MARE E’ MONTAGNA
DALLA SARDEGNA AI PIRENEI CATALANI (2)
Vista sulle Aiguilles de Bavella da Sari, Corsica centrale |
Ventìseri! Questo toponimo mi è sembrato assai bizzarro di
primo acchito e ha cominciato ad avere senso quando mi è stato spiegato che le
due ultime sillabe stanno per “della sera”: quindi, luogo accarezzato dai venti
della sera. Dico accarezzato perché la ventilazione era gentile e benvenuta,
almeno in piena estate. Si tratta di un villaggio molto piccolo sul versante
orientale della Corsica, a poco più di 500 mt d’altitudine e a 15 km dal mare
di Solenzara, dal quale si può scorgere, se l’aria è limpida, l’isola di
Montecristo galleggiare nel blu. Il calcolo esatto degli abitanti fissi oscilla
a seconda degli interlocutori da un minimo di 59 a un massimo di 70/75 (qualche
incertezza permaneva), cifra che può raggiungere il centinaio in estate tra
turisti e qualche rientro dei transfughi urbanizzati. E’ stato il primo di una
serie di villaggi abitati da poche decine di persone che ho incontrato tra la
Corsica e il sud della Francia, nei Pirenei orientali, paesini di poche
famiglie e numerosi vecchi, in paesaggi sontuosi immersi nel verde dei boschi e
tra montagne a volte spettacolari, senza trasporti pubblici e pochi servizi
(un’agenzia postale), senza sportelli bancari, senza farmacia, a volte (come a
Ventiseri e a Fontpédrouse St Thomas nei Pirenei orientali) senza neppure un
singolo negozio di alimentari[1].
Tuttavia a Ventiseri ho trascorso felicemente più di un mese grazie alla generosa amicizia dei vicini (e della mia anfitriona) che mi hanno colmato di attenzioni e scarrozzato tra mare e montagna (oltre a ATM e supermercati). Il villaggio è immerso nel maquis - un misto di boschi, rigogliosa macchia mediterranea, sentieri appena tracciati - dove puoi incontrare cinghiali, tori e mucche alla stato brado, una quantità di uccelli, farfalle e libellule, un insieme incantevole; il profumo di elicriso, cisto e lavanda che aleggia nell’aria è delizioso e marcatissimo, quel profumo che era un marchio di fabbrica della Sardegna di quarant’anni fa e che non vi avevo più ritrovato in seguito.
Panorama da Ventiseri |
Tuttavia a Ventiseri ho trascorso felicemente più di un mese grazie alla generosa amicizia dei vicini (e della mia anfitriona) che mi hanno colmato di attenzioni e scarrozzato tra mare e montagna (oltre a ATM e supermercati). Il villaggio è immerso nel maquis - un misto di boschi, rigogliosa macchia mediterranea, sentieri appena tracciati - dove puoi incontrare cinghiali, tori e mucche alla stato brado, una quantità di uccelli, farfalle e libellule, un insieme incantevole; il profumo di elicriso, cisto e lavanda che aleggia nell’aria è delizioso e marcatissimo, quel profumo che era un marchio di fabbrica della Sardegna di quarant’anni fa e che non vi avevo più ritrovato in seguito.
Libellula |
Mi aveva sorpreso la cacofonia dei toponimi della costa, a
parte Solenzara, contraddistinti da suffissi spregiativi o con connotazioni
negative: Ghisonaccia, Migliacciaru, Casa Mozza, Mignataja... La ragione è
semplice: erano tutte zone infestate dalle zanzare anòfele e quindi malariche,
frequentate soltanto da pastori che in transumanza vi pascolavano le loro
pecore e vacche in inverno. La mia guida precisa che a inizio ‘900 su 12.000
persone costrette in queste tristi contrade si registravano ben 8000 casi di
malaria. Risanate a metà secolo, le fertili pianure orientali hanno valorizzato
le loro belle spiagge e lagune, sviluppato la piccola industria di
trasformazione e i servizi del terziario, aperto supermercati e centri
commerciali, e fornite di servizi di trasporto verso sud e nord sono diventate
attrattori demografici, spopolando le retrostanti montagne.
