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mercoledì 29 maggio 2024

LO SCIALLE SUDANESE

 

SOLO IN AFRICA PUO’ ACCADERE

(IL BARATTO)

Lo scialle in questione
 

Vari anni fa, appena prima che il Sud Sudan (SS) diventasse indipendente e quindi Stato nazionale distinto dal Sudan, ho lavorato per circa un anno nello Stato dei Laghi, Lakes State, uno dei 10 stati del SS (amministrativamente corrispondente a una nostra regione anche se molto più grande). Dopo l’indipendenza, gli Stati federali sono diventati 28, si immagina per questioni di preferenze etniche ed elettorali, e il Lakes State è stato spezzato in due.

Il capoluogo allora era Rumbeck, una cittadina abbastanza sgangherata con un mercato ebdomadario sfornito e vari negozi polverosi dove i rifornimenti, sia alimentari che di altro genere, arrivavano quasi tutti dall’Uganda (e in Uganda dalla Cina per ammennicoli plastici o meccanici). Ricordo che un’arancia o una mela (ugandesi) potevano costare anche un euro, naturalmente in moneta locale corrispondente, lo scellino sudanese. In “centro” c’era un’unica strada principale, senza marciapiedi, forse una volta asfaltata, con negozi che si affacciavano su di essa con qualche vetrina macchiata e appannata. Ma la città pulsava sempre di vita, passanti e vetture, camioncini e carretti, un gran vociare, trasporto “pubblico” assicurato con delle specie di apetti, trabiccoli aperti ai lati, con tre ruote, chiamati appunto three-wheels, chiaramente privati[1]. Una mattina ero in libera uscita, a piedi ovviamente, e cercavo non ricordo che mercanzia. Ad un certo momento ho una specie di visione che mi incanta. C’è una donna altissima e magra, come tutti i Dinka[2], che sta parlando con due interlocutori, in piedi in mezzo alla via, abbigliata con una lunga veste a righe di un rosa carico con righe nere che mi ammalia: non la donna ma il suo abito[3]. La stoffa è leggermente cangiante e lucida, sfolgora al sole, ne sono rapita. Mi prende un desiderio travolgente di avere una stoffa simile, quel rosa e quel nero, mi avvicino al capannello con qualche titubanza, mi scuso di interrompere la conversazione, e chiedo alla signora dove posso trovare una stoffa simile che mi sembra bellissima. Lei risponde di averla comperata al mercato di Juba, la capitale, ben distante da Rumbeck, lei abita appunto a Juba, quindi crede sia quasi impossibile trovarla in loco. A questo punto cerco di pensare a come posso invogliare la signora a darmela. Siamo di fronte ad un negozio di abiti e tessuti, e ho un’idea. Le dico che il suo abito mi piace moltissimo e vorrei proprio comperare quella stoffa, ma se non posso trovarla a Rumbeck, e se lei non vi è particolarmente affezionata, forse sarebbe disposta a darmela in cambio di un nuovo abito o stoffa di suo gusto, che può scegliere nel negozio di fronte, o in un altro che preferisca, glielo posso pagare subito.

La signora non si fa pregare, con mia sorpresa accetta subito l’affare (un abito nuovo in cambio del vecchio, perché no) ed entra nel negozio. Fortunatamente e contrariamente alle mie abitudini, quel giorno sono uscita con una somma decente di denaro contante locale. Così aspetto insieme ai due suoi amici, che non sembrano stupiti della mia stranissima richiesta, e poco dopo la signora esce dal negozio indossando un altro abito, con un gran sorriso; la sua vecchia tunica le pende dal braccio in larghe pieghe. Così entro nel negozio e pago. Lei sorridente mi porge l’agognata stoffa, lunghissima e più abbondante del previsto, io ringrazio vivamente e ci separiamo.

Ora devo decidere che fare con quella montagna di stoffa: io sono piccola e magra, la sconosciuta venditrice è una statua d’ebano imponente. I sarti che lavorano quasi in strada, in piccole sartorie con porte spalancate, sono numerosi dappertutto in Africa, salvo in zone di guerra, e anche nel centro di Rumbeck non mancano. Ne adocchio uno e gli porto i chilometri di stoffa. Una volta dispiegatala, vediamo che ne posso fare almeno quattro grandi scialli, ma naturalmente bisogna aggiungere a ciascuno le frange da ambo i lati, quindi otto lati di frange. Che mi costeranno una piccola fortuna, ci vuole tempo per farle, è un lavoro di fino. Ampi scialli, quasi lenzuola.

Morale della favola: dopo un mese di attesa ho avuto i miei quattro enormi scialli, ne ho regalati tre e ne ho ancora nel cassetto uno che indosso di rado ma con soddisfazione, e soprattutto quando guardo quella stoffa che ancora mi sembra splendere al sole e pulsare di vita, ricordo il facile baratto sudanese e mi dico: in Africa quante cose sono possibili! E il mio umore migliora immediatamente.

 

 

 

 

 



[1] Li avevo trovati, e usati, in Sri Lanka, usano una miscela micidiale e puzzolente, che contribuisce generosamente all’inquinamento urbano.

[2] Gruppo etnico maggioritario nella regione

[3] Non si tratta dei “grands boubous” ampi e scollatissimi sul petto e sulla schiena che indossano le donne in Africa Occidentale, ma tuniche tubolari che non aderiscono al corpo ma lo avvolgono morbide, e quasi a giro collo.

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