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venerdì 11 novembre 2016

MOZAMBICO 1986: LA RIVOLUZIONE DIROTTATA




MOZAMBICO 1986: LA RIVOLUZIONE DIROTTATA  [1]



Il 19 ottobre di quest’anno è trascorso senza che la stampa o i notiziari, nazionali e internazionali, abbiano ricordato adeguatamente che esattamente trent’anni prima il Tupolev Tu-134A-3 - che riportava a Maputo il Presidente mozambicano Samora Machel e una delegazione di 29 persone tra ministri, consiglieri e diplomatici - si schiantava in una remota regione montuosa presso Mbuzini, in un bantustan sudafricano, a 150 metri dal confine con il Mozambico. Il team rientrava da un vertice a Lusaka con altri paesi della “Linha da Frente”, l’alleanza dei paesi dell’Africa Australe che contrastavano le politiche di destabilizzazione e di attacco armato del Sudafrica dell’apartheid.

Samora Machel mori sul colpo, altri altissimi dirigenti e intellettuali, tra cui Aquino de Bragança, Fernando Honwana e il ministro dei trasporti Alcantara Santos egualmente furono tra le vittime: sopravvissero un membro dell’equipaggio e altri 8 passeggeri. Nell’avvicinarsi all’aeroporto di Maputo, il Tupolev pilotato da un equipaggio sovietico aveva inspiegabilmente effettuato una virata a destra di 37°, andando fuori rotta e precipitando sui monti Libombo. Perché?

La Commissione d’inchiesta presieduta dal giudice sudafricano Margo avrebbe dovuto essere internazionale, ma fu infine composta soltanto da sudafricani poiché i Mozambicani e i Sovietici ritirarono la loro adesione in quanto non accettati come partner con pari dignità e prerogative. La Commissione concluse che il disastro era stato provocato da errore dell’equipaggio e in particolare del pilota, che aveva ignorato i segnali d’allarme del sistema elettronico che avvisa del pericolo di ostacoli e in particolare della vicinanza al suolo (Ground Proximity Warning System, GPWS) e aveva proseguito la discesa con un approccio visuale, presumendo di stare avvicinandosi all’aeroporto di Maputo. La relazione spiegava la virata improvvisa di 37° con un errore umano del pilota e del navigatore, che avrebbero scambiato il VOR di Matsapa in Swaziland per quello di Maputo. Pertanto l’equipaggio non era composto da novellini ma da tecnici con migliaia di ore di volo. 


Dal canto suo la delegazione sovietica redasse una relazione di minoranza che interpretava in modo completamente diverso questa improvvisa virata: il pilota avrebbe captato un falso segnale VOR (Very High Frequency Omnidirectional Radio), un “faro direzionale” fasullo (decoy beacon) mobile, successivamente fatto sparire, e lo avrebbe seguito pensando che fosse il segnale radio di Maputo; avrebbe interpretato l’allarme del GPWS come erroneo e provocato da un guasto.  Tale interpretazione fu corroborata da testimonianze successive raccolte dai team mozambicano e sovietico, che puntarono il dito su complicità sia alla torre di controllo dell’aeroporto di Maputo che a quello di Matsapa, in Swaziland. Il segnale falso sarebbe stato calibrato sulla stessa frequenza di quello di Maputo e fu notato anche da un Boeing 737 delle Linee Aeree Mozambicane (LAM) che si trovava nella stessa zona.

 I sopravvissuti constatarono che quasi immediatamente dopo lo schianto giunsero sul luogo del disastro agenti delle SADF, South African Defence Force, che cominciarono a frugare tra i detriti dell’aereo, preoccupandosi assai poco di fornire aiuto ai feriti. I sudafricani si impadronirono della scatola nera e la trattennero a lungo. La notizia della caduta dell’aereo fu data a Maputo solo 11 ore dopo. Lo stesso Ministro degli esteri Pik Botha e il capo del National Security Intelligence ammisero di avere rimosso documenti e cartelle per farne copie[2]. Inoltre, una volta entrato nello spazio aereo sudafricano, l’aereo era sotto il pieno controllo del sistema di sorveglianza radar sudafricano altamente sofisticato (Plessey) e quindi sarebbe stato perfettamente possibile evitare il disastro avvisando l’equipaggio dell’errore di rotta.

