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giovedì 24 dicembre 2020

WALDEMAR HAFFKINE, IL SALVATORE DELL' UMANITA' MISCONOSCIUTO

 

Waldemar Haffkine: pioniere dei vaccini, dimenticato dal mondo

Liberamente tradotto e adattato da: Joel Gunter and Vikas Pandey
BBC News
, 11 dicembre 2020

https://www.bbc.com/news/world-asia-india-55050012 

Waldemar Haffkine (foto W.H. Trust)

 

Lavorando tra Parigi e l’India tra la fine del 1800 e l’inizio del ‘900, Waldemar Haffkine creò i primi vaccini contro il colera e la peste. Uno sfortunato incidente del quale non era responsabile causò l’avvelenamento di alcuni dei suoi vaccinati e gli sconvolse la vita, rovinando la sua reputazione. La piena riabilitazione fu tardiva.

Nel marzo del 1893 era arrivato appena trentatreenne nell’India settentrionale. In valigia aveva quello che sperava potesse essere un vaccino anticolera, e nei mesi successivi al suo arrivo cercò di perfezionarlo attraverso numerosi test. Si era scontrato tuttavia con la diffidenza e lo scetticismo sia dei colleghi inglesi che dei suoi interlocutori indiani. Innanzitutto non era un medico ma uno zoologo, e inoltre era un ebreo russo che aveva studiato ad Odessa per poi specializzarsi a Parigi. Non dimentichiamo che in Francia proprio nel 1894 scoppiò il caso Dreyfus, clamoroso esempio di antisemitismo preconcetto; anche tra gli inglesi il pregiudizio antisemita era diffuso.

Istituto Pasteur



Nel nord dell’India aveva incontrato difficoltà pratiche: in quell’anno, nella zona dove aveva con fatica vaccinato 23.000 persone con due successive dosi separate da una settimana di intervallo, rischiando di non riuscire a rintracciarli tutti per la seconda iniezione, l’epidemia non si era diffusa, per cui era difficile dimostrare l’efficacia del vaccino.

Nella primavera del 1894 Haffkine si trasferiva a Calcutta, stato indiano del Bengala, invitato da un funzionario del team medico britannico che desiderava lo aiutasse ad identificare eventuali bacilli di colera nel serbatoio d’acqua di uno dei basti[1] della città dove si sviluppavano periodicamente episodi di colera. Il quartiere era dotato di quell’unica fonte di approvvigionamento idrico collettivo. Haffkine capì che quello era l’ambiente ideale per sperimentare il suo vaccino; le persone vivevano in circostanze simili, avrebbe avuto a disposizione sia un nutrito gruppo sperimentale (vaccinato) sia un parallelo gruppo di controllo (non vaccinato) per poterne ricavare conclusioni statisticamente significative.

Il dott. Haffkine mentre vaccina in un quartiere di Calcutta

Alla fine di marzo nel basti Kattan Bagan due persone morirono di colera. Haffkine arrivò subito e vaccinò 116 persone su 200, dopo di che ne morirono altre dieci, ma solo tra coloro che non avevano ricevuto il vaccino. Questi risultati incoraggianti convinsero il team britannico a finanziare un trial clinico più ampio. Non era facile trovare volontari, poiché anni e anni di programmi sanitari calati dall’alto non avevano incoraggiato gli indiani a fidarsi di quanto arrivava dagli inglesi, e in più il concetto di vaccino era nuovo. Haffkine sormontò l’ostacolo scegliendo di lavorare con un team solo indiano, e per dissipare la residua diffidenza si iniettò pubblicamente il vaccino per dimostrarne l’innocuità. Fu così che in poco tempo cominciarono a formarsi lunghe file in attesa del vaccino, dal mattino fino alle tarde ore della sera, quando Haffkine lavorava ancora alla luce di una lampada a olio nei quartieri poveri di Calcutta. 

Villaggio a Calcutta

Questo suo lavoro lo metteva alla pari con gli antesignani della moderna medicina (Snow Jenner, Pasteur, Salk), basata sul concetto di sanità pubblica. Ma il suo contributo è stato misconosciuto e il suo nome non è famoso come gli altri. Perché?

