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giovedì 30 maggio 2013

Stabilizzare, questo (non) è il problema



Stabilizzare, questo (non) è il problema


 
 Cauca, Colombia 

Da qualche anno, in circostanze di conflitti armati che hanno lunghe radici economiche, sociali, culturali e religiose, o magari sono la conseguenza di precedenti  guerre, i poteri nazionali e internazionali ( UE, USA, NATO) esprimono in coro nei cosiddetti vertici una sola sollecitudine,  spesso muscolare in termini di interventi  massicci e militari, all’insegna di  una comune e diffusa parola d’ordine: stabilizzare. La stabilizzazione è il fine.
In  paesi diversi come lo Yemen, il Mali, la Somalia, l’Afghanistan, la Nigeria, bisogna “stabilizzare” la situazione, a suon di missili, blindati e droni. Stabilizzare cosa? La povertà rurale e delle bidonvilles, la rabbia per la mancanza di servizi sanitari di base, di acqua potabile, di educazione come diritto , di giustizia, la diseguaglianza di genere? L’oppressione senza fine dei deboli? Alle radici dei recenti e meno recenti conflitti ci sono usurpazioni di potere, disequilibri, società affette da problemi che invece di essere riconosciuti come tali e quindi affrontati per spegnerne il potenziale distruttivo del legame umano tra strati sociali e gruppi diversi, sono rimossi e soffocati finché  esplodono  e vengono repressi con la forza. Si lasciano ovviamente inevase le domande che tali esplosioni provocano.   E’ impossibile che qualcuno con qualche barlume di intelligenza  e qualche ritaglio di informazione possa accreditare la buona fede di questa politica. Ma non leggo molte confutazioni di questo assurdo mantra stabilizzante su periodici e quotidiani, né in inchieste giornalistiche.
L’apparente assurdità è poi che accanto al ritornello della stabilizzazione risuona quello dell’intervento armato a vantaggio di una delle parti in causa, spesso all’origine creatura su misura di interessi degli interventisti, al fine scoperto di guidare lo scontro in modo da salvaguardare o avvantaggiare ulteriormente gli interessi delle élites delle suddette potenze.
 Un dossier di Le Monde Diplomatique di circa venti anni fa era intitolato: Geopolitica del caos. Caos Asia é un libro di Ahmed Rashid del 2009  Nel 1991 non si era che agli inizi. Da allora le forze del caos si sono moltiplicate, mentre gli antidoti pure presenti nelle molteplici società non riescono a coordinarsi secondo una prospettiva strategica comune. Tanto meno a far sentire il peso della loro opposizione a ottiche militari sui rispettivi governi . E' tempo che sia tempo, dice una poesia di Paul Celan.



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