Un’altra particolarità di questa parte di Corsica è
abbastanza nascosta ma degna di nota, e la scopro grazie alla segnalazione di
una gentile e colta ex bibliotecaria che casualmente mi dà un passaggio di
ritorno dal mare (e mi ospiterà alcuni giorni nella sua bellissima casa di pietra
in mezzo al verde, tra mare e montagna, di fronte alle famose Aiguilles de Bavella). Mentre andiamo
verso una spiaggia deserta vicino a Travo, mi indica una rete di recinzione che
corre lungo la strada bianca che collega l’arteria asfaltata sud-nord al mare:
è il penitenziario di Casabianda[4],
1765 ettari di pineta, boschi, prateria e frutteti, senza sbarre né torri di
vedetta, con casette di pietra invece di blocchi di celle. I detenuti fanno i
pastori, lavorano i campi, tagliano la legna nei boschi; escono il mattino e
ritornano la sera, hanno il diritto di ricevere mogli e compagne varie volte
all’anno. Le ore libere le passano come vogliono, in biblioteca, guardando
film, passeggiando sulla spiaggia. Non ci sono stati tentativi di evasione che
si ricordino, anche se le pene detentive sono lunghe. Peccato che sia l’unica
prigione di questo tipo non solo in Francia, ma addirittura in Europa[5].
Una gita a Calvi, nella parte nord-occidentale dell'isola, rivela che Cristoforo Colombo, genovese per antonomasia, non nacque a Genova bensì in Corsica, che era appunto una "colonia" genovese. Un illustre immigrato.
Lascio Ventiseri con grande rimpianto per Bastia, dove l’amica preziosa che mi ha già accolto al villaggio mi ospita altri due giorni e mi permette di visitare la capitale corsa, che avevo già visto ma che non ricordavo. Due giorni pieni di scoperte per i pregi artistici, culturali e naturali della città, tra chiese spettacolari come l’Oratorio della Confraternita della Immacolata Concezione e la cattedrale o il vecchio porto, incastonato tra un’alta rupe dove troneggia la Cittadella, le alte facciate dei palazzi della banchina trasversale sullo sfondo e i ristoranti del Quai du 1° Battallion a sinistra, sovrastati dalla imponente facciata della chiesa di St Jean Baptiste cui si accede salendo una scenografica scalinata. La distesa d’acqua è fittamente popolata di pescherecci e piccoli yacht.
Dal porto si sale alla Cittadella passando dai pittoreschi giardini Romeu e da lì, per una ripida scala, al Palazzo dei Governatori (genovesi), una specie di piccola Bastiglia che alberga un bellissimo museo etnografico, che al momento della visita ospitava una documentatissima mostra sull’emigrazione corsa[6]: “Identità, les Corses et les migrations (XVII-XXI sec)”. L’ampio arco temporale permette di offrire un quadro esaustivo sui movimenti migratori, in uscita e in entrata, che hanno costruito la composita fisionomia culturale e storica dell’isola e dei suoi abitanti, a seconda delle circostanze e delle esigenze delle comunità: migrazioni in entrata, dai toscani ai sardi, dai magrebini ai portoghesi, ai cinesi, agli africani, e in uscita, dalla seconda metà del 1600 a metà ‘900, una vera emorragia. I corsi erano spesso militari e doganieri, numerosi anche nelle guerre coloniali o più recentemente funzionari nelle varie istituzioni della cosiddetta Françafrique, il neocolonialismo francese. Eloquenti i manifesti che incitano i giovani ad arruolarsi nell’esercito, a popolare le colonie, a combattere in Algeria, o le foto di povere contadine che partono verso l’ignoto. Tra il 1931 e il 1938, 6000 persone lasciano annualmente l’isola per le destinazioni più disparate: la popolazione totale isolana ammonta a poco più di 115.000 anime nel 1931 e diminuisce nel 1936 a 106.000.
Una gita a Calvi, nella parte nord-occidentale dell'isola, rivela che Cristoforo Colombo, genovese per antonomasia, non nacque a Genova bensì in Corsica, che era appunto una "colonia" genovese. Un illustre immigrato.