Sin dagli esordi la sua carriera scientifica era stata disseminata di ostacoli: dopo la laurea in zoologia ad Odessa gli era stata preclusa una cattedra in quell’Università in quanto era ebreo. Aveva persino rischiato di incorrere in un pogrom, per cui nel 1888 aveva preferito lasciare la Russia per la Svizzera per poi trasferirsi a Parigi, dove aveva trovato lavoro come assistente bibliotecario all’Istituto Pasteur, allora famoso centro della ricerca batteriologica. Nel laboratorio dell’Istituto iniziò a fare i suoi esperimenti scoprendo che, attenuando e poi rafforzando una cultura di bacilli di colera facendola passare attraverso la cavità peritoneale di cavie, si ottenevano due distinte soluzioni che iniettate successivamente nelle cavie le proteggevano dal soccombere alla malattia.

Pratiche magiche contro la peste

Era un cambiamento di paradigma. Fino a quel momento si pensava alla causa del colera in termini di miasmi malefici, non di agenti eziologici. Haffkine replicò il successo sperimentando il vaccino su conigli e piccioni con buoni risultati. Ora aveva bisogno di cavie umane, e si iniettò la soluzione per primo. Era il 18 luglio 1892. Dopo alcuni giorni di febbre si ristabilì e vaccinò tre amici russi e alcuni altri volontari, che non ebbero disturbi. A questo punto si convinse di avercela fatta: aveva un vaccino pronto per una sperimentazione a tappeto. Ma dove? Aveva bisogno di un luogo dove il colera fosse endemico. Fu Lord Frederick Dufferin, ambasciatore britannico a Parigi ed ex viceré dell’india, a suggerirgli di andare in India.

Dopo Calcutta Haffkine si recò in Assam invitato dai proprietari di enormi piantagioni di the dove vaccinò migliaia di coolies[2]. Dopo una parentesi in Inghilterra per ristabilirsi da un accesso di malaria, ritornò in India nel 1896 dove notò che se il suo vaccino contro il colera riduceva il numero dei malati, non riduceva il tasso di letalità in chi si ammalava.


Ma intanto un altro flagello incombeva su Bombay. Sorta nello Yunnan in Cina nel 1894, la terza pandemia mondiale di peste[3] aveva interessato la Hong Kong britannica e da lì con il traffico navale era arrivata a Bombay, dove il primo caso fu scoperto nel settembre del 1896 nel quartiere del porto. Il governo britannico all’inizio minimizzò la gravità dei casi per non danneggiare il traffico commerciale, ma la densità abitativa dei quartieri di Bombay e la letalità della peste, doppia rispetto a quella del colera, resero impellente un cambio di marcia e il governatore si rivolse a Haffkine.

Haffkine immediatamente si trasferì a Bombay, dove in una stanzetta, con l’unico appoggio di un segretario e di tre assistenti inesperti cominciò a lavorare indefessamente per creare il primo vaccino contro la peste. Vi si applicò per tutto l’inverno. Seguì lo stesso procedimento che aveva usato per il vaccino contro il colera, mixando i bacilli con i prodotti tossii che essi stessi producevano per arrivare ad una soluzione da iniettare. Nel dicembre 1896 riuscì a sperimentare il nuovo vaccino su dei conigli che rischiavano di morire di peste, e quando constatò che i vaccinati non si ammalavano più capì che aveva creato un vaccino efficace. 

Madre che assiste bambino malato in ospedale

Anche questa volta lo sperimentò su se stesso nel gennaio 1897, iniettandosene una dose tripla. Ebbe un forte accesso di febbre ma guarì in pochi giorni e a questo punto fu pronto a vaccinare su larga scala, usando la dose regolare. I suoi primi clienti furono dei carcerati in quanto la peste si stava diffondendo nella loro prigione (Byculla House of Correction di Bombay): ne vaccinò 147 e ne tralasciò 172. Nel gruppo di controllo ne morirono sei, mentre nessuno dei vaccinati morì. Dopo questo primo successo si cominciò la produzione di vaccino antipeste su scala industriale e lo stesso Aga Khan volle essere vaccinato. Centinaia di persone iniziarono a richiedere il vaccino, Haffkine fu insignito del titolo di cavaliere dalla Regina Vittoria e infine nel 1901 divenne direttore di un laboratorio di ricerca sulla peste a Bombay con uno staff di 53 assistenti. 

 

Cerchi su una casa a Bombay che mostrano il numero dei casi di peste

Ma era destino che Haffkine dovesse sempre remare controcorrente.

