"PER CONTO
DELL’EUROPA"
FERMARE
L’IMMIGRAZIONE FINANZIANDO MILIZIE CRIMINALI?
Unione Europea e Italia pronte a tutto pur di bloccare le
rotte dei migranti (e respingerli nel caso questi riescano ad arrivarci, in
Europa), e tutto vuol dire passare sopra i grandi principi; diritti umani e
libertà civili si piegano in funzione delle circostanze. Addirittura l'Italia si inventa un
diritto amputato per i richiedenti asilo
.
Lo sappiamo, lo sapevamo, ma constatare che si può arrivare a finanziare
aguzzini con i soldi dei contribuenti europei, con la garanzia di un capo di
stato dichiarato criminale di guerra con tanto di mandato d’arresto del
Tribunale Penale Internazionale, è il colmo dell’infamia.
Il rapporto dell’organizzazione internazionale
Enough.org, dal titolo eloquente:
Border control from hell:
how the EU’s migration partnership
legitimizes Sudan’s militia state del
Prof. Suliman Baldo (Controllo delle frontiere dall’inferno: come l’intesa
sulle migrazioni della UE legittima il Sudan, uno stato che si regge su milizie)
presenta un quadro esauriente della situazione eslege di questo immenso stato,
retto sin dal 1989 da un dittatore, Omar el Bashir, accusato di crimini contro
l’umanità e indiziato di genocidio per le stragi nel Darfur, con il quale l’Unione
Europea sta collaborando e cui sta elargendo contributi di milioni di euro.
Queste le tappe principali per comprendere la turpitudine
del patto e cercare di ostacolarlo a partire da Strasburgo, dal Parlamento
Europeo.
Il conflitto nel Darfur ha origine nel 2003 da una
ribellione di militanti appartenenti a etnie come i Fur, i Zaghawa e i Marsalit,
discriminate e oppresse dal regime di Khartoum nel Sudan occidentale, che accusa
le popolazioni della regione di appoggiarli e inizia una guerra senza quartiere
bombardando, incendiando e terrorizzando migliaia di villaggi. Iniziano l’eccidio
e il conseguente esodo che a tutt’oggi ha raggiunto cifre che superano i 2
milioni di rifugiati e sfollati interni. Molti si rifugiano in Ciad dove si
trovano ancora nei campi che dovevano essere provvisori, finanziati dalla UNHCR
e gestiti da decine di ONG. Migliaia di donne sono stuprate e ridotte in
schiavitù: ne ho conosciute alcune quando ho lavorato in Ciad a Goz Beida in
uno di questi campi. Sono morte almeno 300.000 persone. Chi compiva queste
atrocità –lo Stato Sudanese - usava sul terreno delle bande composte principalmente
da una tribù arabofona, i Rizeigat Abbala, di origine nomade, allevatori di
cammelli e razziatori di bestiame, denominati
janjaweed (i diavoli a cavallo)
dalle loro vittime, appoggiati dal cielo dalle forze armate ufficiali (S.A.F. –
forze armate sudanesi) con bombardamenti a tappeto. Le donne che ho conosciuto
mi avevano raccontato che erano riuscite a scappare con i soli abiti che
avevano indosso.
Dal 2004 campagne di informazione, mobilitazione di
attivisti dei diritti umani, articoli e reportage rendono questa guerra atroce
di pubblico dominio; in tutto il mondo, si organizzano gli aiuti internazionali,
piovono condanne. Si discute per anni se definire genocidio ciò che avviene,
che continua ad avvenire e non si riesce a fermare. Testimonial famosi come
George Clooney si recano in loco, si danno da fare. Poi pian piano il clamore
si acquieta e il dittatore Omar el Bashir continua a fare il Presidente, riesce
a essere rieletto ben due volte. A prezzo di repressioni sanguinose: nel 2013
circa 200 morti in tumulti di piazza a Khartoum, mentre le razzie e le stragi
continuano in Darfur. A nulla valgono le accuse formali del Tribunale Penale
Internazionale e i mandati d’arresto del 2009 e del 2010 contro di lui, i
mandati d’arresto contro i suoi più stretti collaboratori (Harun, Ali Kushayb, Hussein),
tutti indiziati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità: fino ad oggi Omar el Bashir è
riuscito a farla franca e le razzie e le stragi continuano, come documentato
puntualmente non solo da
Enough.org e
dal suo direttore John Prendergast ma anche dall’organizzazione
sudanreeves.org, che fa capo al Prof.
Eric Reeves, dello Smith College di Northampton, Massachusetts, o da Radio Dabanga,
dal cuore del Sudan (
dabangasudan.org).
Eppure questo mare di sangue versato sembra non pesare sulla
bilancia sbilenca dell’Unione Europea quando si tratta di ergere delle barriere
per fermare i sacrosanti movimenti migratori, in questo caso quelli provenienti
dal Corno d’Africa e dall’Africa centrale, che attraversano Sudan, Niger e Ciad
per sfociare in Libia e puntare al Mediterraneo.