Nell’intervista rilasciata a Cathy Mohlahlana il 17 ottobre scorso il giornalista sudafricano Dan Moyane, allora rifugiato politico a Maputo e attivo presso il servizio in lingua inglese di Radio Moçambique, rievoca la statura di statista, leader politico e militare di Samora. Dan Moyane aggiunge particolari che inequivocabilmente rendono altamente probabile la responsabilità del Sudafrica. Tra l’altro, egli cita la testimonianza della guardia di sicurezza del Presidente, che appena recuperò piena coscienza dell’accaduto e si guardò intorno vide delle torce nel buio della notte e udì delle voci chiamare: “Samora…Samora…” I membri dell’equipaggio che non sopravvissero avevano degli strani tagli sul collo non compatibili con le ferite riportate dall’impatto a terra. E inoltre, due settimane prima della caduta dell’aereo, agenti della SADF furono visti aggirarsi nel luogo che sarebbe stato il teatro del disastro aereo, come testimoniato da abitanti del luogo. 

Negli anni che seguirono ci furono testimonianze e ammissioni di agenti segreti ed elementi dell’intelligence sudafricana. Inoltre il verbale dello State Security Council (SSC) del gennaio 1984 indicano che il gruppo di lavoro sul Mozambico che includeva il generale Jack Buchner e il maggiore Craig Williamson avevano discusso espressamente come appoggiare la Renamo a sovvertire il governo del Frelimo
Una successiva Commissione d’Inchiesta, The Truth and Reconciliation Commission, (2001) nominata dopo la fine del regime di apartheid, si concluse con una relazione che non consentiva di arrivare ad una verità storica ufficiale sulle cause e le circostanze del disastro: “La questione (del falso segnale radio come causa principale del disastro) richiede ulteriori investigazioni da parte di una struttura appropriata”.

Un’altra inchiesta si sarebbe svolta sempre in Sudafrica nel 2006, ma non ci sono informazioni su conclusioni raggiunte, come se si fosse dissolta in un nulla di fatto.

Tuttavia è soprattutto la conoscenza del contesto politico di estrema tensione di allora in Africa Australe e di guerra aperta in e al Mozambico, oltre alle circostanze e testimonianze citate, che conduce alla conclusione più plausibile: l’aereo fu fatto cadere, il regime dell’apartheid voleva morto Samora Machel. La stessa moglie di Samora, Graça Machel, allora Ministro dell’Educazione e Cultura, aveva parlato alla Commissione Margo di precedenti tentativi di attentati alla vita del Presidente e di attacchi alla sua residenza. Nel 1981 si era verificato un attacco armato a Matola, alla periferia di Maputo, di agenti sudafricani, che avevano ucciso militanti dell’A.N.C. nella loro sede (attacco che anche io, cooperante al tempo residente a Maputo, ricordo bene).

In Mozambico il governo socialista del Frelimo[3] era sotto attacco dal 1977, due anni dopo l’indipendenza, da parte della guerriglia sabotatrice della Renamo[4] creata dal regime della Rhodesia di Ian Smith nel 1976 e, in seguito all’indipendenza dello Zimbabwe nel 1980, appoggiata e foraggiata dal regime dell’apartheid del Sudafrica. Dietro al Sudafrica c’erano chiaramente gli Stati Uniti: la guerra fredda in Africa (e non solo) fu assai calda.