Nel marzo del 1902 19 persone morirono di tetano dopo aver ricevuto l’iniezione con il vaccino in un villaggio del Punjab, mentre altri 88 vaccinati non ebbero conseguenze. Si individuò una sola bottiglia contaminata che proveniva dal laboratorio di Haffkine, dove la procedura di sterilizzazione era stata mutata per accelerare la produzione, e il direttore del laboratorio apparve l’unico responsabile. Haffkine fu immediatamente licenziato e sospeso dall’Indian Civil Service. Caduto in disgrazia e professionalmente sconfessato, il ricercatore tornò a Londra dove trascorse due anni durissimi, mentre la peste mieteva in India 1.143.993 persone, un’ecatombe. L’unico rimedio sarebbe stato il vaccino, ma il suo creatore lottava in Inghilterra per salvare la sua reputazione, perché il rapporto finale, redatto sulla base della lunga inchiesta svolta dal governo indiano, nel 1906 lo sentenziava colpevole.

Finché…finché il professor WJ Simpson del King’s College di Londra non scrisse una lettera al British Medical Journal sostenendo la tesi che tutte le circostanze facevano invece pensare ad una contaminazione accidentale della bottiglia incriminata non nel laboratorio ma sul teatro stesso della vaccinazione, il villaggio del Punjab. L’assistente infine confessò che maneggiando quella bottiglia aveva lasciato cadere le pinze prima di usarle per estrarne il tappo e non le aveva sterilizzate accuratamente. Era chiaro che Haffkine era stato accusato ingiustamente, questa l’inevitabile conclusione. Il premio Nobel Ronald Ross prese appassionatamente le difese di Haffkine e accusò gli inglesi di “disprezzo per la scienza”: se non si fosse pienamente riabilitato chi aveva in pochi anni salvato centinaia di migliaia di persone da morte certa, il governo indiano si sarebbe macchiato di un’infamia contro il suo benefattore. Inoltre si sarebbe minata la fiducia in un vaccino efficace, proprio quando in India cinquantamila persone morivano di peste ogni settimana.

La questione finì in Parlamento e finalmente Haffkine ebbe la possibilità di ritornare in India come direttore del laboratorio biologico di Calcutta, ma gli fu concesso di perseguire solo la ricerca teorica, non di continuare i trial sul campo. In una lettera a Ronald Ross  il biologo avvilito scrisse: “In ogni occasione, sia per iscritto che oralmente, mi si ripete che io sono stato e sono il responsabile dell’incidente del Punjab”.

Tra il 1897 e il 1925, 26 milioni di dosi del suo vaccino contro la peste furono prodotte dal laboratorio di Bombay. La sua efficacia nel limitare la mortalità oscillava tra il 50% e l’85%; un numero enorme di vittime fu evitato. Haffkine non si sposò mai e finì i suoi giorni a Losanna, in Svizzera, nel 1930, a 70 anni. Lord Lister, il grande batteriologo inglese, chiamò Haffkine semplicemente, “il salvatore dell’umanità”. Il laboratorio di Bombay dove egli lavorò ora si chiama The Haffkine Institute. Ma il suo nome ancora non è conosciuto come sarebbe naturale: nei testi di epidemiologia sui quali ho studiato il suo nome non ricorre mai.

Annuncio mortuario: il Dott Haffkine muore, aveva sconfitto il colera

 



[1] Villaggi di catapecchie ai bordi della città, esistenti a tutt’oggi, con un deposito o serbatoio d’acqua nel mezzo, abitati dalla parte più povera degli abitanti.

[2] Lavoratore o servitore di basso livello nei paesi asiatici.

[3] La peste è una malattia infettiva di origine batterica causata dal bacillo Yersinia pestis. È una zoonosi, il cui bacino è costituito da varie specie di roditori e il cui unico vettore è la pulce dei ratti (Xenopsylla cheopis), che può essere trasmessa anche da uomo a uomo (wikipedia).

domenica 6 dicembre 2020

FONDAMENTALISMO ILLUMINISTA?

 

 

 

I FARI ABBAGLIANTI DELLA DEA RAGIONE

Considerazioni sull’ illuminismo e i suoi avatar laici 

Moschea Wazir Khan, Lahore, Pakistan

Sfido la banalità dell’adagio popolare. Aver avuto presente il ritornello che risuona con la voce del sacrestano nel primo atto della Tosca di Puccini (scherza coi fanti e lascia stare i santi – ovvero trastullati pure con il profano ma non irridere il sacro) avrebbe forse risparmiato una serie funesta di lutti e atrocità, alla Francia e al mondo, e una inedita guerra di religione. Forse non è fuori luogo ricordare che proprio in Francia si consumò il massacro degli ugonotti, i protestanti calvinisti, nella famigerata notte di San Bartolomeo tra il 23 e il 24 agosto del 1572. Oggi la nouvelle laicité nata alla fine degli anni 1980 sembra essere diventata paradossalmente la nuova religione francese, quasi un feticcio che lascia da parte considerazioni di ogni altro tipo: di contesto sociale, di opportunità politica, di temperie culturale, di circostanze congiunturali e questioni di memoria storica coloniale.

