Mare è Montagna: dalla Sardegna ai
Pirenei Catalani (1)
Isole Sanguinarie (Ajaccio) foto mia |
Per il viaggio
estivo scelgo sempre luoghi rivieraschi che mi permettano di nuotare ma questa
volta, esplorando il vicino Mediterraneo occidentale, ho goduto del privilegio
di un’accoppiata ideale perché l’intersecarsi di paesaggio marino e gioghi
montani è stato quasi sempre una costante, dalla prima tappa a Cala Gonone, sulla
costa orientale sarda, fino all’ultima, la Cabanasse, 1550 mt sopra Perpignan nella
Catalogna francese.
Strada verso Cala Fuili |
Cala Gonone:
avendo abitato in Sardegna l’avevo vista la prima volta il giorno di Natale del
1969, all’epoca in cui la costa era ancora frequentata dalla ormai mitica e
sparita foca monaca. Oggi c’è un
museo in suo ricordo, che mi sono ben guardata dal visitare in quanto la
musealizzazione di ciò che è stato distrutto dallo sfruttamento turistico della
costa mi avrebbe solo angosciato, sottraendo tempo al godimento di ciò che
resta della bellezza del paesaggio.
Camminando sulla strada asfaltata in
direzione sud, cioè verso la famosa e ahimè affollatissima Cala Luna (visitata
nel 1976, bianca falce di sabbia deserta profumata dalla macchia), dopo circa
2,5 km si incontra una Caletta sassosa chiamata Sa Martini (Ziu Martine su
Google Maps), non troppo frequentata, dove è possibile trovare ombra e nuotare
esplorando le grotte appena a nord di Cala Fuili.
La
passeggiata montana è consistita nell’esplorare il primo tratto della gola di
Gorropu, nella Sardegna centrale, con una guida e un piccolo gruppo di altri
camminatori. Dopo una facile passeggiata di qualche km su un sentiero tra il
verde si scende fino all’imboccatura della gola, dove si paga un biglietto per
entrare. E qui la sorpresa: si avanza scavalcando enormi massi, sui quali
bisogna inerpicarsi per proseguire e infilarsi a fatica tra questi ciottoli
giganteschi accatastati in salita sul letto del torrente Flumineddu, quasi
secco. A volte bisogna guardare accuratamente dove la guida ha messo i piedi e ricalcarne
le orme esatte per passare. Si è talmente occupati ad avanzare cautamente senza
scivolare che si rischia di trascurare di guardarsi intorno.
Imboccatura Gola Gorropu |
E la vista è
veramente eccezionale: le pareti di roccia incombono a picco, qua e là dei tronchi
contorti di alberi nani che hanno trovato nicchie di humus sembrano sculture,
il cielo è azzurrissimo e incombe un silenzio solo rotto da qualche cinguettio.
La guida indica e spiega il processo geologico della formazione dei diversi
strati di roccia di colore diverso ma ne conservo un ricordo vago, occupata a
non cadere, a guardare e a fotografare. Avanziamo per meno di un’ora: il
pensiero di dovere ripercorrere lo stesso identico faticoso cammino al ritorno
smorza la curiosità. Uscendo dalla gola, i guardiani ci mostrano la mappa
dell’intero tracciato lungo la gola realizzato in tre colori: verde all’inizio,
diventa giallo e infine rosso per un lungo tratto fino alla fine, quest’ultimo accessibile
solo da parte di gruppi attrezzati con caschi, corde, addirittura canotti
gonfiabili in quanto ci possono essere improvvise inondazioni. Alcune settimane
dopo in Francia leggerò del terribile incidente avvenuto nel parco del Pollino:
escursionisti travolti in una gola di montagna dall’irruzione di un’enorme
ondata causata dal maltempo.