La Renamo attaccava treni, convogli, distruggeva e incendiava villaggi collettivi, mutilava, bruciava scuole, presidi sanitari; speculando su risentimenti e frustrazioni delle popolazioni soprattutto del centro-nord del paese era riuscita a raccogliere consensi e a spaccare in due il Mozambico, minacciandone seriamente la compagine sociale ed economica e mettendone in gioco la sopravvivenza. Anche in Angola si combatteva: si trattava di una potente opera di destabilizzazione di tutta l’Africa Australe che mirava alla caduta dei governi socialisti dell’Angola e del Mozambico e a contrastare la lotta dell’African National Congress in Sudafrica. Per questo La Tanzania di Nyerere, lo Zambia di Kaunda, lo Zimbabwe di Mugabe, il Mozambico di Samora Machel e l’Angola di Neto avevano formato un’alleanza come Paesi della Linha da Frente per fare blocco e resistere alla strategia e agli attacchi del Sudafrica, che invece poteva contare sul presidente Banda del Malawi e sull’acquiescenza degli staterelli satelliti del Swaziland e del Lesotho. In Namibia lo SWAPO lottava ancora per l’indipendenza.  

Nel 1984 un Mozambico stremato si era piegato a firmare l’accordo di Nkomati con il Sudafrica, impegnandosi ad espellere i guerriglieri dell’A.N.C. in cambio di una cessazione dell’appoggio alla guerriglia della Renamo. Ma mentre il Mozambico aveva rigorosamente rispettato la sua parte del trattato, nel 1986 era evidente che il Sudafrica e il suo accolito Malawi continuavano a sostenere attivamente, finanziare e dare santuario ai guerriglieri Renamo capeggiati da Afonso Dhlakama (tuttora leader della stessa Renamo). Poco prima del disastro aereo del 19 ottobre il Capo di Stato Maggiore mozambicano  aveva accusato Il governo del Malawi di aiutare i “surrogati del Sudafrica” (la Renamo) a mettere in piedi basi in Malawi per poi infiltrarsi nel centro-nord del Mozambico, e di emettere passaporti a loro nome, addirittura a nome di Dhlakama. Samora Machel aveva minacciato apertamente il Presidente Banda di chiudere la frontiera con il Malawi e di puntargli addosso i missili se non avesse smesso la sua opera di sostegno alla Renamo.

In breve, il clima politico era rovente. Ecco quindi che la morte di Machel e di alcune delle migliori menti che possedesse allora il Mozambico acquista il suo significato politico di ennesimo sabotaggio della rivoluzione socialista, ovunque questa minacci di radicarsi e dare i suoi frutti, da parte delle forze reazionarie mondiali. Meno di un anno dopo la stessa longa manus uccideva il Presidente Thomas Sankara nel “paese degli uomini integri”, il Burkina Faso.


Ormai sono passati trent’anni da quella notte tragica. Che la rivoluzione mozambicana abbia subìto un colpo mortale in quella circostanza è a mio avviso incontrovertibile, anche se si può a buon diritto sostenere che la guerra scatenata dalla Renamo aveva già dato i suoi frutti e il processo di trasformazione socialista aveva subito duri colpi.  Il conflitto, come accennato più sopra, aveva rivelato errori strategici gravi compiuti dal Frelimo: errori di lettura politica e di interpretazione delle esigenze delle popolazioni soprattutto rurali del centro-nord. Una straordinaria inchiesta del compianto antropologo francese Christian Geffray ritraccia le ragioni profonde dell’adesione delle popolazioni del centro-nord del Mozambico all’ insorgenza armata della Renamo. 