Per quanto concerne la Libia, la delega è affidata
all’Italia: in febbraio il nostro governo ha stretto un accordo triennale con
il governo traballante del premier Sarraj per rafforzare il controllo a partire
dalle coste libiche, naturalmente per fermare il contrabbando e il traffico di
esseri umani, foglia di fico verbale per significare che si rischia di finanziare
poliziotti alleati ai trafficanti per estorcere denaro ai malcapitati, pena
torture anche letali in totale impunità, come documentato da decine di libri e
reportage e da testimonianze degli stessi migranti sfuggiti all’inferno dei
campi di detenzione libici. Ma il Governo Italiano non ne sa nulla: il 2 aprile
altri titoli trionfanti di apertura sui giornali inneggiano alla saggezza di
chi favorisce “la pace tra le tribù” del Fezzan, regione di 700.000 km2 del sud
della Libia, milizie assoldate per chiudere i transiti dal Niger e dal Ciad. Si pretende di
ignorare anche in questo caso che le “tribù” arabofone libiche sono in linea di
massima (ci saranno lodevoli eccezioni) le peggiori nemiche dei sub-sahariani,
disprezzati come bestie; si può essere sicuri che i migranti catturati saranno
trattati con il massimo rispetto. Pochi giorni fa la stessa Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (I.O.M.) ha denunciato che i migranti
vengono venduti al mercato come schiavi per poche centinaia di dollari
.il
16 aprile MSF ha segnalato su RFI la testimonianza sconvolgente di un
senegalese che è stato testimone di pratiche schiavistiche nelle piantagioni libiche
.
Ancora non basta: i migranti affluiscono in Libia dal Corno
d’Africa, dal Sudan, dall’Africa Centrale e vanno fermati anche là. Non importa
che in marzo l’ONU abbia dichiarato che è in corso una delle peggiori crisi
umanitarie dal 1945 ad oggi proprio in Somalia, nel Sud-Sudan e nel nord-est Nigeria
(oltre che in Yemen), crisi dovuta alle guerre che vi imperversano oltre e
prima che alla siccità. La situazione è terribile anche intorno al Lago Chad,
dove le stragi di Boko Haram hanno causato centinaia di migliaia di rifugiati,
distrutto tutte le reti di scambio commerciale e reso impossibile
l’agricoltura. I bambini marasmatici ridotti agli estremi mostrati in TV servono
a fare affluire i fondi (pochissimi finora) ma se i loro padri cercano di
arrivare in Europa per cercare lavoro vanno bloccati. Logica impeccabile. La
cooperazione che l’Unione Europea ha rafforzato a partire dal 2014 con il
governo del Sudan rischia non solo di non prendere in considerazione tutto ciò,
in stridente contrasto con l’allarme umanitario dell’ONU, ma va oltre perché fa
da puntello a un governo criminale.
Si chiama “Processo di Khartoum”
l’accordo firmato nel 2014 tra la UE e il Governo del Sudan, quindi con il
criminale di guerra indiziato di genocidio Omar el Bashir, al fine precipuo di
“bloccare il traffico di esseri umani nei paesi di origine, transito e
destinazione”. Tale cooperazione è stata ulteriormente rafforzata e
rifinanziata con 100 milioni di euro nel 2016 allo scopo dichiarato di affrontare
le cause alla base dei movimenti di popolazione nel Sudan orientale, in Darfur,
e negli stati del South Kordofan e Blue Nile, dove imperversa la guerra con
gruppi ribelli legati al Sud Sudan. Questo pacchetto era destinato alle
popolazioni vulnerabili in zone di conflitto per migliorare i servizi sanitari,
educativi e la sicurezza alimentare. Ma 15 milioni in particolare finanziavano “un
rafforzamento delle capacità delle autorità locali”. Inoltre attraverso il
Trust Fund for Africa dell’UE si
attribuivano altri 40 milioni di euro sotto l’etichetta
Better Migration Management
per un programma di rafforzamento delle capacità dei governi regionali di
controllo delle frontiere, programma tuttora controverso, che rischia di
ingrassare anche le cosiddette
Rapid
Support Forces del Sudan (RSF),
ex milizie paramilitari ma ora parte integrante dell’esercito sudanese, che non
sono altri che le bande dei vecchi janjaweed promosse per i loro buoni servigi
e la loro efficacia mortifera. Il rapporto di
Enough.org segnala che di questi 40 milioni, almeno 5 destinati al
controllo di polizia e al settore giudiziario possono andare proprio alle RSF.
Create nel 2013 con compiti specificamente sporchi e
repressivi, le RSF sono state denunciate da numerose organizzazioni internazionali
per i loro crimini. Per tutta risposta, il governo di Omar el Bashir le ha
ripulite integrandole nel gennaio del 2017, nelle forze armate regolari.
Per capire meglio l’atmosfera legalista che spira tra le
forze armate, basti dire che quando nel 2013 il ministro della difesa si
lamentava durante una seduta del Parlamento che i bassi salari dei soldati
fomentavano le diserzioni, il segretario generale del Partito islamista
sudanese, partito di governo, “raccomandò che il bottino di guerra fosse
aggiunto come supplemento salariale”
.
Il 5 aprile scorso usciva su
The Guardian un lungo articolo a firma Phil Cox che rendeva conto
del suo calvario in questa oasi dei diritti umani che è il Sudan di Bashir: il
giornalista vi si era infiltrato illegalmente dal Ciad per raggiungere le zone
del Darfur sigillate all’informazione internazionale al fine di documentare ciò
che vi accade. Identificato dai servizi di sicurezza, con il suo aiutante e
traduttore è stato detenuto, torturato, gettato in galera e ne è uscito dopo
70 giorni di incubo grazie al prodigarsi dell’ambasciata del Regno Unito a
Khartoum, dopo essere stato obbligato a sottoscrivere di non tentare mai più di
tornare clandestinamente in Sudan
.
Forse siamo in tempo per fermare questo patto con il diavolo
dell’UE se riusciamo a informare e coinvolgere una platea più vasta di quella
ristretta di chi si occupa professionalmente di tali questioni.
http://www.iom.int/eu-horn-africa-migration-route-initiative-khartoum-process
Citato dal rapporto di enough.org: Ibrahim Hummoda,
“The War of Spoils in Sudan,” Almshaheer, in Arabic,
April 24, 2013, www.almshaheer.com/article-159133.