Lascio la
Sardegna per la Corsica con il traghetto che partendo da S. Teresa di Gallura dopo
meno di tre ore attracca al porto di Bonifacio, estremo sud dell’isola, uno dei
più bei paesaggi marini che abbia mai avuto la fortuna di contemplare, non a
caso classificato come eccezionale dalla mia guida Touring in francese da cui
traduco l’esordio omerico del capitolo dedicato a questa cittadina dalle
caratteristiche uniche: “Entriamo in questo porto ben conosciuto dai marinai,
una doppia falesia a picco e continua si erge tutt’intorno a noi, e due
promontori allungati che ci fronteggiano all’imboccatura ne strangolano
l’ingresso…” E’ una citazione dal canto X dell’Odissea, ed è Ulisse che
descrive in questi termini il porto nel quale sta entrando, che secondo L.
Moulinier (un grecista sconosciuto a Google), sarebbe proprio Bonifacio.
La
guida prosegue: “Secondo la leggenda, la flotta dell’eroe sarebbe stata fatta a
pezzi da dei giganti autoctoni, i Lestrigoni, e Ulisse stesso si sarebbe
salvato grazie alla partenza improvvisa della sua nave della quale fa tagliare
gli ormeggi. Il plateau di Bonifacio costituisce l’originalità della Corsica
meridionale. I suoi strati di molassa[1]
del miocene…si distinguono nettamente per il loro candore e la loro morfologia
tabulare dal resto dell’isola, costituito essenzialmente da rocce cristalline”.
La bianchezza del calcare a picco sullo stretto e lunghissimo canale del porto,
inanellato di isolette e insenature alla sua imboccatura, porgono come su un
vassoio a chi arriva dal mare la città alta, la cittadella, che compatta si
erge sulla roccia come un’unica imprendibile fortezza.
Vista di Bonifacio dal traghetto |
Bonifacio notturna |
In basso, il porto rigurgita
di smisurati yacht superlusso che paiono transatlantici, con gli equipaggi che
lucidano gli ottoni e pigri miliardari in ciabatte a far capannello di fronte
alle passerelle sul molo. La Marina sulla riva destra è costituita da una
sfilza di ristoranti aperti lato mare e da qualche negozio costoso mentre il
molo sinistro è occupato da facciate omogenee, semplici parallelepipedi severi
ed eleganti che sono caratteristici delle dimore tradizionali corse e che vedrò
spesso in altre città. Dalla Marina diversi sentieri e tracciati di scale
ripide portano alla città alta, il centro antico che ingloba l’estremità
occidentale del promontorio. Il Bastion de l’Etendard, fortezza che difendeva
l’unico antico accesso a Bonifacio, la Porta di Genova, ne occupa un’estremità,
dalla quale oggi si scende o verso la Marina o ci si incammina verso un
sentiero sulla falesia che arriva fino al faro di capo di Pertusato. Oppure si
può scendere all’unica “spiaggetta” cittadina: acqua stupenda, ma ciottoli e
scogli affioranti scomodissimi. A ricordo dell’assedio franco-turco del 1553 (contro
Genova, che aveva fondato Bonifacio nel 1195)) questi versi sono scolpiti su un
muro vicino al jardin des vestiges, un insieme di resti di mura romane: “Remonte
dans le labyrinthe de tes ruelles mes pas/ et apporte cette vie déployée sans
toi”[2]
di Siham Bouhlal, scrittrice marocchina contemporanea.
Escalier du roi d'Aragon |
Dall’altro
lato della città vecchia, si scopre la meraviglia del escalier du Roi d’Aragon, 187 gradini scavati nella roccia a
strapiombo sul mare: la leggenda narra che furono intagliati in una sola notte
dall’esercito del re Alfonso d’Aragona per sfuggire a un assedio, ma il dépliant
associato al biglietto d’ingresso suggerisce che fossero stati costruiti da
monaci per raggiungere una fonte d’acqua dolce alla base della falesia.
Da Bonifacio
prendo l’autobus per Sartène, attirata dalla presentazione che ne dà la guida
attraverso la frase lapidaria di Mérimée: la più corsa delle città corse.
