MARE E’ MONTAGNA: DALLA SARDEGNA AI
PIRENEI CATALANI (3)
Marsiglia: vecchio porto e Notre Dame de la Garde sullo sfondo |
L’impressione
provata all’arrivo nel centro di Marsiglia è stata quella di essere stata catapultata
nell’ombelico di un mondo caleidoscopico dalle mille sfaccettature e colori, un
microcosmo multiculturale effervescente e traboccante di vitalità e
versatilità, che tuttavia si manifesta sul fondale tutto francese di palazzi
dalle alte finestre piombate, di piazze dall’architettura enfatico-imperiale e
di boulevard alberati. Ci sono più cuori nel centro antico[1]
di questa città, ma l’arteria in cui la vita pulsa più forte è la Canebière,
che parte dal vecchio porto e sale verso la stazione ferroviaria, e il cuor dei
cuori è il bacino del porto, ammaliante al crepuscolo con i suoi riflessi
rossastri tra i gusci di barche e la visione lucente di Notre Dame de la Garde
che si accende poco dopo, appollaiata sulla collina a 162 mt sul livello del
mare proprio di fronte al Quai du Port che pullula di ristoranti affollati.
In fondo al
Quai du port, dopo il Forte St Jean
(fortezza del 1600), troneggia la mole del MuCEM,
il Museo delle civiltà d’Europa e del Mediterraneo, la cui progettazione[2]
riesce magistralmente a sposare una sagoma dalla linearità degna di Le Corbusier a delle vestigia secolari.
All’epoca della mia visita, oltre a una profusione di altre mostre e alle
collezioni permanenti, c’era una esposizione che ho trovato bellissima e originale
il cui leitmotiv era l’oro, con il suo pendant esecrabile (esecrata fame
dell’oro di virgiliana memoria), attraverso le culture, i continenti e i
millenni.
Tra una folla di oggetti, abiti e monili splendenti, particolarmente
coinvolgenti sono le storie umane dietro alcuni gioielli provenienti dal Monte
dei Pegni di cui si sono rintracciati gli antichi proprietari, costretti a
separarsene per sopravvivere, e che sono stati riscattati dagli organizzatori e
loro restituiti.
Mi ha poi
colpito la grande foto di un paesaggio irto di guglie e speroni di terra rossa
inframmezzati da una vegetazione rigogliosa. Il lungo pannello illustrativo
rivela che quel panorama non ha nulla di naturale e si scopre l’incredibile: la
contestata tecnica del moderno hydraulic
fracking, usata oggigiorno per recuperare lo shale gas e le sabbie bituminose
ricche di petrolio, ha insospettati antecedenti e risale addirittura al 1° sec.
d.C. Infatti fu ideata e sperimentata in Spagna dai tecnici e ingegneri dell’impero
romano[3],
salvo che invece di usare le moderne trivelle, gli esplosivi e le micidiali
sostanze chimiche si impiegava la forza lavoro umana per aprire i percorsi di
penetrazione dell’acqua nella roccia.
Foto di Las Medulas al MuCEM |
L’acqua del fiume Cabo era convogliata in un grande bacino a monte della zona
aurifera da dove, tramite canali scavati da migliaia di braccia, si faceva
irrompere l’acqua in gallerie praticate nella roccia che scoppiava cedendo alla
pressione, dopo di che i filoni auriferi venivano allo scoperto e depredati[4]. Così la possente montagna è stata
letteralmente demolita per sciacquarne via quasi cinque tonnellate d’oro
durante i 250 anni di sfruttamento. Il paesaggio semilunare attuale che ne è
conseguito è quello di Las Medulas, nella regione di Leon e Castiglia, dichiarato
patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997 (ben avida umanità!), ed è Plinio
il Vecchio, procurator in Spagna nel
74 d.C., che descrive la tecnica di estrazione dell’oro dalle profondità della
montagna coperta dalla foresta primaria e ne depreca le conseguenze distruttive
e feroci sul paesaggio e sugli esseri umani:
“Ciò che si
realizza è più di quanto potrebbero fare dei giganti. Si scavano corridoi e gallerie
nelle montagne al lume di lampade che servono (anche) a scandire i turni di
lavoro. Per mesi i lavoratori non escono a vedere la luce del sole e molti di
loro muoiono nei tunnel. Questa tecnica è stata definita “ruina montium” (distruzione
delle montagne). [5]”
Oggi questa regione unica e spettacolare è visitata annualmente da migliaia di
turisti[6]. Le crepe
inferte alle viscere della roccia sono così pericolose che sarebbe più facile
cercare la porporina o le perle sul fondo del mare che ferire la pietra. Quanto
abbiamo reso pericolosa la terra!