Questo articolo nasce dalla riflessione sulle sciagurate conseguenze della pubblicazione nel 2015 e ripubblicazione recente delle ormai tristemente famose caricature del profeta Maometto sul giornale satirico francese Charlie Hebdo, che a loro volta erano state precedute da quelle pubblicate nel 2005 in Danimarca e che già allora avevano suscitato una serie di assalti ad ambasciate, tumulti e morti in vari paesi musulmani e una dura presa di posizione di molti dei loro governi. Tralascio la questione dei Versetti Satanici di Salman Rushdie, della fatwa e dell’assassinio del suo traduttore giapponese. Riflessione che ha stimolato letture e riletture, tra le quali di parti di un libro la cui stesura risale agli anni ’40 del ‘900: Dialettica dell’illuminismo, di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. La tesi di fondo di questi “frammenti filosofici” è che il pensiero illuministico, inteso come pensiero razionalistico che si libera dall’angustia della superstizione, dagli idola ingannevoli stigmatizzati da Bacone e dai labirinti della magia e del mito, contiene in sé una contraddizione insanabile che lo marchia come volontà di dominio e assurge a nuova mitologia, a ipostatizzazione dei suoi assunti basilari e quindi si ribalta nel suo contrario perché ignora e opprime tutto ciò che esula da se stesso: lungi dal realizzare un progresso per tutta l’umanità si rivela essere nuovo asservimento alla “sua” ragione che diventa metro e misura universale.

 

Haggadah, c.1300, fuga degli ebrei dall'Egitto. Invece dei visi, cerchi o teste d'uccello

 Le vicende di questo scorcio di secolo su uno scenario che non può che essere planetario mi hanno più volte rimandato a questo testo a cercarne tra le pagine scritte 80 anni fa, sotto il peso di una catastrofe epocale, l’eco di un presente la cui tragicità altra si percepisce e rivela sotto gli orpelli della farsa grottesca del consumismo parallelo alla deprivazione dei più e alla distruzione della natura. Ritengo che la tesi del progresso/regresso del pensiero illuministico (e tecnologico) sia una chiave di volta per comprendere e leggere molti aspetti della realtà di oggi. E le considerazioni che seguono cercheranno di sostanziare questa affermazione. Sia ben chiaro che ciò non significa negare gli indubbi successi del pensiero illuministico e la sua necessità, ma semmai postulare l’urgenza di una sua radicale revisione alla luce delle fratture della nostra contemporaneità. Ci sono molti fili da districare nella matassa di questo presente e cercherò di non imbrogliarli ancora di più esaminando quelli che mi sembrano i principali.

Per prima cosa mi appare centrale la comprensione del concetto di laïcité in Francia e il percorso storico di secolarizzazione integrale compiuto in questo paese nei 230 anni trascorsi dalla Rivoluzione del 1789, che fa piazza pulita dell’ancien régime e instaura sul piedistallo ideale prima occupato dalla religione, intesa come collante sociale, culturale e politico accanto alla monarchia per diritto divino, la Dea Ragione e la Dichiarazione dei diritti umani. Dopo l’ubriacatura napoleonica e la Restaurazione, la Francia esplode di nuovo contro l’arroganza reale di Carlo X nel 1830, poi nel fatidico 1848, infine con le barricate della Comune di Parigi del 1870 ispirata a principi marxisti e libertari. Datano dal 1882 le prime leggi che sanciscono la completa laicità dell’insegnamento pubblico che portano nel 1905 alla separazione netta di giurisdizione tra Chiesa e Stato, iscritta definitivamente nella costituzione del 1958, il cui articolo primo recita: La France est une République indivisible, laïque, démocratique et sociale. Elle assure l’égalité devant la loi de tous les citoyens sans distinction d’origine, de race ou de religion. Elle respecte toutes les croyances. Son organisation est décentralisée.[1].

 

Si noti ai fini del mio ragionamento la frase: “rispetta tutti i credo (religiosi e non).”