Prospère Mérimée, già rinomato scrittore, la visitò in qualità di funzionario
governativo nel 1839 e ne ricavò una lunga novella, Colomba, nella quale si narra la serie di vendette che aveva
sconvolto la vita della regione qualche anno prima e aveva visto protagoniste
due famiglie del luogo, i Carabelli e i Durazzo, e un villaggio, Fozzano, con una
vicenda di sangue al cui centro dominò una donna dalla tempra eccezionale,
Colomba nata Carabelli appunto, vista da Mérimée come eroina emblematica dei
costumi dell’isola, abile amazzone e tiratrice infallibile. La Corsica ha una
storia di rivalità cruente tra clan e di lotta indipendentista (dalla Francia) che
arriva all’oggi.
Data la
posizione di Sartène circondata da montagne, mi riprometto lunghe escursioni e
visite ai diversi villaggi. Sorpresa: impossibile trovare una stanza libera a
prezzi non stratosferici, mi imbatto nell’unico ufficio turistico a mia memoria
di viaggiatrice incallita che abbia preteso 1 euro per ogni telefonata fatta
per cercare alloggio, i gabinetti pubblici sono chiusi da anni e ricevo rifiuti
scortesi di adire ai servizi igienici dei bar senza consumazione. Per colmo di
sventura, la foresteria del convento di san Damiano, ultima speranza, è al
completo. Visitando la chiesa, scopro la tradizione medievale della processione
del Catenaccio: molto in anticipo
sulla Pasqua, il prete sceglie tra i “peccatori” che si candidano a espiare i
loro peccati col supplizio del Catenaccio il predestinato dell’anno. Costui
deve portare non solo la croce lungo la Via Crucis indossando un cappuccio che
gli conferisce l’anonimato, ma trascinare un catenaccio pesantissimo che pesa
49 kg (vedi foto), esclamando a riprese regolari: perdono o mio Dio.
Croce e catenaccio |
Scappo la
sera stessa da questa cupa città di martirio verso Propriano, stazione
marittima dove l’esoso ufficio turistico mi ha trovato una stanza con bagno,
dopo ripetute consumazioni di caffè deca e di stoppacciose brioche. Sosta
benvenuta per riprendere fiato, che tuttavia non offre né panorami particolari
né attrazioni degne di nota.
Porto e golfo di Ajaccio |
Senza mezzi
privati è quasi impossibile proseguire lungo la costa occidentale, la più
spettacolare, a meno di non usare la bici o andare a piedi, per cui la prossima
tappa è Ajaccio, dal grande golfo dai fondali montagnosi, un bel centro storico
pedonalizzato e un magnifico museo in uno splendido palazzo, Museo e Palazzo
Fesch, dal nome del cardinale che per tutta la vita si dedicò a collezionare
opere d’arte. La mia guida afferma che a tutt’oggi il palazzo racchiude 1200
quadri: un intero pomeriggio non basta a completare la visita. E la stessa via
Fesch è un monumento a cielo aperto, con facciate antiche dai cui angoli si
diramano vicoli ancora popolati da artigiani. Passeggiata serale al porto, tra
il molo punteggiato di bitte e un filare di alberi. Non si può mancare di
visitare la casa natale di Napoleone, decisamente interessante e ben
conservata. Unico cruccio: albergo caro che in più per dolo malo mi addebita ben 9 euro per una colazione mai consumata,
ignorando rimostranze scritte e telefoniche.
Le isole
Sanguinarie sono un’altra attrazione di Ajaccio: un autobus arriva fino
all’imbarcadero fuori città da dove parte il traghetto che fa la spola tra
terraferma e isole: acqua incantevole, rocce di diorite che durante il giorno
diventano incandescenti, pochissimi arbusti per ripararsi da un sole di piombo;
consigliata sortita serale, quando le creste tormentate delle isole prendono il
colore rossastro cui forse devono il loro nome.
Ci sono due
sole linee ferroviarie in Corsica, la prima tra Ajaccio e Bastia e la seconda
tra Ajaccio e Calvi. Prendo il treno per Bastia, sbarco a Ponte Leccia, dopo
Corte, e l’amica che generosamente mi ospiterà per più di un mese nella bella
casa di famiglia in un villaggio sul versante orientale delle montagne sotto la
Bavella, mi viene a prendere in macchina e mette fine alle mie disavventure
alberghiere.
Nessun commento:
Posta un commento