Las Medulas oggi, foto dal sito :https://www.spain.info/en |
Nell’esposizione
Ruralités scopro un altro tipo di
miniere, le “miniere d’acqua”. Si tratta di antichi reticoli sotterranei drenanti,
preziose fonti di rifornimento idrico per le oasi date le frequenti crisi di
siccità, abbandonati e oggi riscoperti e accuratamente riabilitati, chiamati khettaras in Marocco, foggaras in Algeria e qanâts in Iran.
Calanchi di Marsiglia |
Murale nel quartiere di Panier |
Dal vecchio
porto parto con un’escursione in barca per vedere i calanchi, mini-fiordi di
calcare bianchissimo che si estendono per miglia nelle vicinanze, e ammirare il
castello d’If, nella baia, in onore di Dumas e del suo eroe più famoso, il
Conte di Montecristo. Il quartiere antico chiamato Panier è un’altra attrazione del centro storico, con i vicoli
rallegrati da murales beffardi e il museo dedicato all’infanzia del Préau des Accoules, che trovo chiuso
poiché è domenica. E’ aperto invece il museo della Vieille Charité, originariamente
un ospizio seicentesco dove si rinchiudevano i mendicanti, i vagabondi, i
devianti bollati come folli, in breve una discarica sociale creata dalla
nascente borghesia cittadina, un’invenzione moderna descritta e denunciata da
Michel Foucalt nel suo primo libro, la Storia
della follia nell’età classica.
La prossima
tappa è Montpellier, altra magnifica città, altro magnifico centro storico, ma
altra cornice culturale: siamo nella Linguadoca e il centro antico è medievale,
ben preservato e curato.
Le targhe dei monumenti e le didascalie recano una
doppia dicitura: francese e catalana. Infatti la denominazione geografica Linguadoca
deriva da “langue d’oc”, uno dei primi volgari (dopo il latino) parlato in
questa regione dove “oc” equivaleva al nostro “si”. Al centro e al nord
prevaleva invece la “langue d’oil”, sempre definita a partire dalla sua particella
affermativa. Tra i due volgari, quello del sud (oc) e quello del nord (oil),
prevalse l’oil grazie al centro del potere politico che si stabilì dal 1200 in
poi decisamente al centro-nord con la dinastia reale dei Plantageneti, legati
all’Inghilterra. Ma ancora oggi la storia delle battaglie catalane per
l’indipendenza testimonia della vitalità di una tradizione culturale e di una
lingua (trasformata certo) fortemente caratterizzate e dalle profonde radici.
Scopro grazie a una lapide commemorativa che i poeti e le poetesse che ancora
compongono le loro opere in langue d’oc sono denominate rispettivamente félibres e félibresses: essi partecipano ai lavori del Félibrige[7]
per salvaguardare e promuovere questa lingua, che non viene più parlata nemmeno
come dialetto locale. La si può imparare a scuola se la si sceglie come materia
opzionale, mi dice una studentessa incontrata vicino alla monumentale Facoltà
di Medicina dell’Università, tra le più antiche al mondo.
Montpellier, centro storico |
Montpellier, facoltà di Medicina |
Per
proseguire da Montpellier, sperimentata l’inaffidabile puntualità dei treni
ordinari francesi[8],
mi affido a Eurolines e approdo puntualmente al capolinea di Perpignan, altra
piacevolissima città del Roussillon, ricca di musei e palazzi storici, il più
interessante dei quali è l’imponente Palazzo dei Re di Maiorca.
Castellit a Perpignan |
Notevole anche il
Castellit, porta d’ingresso al centro storico pedonale, con un museo antropologico
e di varia umanità, che si estende per molti piani, dove apprendo l’origine
della parola “campana”: fu nell’anno ‘400 che per la prima volta delle campane
(finora chiamate kaudanés dal greco) furono installate in un campanile della
città campana di Nola, per cui da allora furono chiamate “nole” o…campane[9].
All’ultimo piano sono esposte delle statuette chiamate dagydes, strumenti di stregoneria nera usate per gettare la mala
sorte[10].
Bellissima la mostra su Raoul Dufy al museo Hyacinthe-Rigaud.