Il salto a quella che viene ormai correntemente definita la nouvelle laicïté, la nuova laicità, si verifica durante la presidenza di François Mitterand, nel 1989, anno spartiacque per tanti versi, con l’affaire des filles (la questione delle ragazze). Tre alunne musulmane si presentano al Liceo Gabriel-Havez di Creil, nel dipartimento dell’Oise, nord della Francia, con la testa velata da un foulard. Apriti cielo, si scatena un putiferio. Gilles Kepel, uno dei maggiori esperti di islamismo, ricorda nel suo articolo del 21 ottobre u.s. sul quotidiano Le Monde [2]che i Fratelli Musulmani erano palesemente dietro di loro. La questione, invece di sgonfiarsi con una sdrammatizzazione che sarebbe stata forse una mossa abile per disinnescare la miccia accesa[3], si infiamma per mesi, per anni, con Danielle Mitterand (moglie del Presidente) che in nome della diversità ritiene che sia giusto accogliere a scuola le ragazze e Gisèle Halimi, intellettuale femminista, che invece afferma che quei foulard sono un segno visibile dell’asservimento della donna.[4] Il dibattito continua per anni, con tanto di Commissioni governative ad hoc, fino alla legge del 2004 che bandisce la presenza di qualsiasi segno di appartenenza religiosa dalla sfera pubblica: scuole, uffici, tribunali, amministrazioni. Ma non solo nella sfera pubblica, come un altro affaire dimostrerà. 


Una dipendente (sin dal 1992) della scuola privata per l’infanzia Baby Loup[5], situata nella periferia di Parigi, si presenta al lavoro velata nel dicembre 2008, per la prima volta, dopo un congedo per maternità. Viene licenziata sui due piedi in nome della legge del 2004. Lei ricorre in tribunale, e ne segue una serie lunghissima di sentenze successivamente favorevoli alla parte che si ritiene lesa oppure avverse, che si conclude con un licenziamento definitivo senza indennizzi nel 2018. Il principio di laicità si afferma sempre più come allergico a qualsiasi sensibilità alle differenze culturali inerenti ad una società sempre più meticcia in cui convivono minoranze consistenti di fedi e culture multiple. Se per la legge del 1905 e la costituzione del 1958 la questione era il rapporto con la Chiesa ora il problema è il communitarisme, inteso come minaccia di separatismo tra le differenti componenti sociali, definite comunità, della stessa compagine nazionale.

Si stima che la presenza musulmana in Francia rappresenti una percentuale che varia dal 5-7% al 10%.[6] I sondaggi dell’I.F.O.P.[7]del 2019 segnalano un aumento dell’osservanza delle pratiche religiose tra la popolazione musulmana rispetto al 1989, anno dello scoppio della questione del velo islamico. Se ne può dedurre un irrigidimento e un compattamento dietro a una dichiarata “identità musulmana” di fronte alla incomprensione delle proprie ragioni e al rigetto di una maggioranza ostile che esige l’amputazione di qualcosa che si ritiene parte del proprio “sé” non solo intimo ma sociale, relazionale. Infine la nouvelle laïcité che nasce nel 1989 in Francia vuole espungere la religione e le manifestazioni di qualsiasi credo religioso non solo dalla sfera pubblica ma anche da quella sociale: vuole non uno Stato laico ma una società completamente laica, sterilizzata, e respinge la religione nell’ambito puramente intimo: qualcosa da nascondere assomiglia molto a qualcosa di cui ci si può vergognare[8]. E’ legittimo domandarsi che tipo di integrazione e benessere in vista di un obiettivo di coesione sociale in un contesto poli-culturale questa posizione garantisca. Mi sembra che conduca ad una situazione di anomia difficilmente governabile.

Alla luce di quanto su esposto, la pubblicazione delle vignette di Charlie Hebdo nel 2015 si può interpretare come un’affermazione spavalda del diritto alla satira di quanto si sa (o si dovrebbe sapere) una componente della società nella quale si vive ritiene sacro. Questa arroganza culturale permea sempre di più l’intellighenzia laica a tutti i costi. Si ricordi che il primo articolo della Costituzione del 1958 afferma che la République rispetta ogni credo. Rappresentare e ridicolizzare colui che i musulmani reputano il profeta dell’Altissimo infrange questo principio. Nelle molte discussioni e polemiche che sono seguite da allora fino ad oggi i difensori della laicità totalizzante lo hanno dimenticato.

