e rifugio per chi scappava da terre sfruttate e
spolpate per secoli, da guerre e da catastrofi naturali o anche a causa di persecuzioni
politiche si è trasformata in fortezza difficilmente espugnabile, con una
miopia che accoppia stoltezza e crudeltà. Il bel corpus normativo costruito nei
decenni post 1945, il governo delle controversie mondiali affidato ad una
istituzione super partes (in teoria) come l’ONU,
si sta rivelando sempre più apertamente un castello di carte truccate e rivela la
sua fragilità. In Palestina, di fronte a una montagna di crimini contro
l’umanità che se elencati per iscritto farebbero crollare i tavoli, di fronte a
un “genocidio plausibile” secondo la Corte Internazionale dell’Aja, che falcia
nuove vittime ogni giorno che passa, il Presidente degli Stati Uniti ha la
sfrontatezza paradossale di dichiarare che non ci sono prove concrete che le
bombe che invia allo Stato israeliano, le “sue” bombe, siano usate per
commettere crimini di guerra.
Si sfiora l’assurdo, il tragico ridicolo. E il
Segretario Generale dell’ONU dimostra tutta la sua impotenza dichiarandosi via
via sconvolto, atterrito, desolato, eccetera, di fronte al crollo di ogni
frammento residuo di umanità. A Gaza si affama la popolazione sopravvissuta a
sette mesi di bombardamenti, si spara su ambulanze, si mitragliano e
polverizzano ospedali, scuole, università, centri di organizzazioni ONU, campi
di rifugiati, si uccidono funzionari ONU, pazienti, medici, giornalisti, scrittori,
si uccide chi aspetta cibo. La maggioranza dei morti e feriti sono bambini e
donne, non certo combattenti, ma tant’è. Il voto passato al Consiglio di
Sicurezza ONU di cessate il fuoco è ignorato, la pressione internazionale è
ignorata, le bombe continuano ad arrivare. D’altra parte Israele ha sempre
ignorato tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ed è stato
l’ineffabile Presidente USA Trump, in sprezzo al diritto internazionale, ormai di
moda, a riconoscere Gerusalemme (la cui parte Est è occupata illegalmente) come
capitale dello stato israeliano. Chi ha eccepito? Se il principe saudita MBS, sospettato
di essere il committente di un crimine spregevole come lo strangolamento e lo
squartamento del giornalista Jamal Khashoggi può tranquillamente continuare a
svolgere le sue regali funzioni statali ed essere ricevuto in Francia con tutti gli onori, come stupirsi se il diritto umanitario, le
convenzioni di Ginevra, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono ignorati? Si parla
disinvoltamente di esercizi militari nucleari, di mini-bombe nucleari tattiche,
di necessità di economia di guerra in Europa, mentre gli investimenti che
sarebbero necessari per contrastare in extremis l’ebollizione del pianeta che
ha ancora la pazienza di sopportare il peso di una specie pervicacemente nociva
e autodistruttiva vanno ad aumentare gli arsenali bellici. Il parossismo della
stoltezza umana tocca nuove vette. The time is out of joint, il tempo mondo
scardinato è squassato da un vento torrido e mortale.
Siamo ad un
crinale, se le lotte di chi si batte per un pianeta vivibile, contro la guerra
e il riarmo forsennato falliranno, se falliremo nell’abbattere un capitalismo
predatore che prospera sul tempo breve del profitto e sui conflitti, non
prepareremo certamente l’avvenire dei “domani che cantano”.
Un orologio ticchetta inesorabilmente
dal 1947.
** Tutte le foto sono tratte da una recensione di "Caligula's Party" su La Bottega del Barbieri, la pièce è ispirata al "Caligola" di Albert Camus. E' l'ultimo lavoro dell'artista Chiara Ameglio di una trilogia dal titolo "Indagini sulla mostruosità".
https://www.labottegadelbarbieri.org/caligulas-party/.