Stabilizzare, questo (non) è il problema
Cauca, Colombia
Da qualche anno, in circostanze di conflitti armati che
hanno lunghe radici economiche, sociali, culturali e religiose, o magari sono
la conseguenza di precedenti guerre, i
poteri nazionali e internazionali ( UE, USA, NATO) esprimono in coro nei
cosiddetti vertici una sola sollecitudine, spesso muscolare in termini di interventi massicci e militari, all’insegna di una comune e diffusa parola d’ordine:
stabilizzare. La stabilizzazione è il fine.
In paesi diversi come
lo Yemen, il Mali, la Somalia, l’Afghanistan, la Nigeria, bisogna
“stabilizzare” la situazione, a suon di missili, blindati e droni. Stabilizzare
cosa? La povertà rurale e delle bidonvilles, la rabbia per la mancanza di
servizi sanitari di base, di acqua potabile, di educazione come diritto , di
giustizia, la diseguaglianza di genere? L’oppressione senza fine dei deboli? Alle
radici dei recenti e meno recenti conflitti ci sono usurpazioni di potere,
disequilibri, società affette da problemi che invece di essere riconosciuti
come tali e quindi affrontati per spegnerne il potenziale distruttivo del
legame umano tra strati sociali e gruppi diversi, sono rimossi e soffocati
finché esplodono e vengono repressi con la forza. Si lasciano
ovviamente inevase le domande che tali esplosioni provocano. E’ impossibile che qualcuno con qualche
barlume di intelligenza e qualche
ritaglio di informazione possa accreditare la buona fede di questa politica. Ma
non leggo molte confutazioni di questo assurdo mantra stabilizzante su
periodici e quotidiani, né in inchieste giornalistiche.
L’apparente assurdità è poi che accanto al ritornello della
stabilizzazione risuona quello dell’intervento armato a vantaggio di una delle
parti in causa, spesso all’origine del problema, creatura e prodotto su misura di interessi degli
interventisti, al fine scoperto di guidare lo scontro in modo da salvaguardare
o avvantaggiare ulteriormente gli interessi delle élites alleate delle suddette potenze.
Un dossier di Le Monde Diplomatique di circa venti anni fa era intitolato: Geopolitica del caos. Caos Asia é un libro di Ahmed Rashid del
2009 Nel 1991 non si era che agli inizi.
Da allora le forze del caos si sono moltiplicate, mentre gli antidoti pure
presenti nelle molteplici società non riescono a coordinarsi secondo una
prospettiva strategica comune. Tanto meno a far sentire il peso della loro
opposizione a ottiche militari sui rispettivi governi . E' tempo che sia tempo, dice una poesia di Paul Celan.
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