Il 2014 aveva visto la proclamazione del califfato islamico a Raqqa, la guerra in Siria e in Libia, le insorgenze jihadiste nel Sahel e le stragi di Boku Haram, l’eternizzarsi della guerra talibana in Afghanistan: il clima era rovente. Diverse centinaia di fanatici convinti o ingenui invasati avevano lasciato vari paesi europei (tra i quali molti francesi) per andare a combattere nelle file jihadiste dell’ISIS. In Francia ribolliva il dibattito sulla radicalizzazione islamista sui network telematici. Era il momento di gettare un cerino acceso nel serbatoio della benzina? Il mondo musulmano si è fortemente risentito, i musulmani tutti si sono sentiti oltraggiati, il solco di incomprensione tra un occidente e un oriente stereotipici si è allargato, e dei criminali con l’etichetta islamista hanno complottato l’eccidio del 7 gennaio 2015 che ha ulteriormente avvelenato il clima di diffidenza tra differenti componenti sociali e nazionali non solo ma soprattutto in Francia.

Gaza, campo di rifugiati 

A più di cinque anni dalle stragi nella sede di Charlie Hebdo e nell’Hyper Casher[9], dopo gli ancor più terrificanti attentati del novembre 2015 a Parigi e altri ancora in varie città europee, oggi sgomenta il fatto che i giornalisti che animano ancora lo stesso giornale satirico in un bunker segreto, proprio in coincidenza con l’inizio del processo per l’assassinio dei loro colleghi e delle altre vittime del 2015, pensino bene di ripubblicare le stesse vignette, e che il Presidente Macron rivendichi inflessibile, dopo l’esecrabile uccisione del professor Paty, come libertà d’espressione non la legittimità della discussione, il che sarebbe stato naturale e necessario, ma il diritto alla satira su tutto, anche su ciò che per altri sui concittadini è sacro e inviolabile. Costi quel che costi. Ne sono seguite altre morti, altri attentati, altri lutti, e una parziale marcia indietro governativa alquanto goffa.

I giornalisti danesi e norvegesi del 2006 e i francesi di Charlie Hebdo del 2015 e del 2020 forse non hanno mai imparato che la tradizione figurativa araba è aniconica. Arabeschi. Fregi. Calligrammi. La rappresentazione umana (e spesso animale) è per lo più assente nell’arte araba, con l’eccezione di particolari periodi come quello degli Omayyadi e di alcune sette, anche se non è espressamente vietata dal Corano. Alcuni hadith, cioè i detti di Maometto, la vietano pur essendo relativi a circostanze specifiche. Tuttavia gli esegeti sunniti e chiaramente i rigoristi salafiti e wahabiti sono categorici nel vietarla. Per cui si può immaginare l’effetto di rappresentazioni che profanano il profeta di Allah[10] su menti esagitate e psiche labili come quelle dei vari “lupi solitari” che hanno commesso attentati sanguinosi negli ultimi anni (e in particolare il ceceno post-adolescente che ha decapitato il professor Paty o il tunisino appena arrivato in Europa che ha ucciso tre persone a Nizza).

Miniatura persiana sec. XVI, Maometto ha il volto velato

Anche l’arte buddista è stata aniconica. E nell’ebraismo sono bandite le raffigurazioni umane: il nome, anzi i nomi di Dio, sono impronunciabili[11]. Si può dire che l’aniconismo arabo è una derivazione di quello ebraico: ambedue sono accomunati dal rifuggire la tentazione dell’idolatria. Si ricordi l’anatema di Mosé sul vitello d’oro nel Deuteronomio.

Ancora: tra humor e religione non corre buon sangue: la religione e il comico non si sposano agevolmente. La fede rifugge non solo l’acribia razionalistica ma anche il riso che inficia e destabilizza la fede stessa[12]. Specularmente, la coppia “senso dello humor e cultura” è oggetto di fiumi d’inchiostro negli studi antropologici. Non c’è forse nulla di così idiosincratico come il senso dello humor, a partire dalla sensibilità individuale. Mi capita di guardare vignette che si suppone siano ironiche e allusive senza assaporarne il gusto che gli autori suppongono universalmente fruibile, e questo all’interno della stessa koiné culturale. Il mot d’esprit francese non ha molto a che fare con il tongue in cheek inglese, o con il più solare senso del comico italiano, ove peraltro un piemontese differisce su questo terreno da uno scanzonato napoletano. In Mozambico noi italiani ci stupivamo al cinema di sentir ridere la platea davanti a scene tutt’altro che comiche, addirittura crudeli. Poi in un saggio di antropologia ho letto che un certo tipo di riso in molte culture denota imbarazzo e disapprovazione. Figuriamoci quindi pretendere che algerini, tunisini, afgani, marocchini possano non dico apprezzare ma comprendere e accettare nella loro giocosità delle vignette che raffigurano il profeta di Allah. Non si può che scavare ulteriormente il solco che si sta allargando maldestramente e pericolosamente tra segmenti di società che sono destinati a convivere fianco a fianco e attizzare il fuoco che brucia nei focolai jihadisti già numerosi nel mondo. Lontani le mille miglia dai fuochi di guerriglia rurale/urbana anticapitalisti degli anni 1960.