Lascio Ventiseri con grande rimpianto per Bastia, dove l’amica preziosa che mi ha già accolto al villaggio mi ospita altri due giorni e mi permette di visitare la capitale corsa, che avevo già visto ma che non ricordavo. Due giorni pieni di scoperte per i pregi artistici, culturali e naturali della città, tra chiese spettacolari come l’Oratorio della Confraternita della Immacolata Concezione e la cattedrale o il vecchio porto, incastonato tra un’alta rupe dove troneggia la Cittadella, le alte facciate dei palazzi della banchina trasversale sullo sfondo e i ristoranti del Quai du 1° Battallion a sinistra, sovrastati dalla imponente facciata della chiesa di St Jean Baptiste cui si accede salendo una scenografica scalinata. La distesa d’acqua è fittamente popolata di pescherecci e piccoli yacht.
Dal porto si sale alla Cittadella passando dai pittoreschi giardini Romeu e da lì, per una ripida scala, al Palazzo dei Governatori (genovesi), una specie di piccola Bastiglia che alberga un bellissimo museo etnografico, che al momento della visita ospitava una documentatissima mostra sull’emigrazione corsa[6]: “Identità, les Corses et les migrations (XVII-XXI sec)”. L’ampio arco temporale permette di offrire un quadro esaustivo sui movimenti migratori, in uscita e in entrata, che hanno costruito la composita fisionomia culturale e storica dell’isola e dei suoi abitanti, a seconda delle circostanze e delle esigenze delle comunità: migrazioni in entrata, dai toscani ai sardi, dai magrebini ai portoghesi, ai cinesi, agli africani, e in uscita, dalla seconda metà del 1600 a metà ‘900, una vera emorragia. I corsi erano spesso militari e doganieri, numerosi anche nelle guerre coloniali o più recentemente funzionari nelle varie istituzioni della cosiddetta Françafrique, il neocolonialismo francese. Eloquenti i manifesti che incitano i giovani ad arruolarsi nell’esercito, a popolare le colonie, a combattere in Algeria, o le foto di povere contadine che partono verso l’ignoto. Tra il 1931 e il 1938, 6000 persone lasciano annualmente l’isola per le destinazioni più disparate: la popolazione totale isolana ammonta a poco più di 115.000 anime nel 1931 e diminuisce nel 1936 a 106.000.
Da Bastia mi imbarco di buonora per Tolone, dove non riesco
a trovare alloggio a prezzi accettabili (per me) per cui prendo il treno per
Marsiglia, dove mi accoglie uno spartano ma centralissimo e multietnico Hotel de
la Préfecture, finalmente a prezzi modici.
[1] Fenomeno
ben noto di spopolamento rurale e montano che mi ha ancora una volta fatto
riflettere sulla miopia del contrasto di stampo ormai criminale ai flussi
migratori in Europa e in particolare in Italia.
[2] Del
corso standard (ci sono numerose variazioni locali) mi ha colpito la frequenza
della vocale “u”, che mi sembra plausibile, da incompetente in fatto di
linguistica specifica, riferire all’influenza sarda. Tuttavia le frasi più
semplici del corso sono assai più simili all’italiano che il sardo del
Logudorese –incomprensibile a un non iniziato - dato che per lunghi secoli fu Genova a signoreggiare
nell’isola. I cognomi corsi sono di fatto cognomi italiani (Simeoni, Paoli,
Rossi, Tiberi, Corvi...).
[3]
Traduzione mia da citazione tratta da: www.ledevoir.com/societe/le-devoir-de-philo-histoire/498717/la-litterature-et-la-verite-selon-marcel-proust).
La più recente traduzione che ho trovato è di Cesare Salmaggi per il
Saggiatore, 2002, con il titolo (che non mi piace): Il piacere della lettura.
[4] https://fr.wikipedia.org/wiki/Centre_de_d%C3%A9tention_de_Casabianda
[5] https://www.lien-social.com/Casabianda-une-prison-Corse-unique-en-Europe
[6] https://www.corsenetinfos.corsica/Bastia-Les-Corses-et-les-migrations-nouvelle-tres-belle-exposition-au-musee-de-la-ville_a34134.html
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