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venerdì 18 novembre 2016

REPORTAGE DALLA COLOMBIA DEL POST REFERENDUM




“IN COLOMBIA, OPERAZIONE PORTE APERTE DELLE FARC”*

Reportage da Quibdó, Chocó, apparso il 9 novembre su Le Monde
Inviata speciale Marie Delcas

 COLOMBIA, MARCIA PER LA PACE

Non è ancora la pace, ma i fucili tacciono. Un mese dopo il referendum che ha visto i colombiani respingere per un margine ristrettissimo (50,21%) l’accordo di pace negoziato con la guerriglia, la speranza di porre fine al conflitto armato non è morta. Le forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC, estrema sinistra) moltiplicano le dichiarazioni concilianti e le iniziative. Il 31 ottobre i guerriglieri hanno così organizzato una “veglia per la pace e la riconciliazione” aprendo ovunque nel paese i loro accampamenti al pubblico per tutta una notte.
Il Presidente, ormai Premio Nobel per la Pace, Juan Manuel Santos, sta conducendo difficili trattative di pace su due fronti. A Bogotá, il dialogo in corso con l’opposizione di destra e della ultradestra che hanno incitato a votare “no” al referendum ha prodotto una lista di 410 proposte. Dominato dall’ex Presidente Alvaro Uribe, il fronte del rifiuto ha avuto difficoltà ad accordarsi sulle sue esigenze in vista della rinegoziazione dell’accordo di pace. All’Avana, con la lista in mano, i delegati del governo (Santos) hanno intavolato le trattative con i guerriglieri. Questi ultimi hanno accettato di ritornare su alcune clausole dell’accordo, ma sono decisi a non cedere nulla sui punti essenziali.


L’invito non si rifiuta

“Ci sono degli spartiacque, delle linee rosse impossibili da superare”, spiega Nathalie Mistral, che stima “impossibile che i capi guerriglieri vadano in prigione”. Questa francese si è unita alle FARC dodici anni fa “per convinzione rivoluzionaria”. Dal mese di aprile vive nel cuore della giungla del Chocó, che si estende lungo il versante del Pacifico, nella parte occidentale del paese.[1]Per organizzare l’accoglienza in vista della veglia della pace, i guerriglieri del 57° fronte hanno costruito delle baracche provvisorie. I partecipanti arrivano al calar della notte, in piccoli gruppi, su scialuppe o in fuoribordo. In questa regione della giungla battuta da diluvi equatoriali il fiume è l’unica via percorribile. L’esercito pattuglia ancora il fiume Atrato, ma i blocchi di controllo sul suo corso sono cessati dopo il cessate il fuoco bilaterale in agosto.
Gli ospiti – più di 300 – hanno navigato per delle ore a volte sotto la pioggia. Un invito delle FARC non si rifiuta. Tanto più che i guerriglieri hanno pagato il carburante delle imbarcazioni e hanno promesso di far cenare tutti. Gli indiani Embera, che non parlano o parlano male lo spagnolo si sistemano su un lato dell’accampamento. I guerriglieri e le guerrigliere, indistintamente in jeans e magliette, si mescolano ai contadini e ai lavoratori, afro o meticci, venuti con mogli e bambini. Nell’attesa dell’inizio della cerimonia, si proiettano video che celebrano le glorie delle FARC e della lotta armata. Ma stasera nessuno è armato.
“Con l’esercito abbiamo instaurato un rapporto di mutuo rispetto. I militari sanno dove siamo e noi li avvisiamo di ogni nostro movimento”, spiega il comandante Pablo Atrato. Entrato in vigore il 24 agosto, il cessate il fuoco è stato scrupolosamente rispettato da ambedue le parti. Il Capo sommo delle FARC Rodrigo Londoño, alias “Timochenko”, ha persino dovuto richiamare all’ordine certi fronti che esibivano troppa confidenza con i soldati.
Nathalie chiarisce:” I soldati sono figli di poveri, come i guerriglieri. Noi come FARC abbiamo combattuto militarmente un sistema e una classe politica corrotti, ma i militari non sono i nostri nemici”. E’ ottimista:” La Colombia si è impegnata già troppo sulla strada della pace per poter fare marcia indietro”. “Qui il risultato del referendum ha fatto l’effetto di una doccia fredda”, racconta Leyner Palacios. L’accordo di pace è stato sconfessato nelle urne da gente che non ha mai conosciuto la guerra. Leyner ha perso 28 familiari nel massacro di Bojayá. Accadde nel maggio del 2002. Le milizie paramilitari tentavano allora di prendere il controllo della regione mettendola a ferro e a fuoco. Un cilindro pieno di esplosivo di tipo artigianale tirato dalle FARC cadde sulla chiesa del villaggio, dove si erano rifugiati gli abitanti. Settantanove persone furono uccise[2], tra le quali 48 bambini.
Alla vigilia del referendum i comandanti delle FARC sono venuti a chiedere perdono alla comunità. Il 2 ottobre, il 95% della municipalità di Bojayá ha votato in favore della pace. In tutto il dipartimento del Chocó la percentuale in favore della pace è stata del 75%, un record nazionale.[3] Numerosi pastori evangelisti hanno fatto atto di presenza alla veglia. Sulla scena, Jaime, della chiesa interamericana della Colombia, prende la parola per vantare le virtù della fede e del perdono. Di fronte a un pubblico silenzioso, s’infiamma:” Gesù non è morto sulla croce solo per i civili, ma anche per le FARC”. A parte, più compassato, si rallegra nel vedere “le FARC avvicinarsi a Dio.” Rifiuta però di pronunciarsi sull’atteggiamento dei suoi colleghi che, altrove nel paese, hanno esortato a votare per il no.