Drone uccide 40 persone in un villaggio nel 2011 in Waziristan

Vi è poi la problematica definizione di “terrorismo”: qual’ è il metro di misura e quali atti meritano tale etichetta? Su alcuni il consenso è unanime: seminare il terrore sparando all’impazzata in strada o in un ristorante affollato o in un mercato, scagliare a piena velocità un camion o un’automobile su gente che passeggia, accoltellare sconosciuti in una piazza, disseminare mine antiuomo nascoste sotto terra, eseguire fucilazioni di massa, sono certamente atti terroristici. Se poi gli autori gridano anche “Allah è grande”, va da sé che siano etichettati come terroristi islamisti anche se spesso l’islamismo non è che una verniciatura opportunista dell’ultima ora rivendicata dalle centrali reali del terrore. E a molte persone non è chiara la distinzione tra islam come religione e islamismo, essendo quest’ultimo la sua deformazione pseudo-politica estremista e stragista, condannata più volte dai dotti islamici. Si ricordi che la maggioranza delle vittime dell’islamismo sono proprio i musulmani.

Iraq, foto Middle East Monitor , 2017
 

Ma usare droni che eseguono omicidi di nemici politici o supposti tali, esecuzioni extra-giudiziali, sequestri politici,[13] bombardare “per errore” un corteo nuziale[14] o un banchetto festivo, un autobus scolastico, una assemblea di villaggi nella zona tribale del Pakistan[15], sbranare un paese come l’Iraq, minacciare di bombardare il Pakistan per “ridurlo all’età della pietra[16] che intenzioni/azioni sono? Nel gergo giornalistico ormai invalso i morti per errore sono “danni collaterali”, deplorevoli sviste, qui pro quo.  Collaterali a che? Ad un’invasione e una guerra illegali? Quale è esattamente l’obiettivo? Instaurare “un nuovo ordine internazionale” migliore del precedente oppure disintegrare compagini territoriali sociali culturali per una fantasmatica ingegneria istituzionale partorita dai nuovi dottor Stranamore?

L’islamismo, i multipli jihad sparsi oggi ai quattro angoli del mondo, non sono nati come funghi velenosi prodotti da madre natura. Anche se è vero che il jihad è parte della storia di società islamiche e islamizzate, come nella Nigeria di inizio 1800 con dan Fodio[17], a parte casi particolari, come quello di Mindanao nelle Filippine, gli attuali jihad che l’Occidente cerca di contrastare militarmente attizzandoli (malgré soi ?[18]) nascono negli anni 1980 in Afghanistan con gli addestramenti organizzati e pagati dalla C.I.A. dei primi mujaheddin e trovano sponda in Arabia Saudita con le correnti wahabite che finanziano a tutto spiano la costruzione di moschee in Africa occidentale[19] e probabilmente in molte altre lande. 

Chi c’è dietro gli attentati spettacolari del 2001 negli USA se non l’Arabia Saudita, grande amica degli Stati Uniti? I jihadisti proliferano negli anni 1990 con la sanguinosissima guerra in Algeria, dopo che il FIS, il Front Islamique du Salut, dichiaratamente islamista e a favore dell’instaurazione della sharia vince le elezioni legislative nel dicembre 1991 con soli 3 milioni di voti su 13 milioni di elettori, a causa del sistema elettorale basato su collegi uninominali. Il FIS viene bloccato nella sua ascesa al potere dall’esercito e dal FNL, il partito storico algerino che ha governato sin dall’indipendenza l’Algeria e continuerà a farlo durante i dieci anni di piombo che seguono e che finiscono con strascichi dolorosissimi dopo l’elezione a Presidente di Abdelaziz Bouteflika nel 1999. L’invasione dell’Irak del 1991 inaugura la stagione di una vera e propria disintegrazione del Medio Oriente[20] orchestrata dalle maggiori potenze occidentali. La guerra alla Libia di Gheddafi completa il quadro.