Musica in strada a Perpignan |
Infine arrivo
alla tappa finale del viaggio, i Pirenei, di cui esploro parzialmente soltanto
la sezione orientale grazie al famoso trenino giallo, meraviglia tecnologica
del 1910 che si arrampica fino oltre 1550 mt di altitudine su solidi ponti d’
acciaio tra foreste, in servizio (estivo) ininterrotto da 118 anni. Sovrastando
grandi distese di prati le montagne più alte si profilano all’orizzonte,
ruscelli e fiumi scorrono in abbondanza, per cui le passeggiate sono sempre
accompagnate dal borbottio dell’acqua che scorre da qualche parte. Il villaggio
più densamente abitato è Villefranche de Conflent, capolinea inferiore del percorso
del trenino giallo, sul quale incombe inastato su una rupe vellutata di verde la
fortezza Liberia, capolavoro dell’architetto-ingegnere di fiducia di Luigi XIV,
il marchese di Vauban[11],
che ne fece costruire tutta una serie a difesa del territorio francese.
Trenino giallo dei Pirenei |
Fort Liberia visto da Villefranche de Conflent |
Il mio
soggiorno in montagna coincide fortunosamente con lo svolgimento del tradizionale
Festival internazionale di fotogiornalismo di Perpignan Visa pour l’Image[12],
cui partecipano i giornalisti d’inchiesta più famosi del mondo, a ingresso
gratuito. Antichi palazzi, conventi e chiese sconsacrate, aule di università,
tutti gli spazi pubblici possibili sono utilizzati per le esposizioni tematiche
sulle grandi crisi che attanagliano il mondo anche attraverso storie
individuali emblematiche con foto di un’icasticità e pregnanza indescrivibili. Ci
sono servizi sull’esodo dei Rohingya, sul lavoro e la vita dei minatori del
Potosì (che già mi avevano sconvolto durante il mio viaggio in Bolivia[13]),
sulla lenta rinascita a una nuova vita di ex-guerriglieri e guerrigliere delle
FARC in Colombia, e poi le distruzioni in Yemen, Irak, e Siria, un bellissimo
lavoro su una prigione modello (Bomana) in Papua-New Guinea, la storia di un
ragazzino afgano (Ghorban) partito a 12 anni da Kabul senza un soldo approdato
a Parigi, ora cittadino francese, la morte di Bobby Sands e la Belfast del 1981,
il disastro attuale urbano di Johannesburg, forse la serie di foto che più mi
ha turbato: si vedono in azione le squadre delle cosiddette “Formiche Rosse”,
poveracci addestrati e pagati dai proprietari immobiliari per buttare fuori gli
squatter da case fatiscenti occupate, con una violenza tale che provoca anche
morti.
Minatori di Potosì |
Formiche rosse in azione: il marito della donna è a terra morto |
Terribile vedere come le Formiche Rosse, così chiamate per le loro
uniformi fiammanti, festeggiano brindando fuori dagli immobili sgomberati, loro
che sono i fratelli o i cugini e i vicini delle vittime ora homeless e si
inorgogliscono del vile potere acquisito su di essi vendendosi l’anima.
Sull’Italia
ci sono soltanto degli enormi pannelli e foto nel cortile del Couvent des
Minimes, sormontati da una scritta che mi fa rabbrividire: Napoli, la terra dei
tumori. Si documenta il calvario della terra dei fuochi con dati precisi e
testimonianze: la riflessione sulla metamorfosi della Campania felix in una
bomba a frammentazione a effetto ritardato mi riporta bruscamente e crudelmente
in patria. Ma ancora un giorno risalgo a godermi il bel paesaggio dei Pirenei.
Paesaggio nei Pirenei orientali vicino alla Cabanasse |
[1]
Marsiglia fu una colonia greca e poi romana, e il suo grande porto la rese
attraverso i millenni un crogiuolo di lingue e culture, ciò che è ancora oggi.
[2] L’architetto,
Rudy Ricciotti, è francese nato ad Algeri.
[5] https://en.wikipedia.org/wiki/Las_M%C3%A9dulas.
La citazione da Plinio è tradotta dall’inglese.
[8] Non i
TGV, trains grande vitesse, migliori delle nostre Frecce
[9] https://www.etimo.it/?term=campana
[10] https://lacoupedesfees.jimdo.com/les-bougies-en-magie/les-dagydes/
[11] https://fr.wikipedia.org/wiki/S%C3%A9bastien_Le_Prestre_de_Vauban
[12] https://www.visapourlimage.com/en
[13] Dopo
aver visitato Potosì ho tradotto uno dei libri di uno scrittore nato nella
regione che descrive in storie insieme fantastiche e truculente la realtà
quotidiana dei minatori: Cuentos de la Mina, di Victor Montoya. (Racconti della
miniera, reperibile in e-book su varie piattaforme, tra cui Kindle)