FIUME ATRATO
Mano tesa

I preti cattolici non sono venuti alla veglia convocata dal 57° fronte. I guerriglieri sono delusi. La diocesi di Quibdó, capoluogo del Chocó, afferma non essere stata avvisata in tempo. L’operazione porte aperte delle FARC aveva per obiettivo soprattutto le chiese del paese. L’opposizione della grande maggioranza dei pastori e di certi preti cattolici ha pesato nel referendum. E le FARC, marxiste e atee, vogliono tendere loro una mano. Il comandante Pablo Atrato la mette così:” Dato che ci battiamo per il benessere del popolo, dobbiamo rispettare ciò in cui il popolo crede”.
Le FARC giocano quindi la carta dell’apertura. “Ma è chiaro che per tutta la durata del nuovo negoziato, la situazione resta incerta e l’incertezza è gravida di pericoli”, dice Leyner Palacios. “Il cessate il fuoco non è al riparo da una provocazione che potrebbe rimettere tutto in causa”.

***Ho scritto  l'articolo "Caleidoscopio Colombia" su questo blog nel 2013, di ritorno da un viaggio nel paese di due mesi  . Per approfondire le ragioni del "no" al referendum del 2 ottobre, si può leggere su Le Monde Diplomatique di novembre (2016) l'articolo di Gregory Wilpert "Perché i colombiani hanno respinto la pace?"

http://croceorsa.blogspot.it/2013/05/caleidoscopio-colombia-tra-guerra-e-pace.html



[1] Il Chocó ha una pluviometria impressionante, dai 5000-6000 mm annui al picco raggiunto a Tutunendo nel 1974 di più di 26.000 mm (http://www.meteoweb.eu/2012/05/scopriamo-perche-quibdo-in-colombia-e-la-citta-piu-piovosa-del-pianeta/132075/). 
[2] Altri resoconti parlano di almeno 117 morti, e di moltissimi mutilati, feriti e poi sfollati che tali rimasero per anni, o forse per sempre. Vedi: http://www.semana.com/nacion/articulo/como-fue-la-tragedia-de-bojaya/50635-3 
[3] Il dipartimento del Chocó è stato tra i più colpiti dal flagello della guerra, di fatto cominciata ben prima della nascita delle FARC, che hanno risposto con le armi alla preesistente violenza padronale e dei latifondisti, scatenata soprattutto nelle zone rurali.

*Traduzione mia.

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