La guerra che terminò con gli accordi di pace del 1992, favoriti dall’opera di mediazione del Governo italiano, della nostra Ambasciata e della Comunità di Sant’Egidio, aveva contribuito ad aprire una breccia che non fece che allargarsi fino a generare una vera e propria mutazione antropologica nella classe dirigente del paese, all’epoca la più integra, illuminata e spartana a livello mondiale. L’aggiustamento strutturale della fine degli anni ’80 impose un drastica riduzione delle spese sociali e dell’intervento statale, l’aiuto post-bellico da parte di IMF e WB fu condizionato all’adesione a politiche neoliberiste e crebbe sempre più la dipendenza dal finanziamento esterno. Il Mozambico si trasformo nel beniamino delle istituzioni di Bretton Woods con una crescita che negli anni 1990 fece il gran balzo in avanti: da una crescita nulla tra il 1981 e il 1992 (pour cause!) si passò ad una media di 8,1% tra il 1993 e il 2008. A che prezzo? A prezzo dell’anima. Come ben si sa, crescita e sviluppo non sono sinonimi.


Nello stesso periodo cominciò ad allargarsi a macchia d’olio una corruzione sempre più difficile da estirpare, che ha ora colonizzato gran parte delle nuove élites del potere e in particolare i ranghi del Partito Frelimo e dello Stato ai livelli più alti. Una serie di privatizzazioni delle banche, volute fortissimamente dalle istituzioni di Bretton Woods illustra come spesso i donatori favoriscano i corrotti: “I ricercatori della Banca Mondiale evidenziano che l’aiuto esterno può generare corruzione e che non c’è prova che i donatori finanzino paesi con un livello minore di corruzione. Un altro studio ha mostrato che i governi più corrotti ricevono i maggiori finanziamenti”.
Alcune banche privatizzate furono terreno di scorrerie finanziarie, lavaggio di denaro sporco e     frodi: chi le indagò e denunciò pubblicamente pagò con la morte il suo coraggio.

Nel 2010 sono stati trovati giacimenti ricchissimi di gas naturale e idrocarburi offshore a nord, e gli appetiti si sono aguzzati di conseguenza. Vari studiosi segnalano una dialettica tra un’ala “sviluppista” e un’altra “predatrice” interna al Frelimo e allo Stato mozambicano. C’è da augurarsi che la prima prevalga e disincagli il paese dalle secche in cui rischia di arenarsi. A tutt’oggi, fine 2016, la guerra di bassa intensità della Renamo è ripresa e imperversa già da più di due anni, la situazione economica è pessima, l’inflazione alta, la povertà e l’analfabetismo sono diminuiti ma non abbastanza, l’agricoltura familiare non è appoggiata in modo adeguato, la questione della corruzione è lungi dall’essere risolta, il debito esterno è aumentato in modo insostenibile e i donatori hanno bloccato il loro sostegno in seguito a debiti statali contratti in modo fraudolento. Sono in corso trattative per una spartizione del potere tra Frelimo e Renamo coordinate dagli stessi attori che favorirono gli accordi di pace del 1992.

La parola d’ordine è ancora oggi come nel 1975: a luta continua! Hasta siempre, Comandante.

SAMORA AMCHEL MEMORIAL AT MBUZINI, SOUTH AFRICA

FONTI UTILIZZATE
1.   Intervista a Dan Moyane, eNCA News, “Someone has to be held accountable”, 17 ottobre 2016
5.   Geffray, Christian. La cause des armes au Mozambique. Parigi: Karthala, 1990
8.   Hanlon, Joseph. Bollettini  « Mozambique News Reports and Clippings », vari, tinyurl.com/sub-moz
9.   Hanlon, Joseph. Mozambique’s Elite- finding the way in a globalised world and returning to old development models, paper presented at a Crisis States Research Centre, 7 ottobre 2009
10.               Hanlon, Joseph & Smart, Teresa. Do bycicles equal development? Londra: James Currey, 2008
11.               Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/1986_Mozambican_Tupolev_Tu-134_crash
12.               Savana n. 1189. “Mistério sobre morte de Samora mantém-se”, 21 ottobre 2016





[1] Le fonti usate per redigere questo post sono elencate a fine testo.
[2] La documentazione fu poi consegnata a Sergio Vieira, Ministro mozambicano della Sicurezza.
[3] Frente de Libertação de Moçambique
[4] Resistência Nacional Moçambicana

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