 

crociato, da Pinteres.it

Infine è bene ricordare che nel mondo arabo è sempre rimasta viva la bruciatura delle Crociate. Lo shock culturale subito, l’affronto e l’invasione hanno lasciato tracce indelebili nella memoria storica degli arabi: da qui il vezzo di affibbiare l’etichetta di crociati alle recenti invasioni di stampo coloniale. Basta leggere Le crociate viste degli arabi di Amin Maaluf[21] per rendersi conto del trauma profondo subito dagli abitanti della Palestina e dell’area circostante che dura nel tempo, anche perché il conflitto si prolungò per secoli, fino alla battaglia di Vienna quasi all’alba del secolo dei lumi. Ancora oggi il jihadista di Al Shabaab che si rivolge alla giornalista della BBC Mary Harper a Mogadiscio si riferisce agli “occidentali” come “i crociati”.[22]

 

Si invera il paradosso per cui i lumi presunti della ragione (laica) assolutizzante si rovesciano nel suo contrario, e sacrificando al vitello d’oro della laïcité  diventano ciechi e sordi a ogni altro valore e considerazione: si pretende ignorare contesto, opportunità, determinanti storiche, circostanze, tutti gli elementi che caratterizzano esistenze concrete hic et nunc e per quanto riguarda il nostro argomento, la memoria storica del novecento e soprattutto degli ultimi 40 anni, che sfociano nella Revanche de Dieu come la definiva nel 1990 Gilles Kepel[23], di estremisti evangelisti, islamisti, pasdaran, ebrei ortodossi, induisti, bonzi buddisti, Al Shabaab, eccetera, che nella miseria di un presente lacerato si ergono di fronte a una dea ragione che sragiona.  La dialettica dell’illuminismo si manifesta allora come il dritto e il rovescio della stessa medaglia di una maschera che inficia la capacità di lettura della realtà e della sua costruzione per il bene comune. La laicità osannata diventa un feticcio malefico che uccide, la ratio illuminista si muta in un fatale letto di Procuste[24].



[1] http://www.assemblee-nationale.fr/connaissance/constitution.asp

[2] http://lirelactu.fr/source/le-monde/12d5d61d-19fb-4b84-b6d2-f33be1da9882

[3] Elisabeth Badinter ricorda che François Mitterand le si rivolse dicendo: “Ma in fin de conti, Elisabeth, due ragazzine con un foulard in testa, non è qualcosa che minacci la Repubblica”. https://www.lemonde.fr/culture/article/2020/10/28/la-laicite-un-sujet-de-discorde-a-gauche-depuis-l-affaire-du-voile-de-1989_6057695_3246.html

[4] Mi chiedo se Brigitte Bardot e tutte le ragazze dei primi anni 1960 che la imitavano la pensassero così quando la diva esibiva il foulard sul suo sontuoso biondo chignon, che ne faceva una icona onnipresente sui rotocalchi femminili.

[5] https://fr.wikipedia.org/wiki/Affaire_de_la_cr%C3%A8che_Baby_Loup

[6] Dato che i censimenti non fanno menzione di credo religioso, si tratta solo di stime.

[7] Institut français d’opinion publique. https://www.ifop.com/publication/les-musulmans-en-france-30-ans-apres-laffaire-des-foulards-de-creil/

[8] Ricordo bene il mio disagio di bambina ebrea in una scuola elementare piena di crocefissi, con il prete che nelle sue visite pasquali mi guardava con compassione sussiegosa e mi faceva sentire un’intrusa, un’infiltrata.

[9] https://fr.wikipedia.org/wiki/Prise_d%27otages_du_magasin_Hyper_Cacher_de_la_porte_de_Vincennes

[10] Leggo che l’autore dell’attentato al mercatino di Natale a Strasburgo nel dicembre 2018, Cherif Chekatt, era “un multi-recidivo criminale comune e vittima di un’infanzia caotica”. Il 29 ottobre u.s. un afgano armato di coltello è stato fermato nel centro di Lione. Sofferente di disturbi psichici, era già conosciuto dalla polizia per la sua pratica rigorista dell’islam. Mi sembra di poter aggiungere: delinquenti più bisognosi di cure appropriate che di carcere, forse riscattabili. https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/11/13/une-menace-terroriste-desormais-plus-endogene-que-projetee-de-l-etranger_6059578_3224.html

[11] Gershom Scholem. Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio. Adelphi, 1998.

[13] https://www.gicj.org/conferences-meetings/human-rights-council-sessions/side-events/1662-enforced-disappearances,-extrajudicial-killings-and-other-war-crimes-in-iraq

[14] https://www.hrw.org/report/2014/02/19/wedding-became-funeral/us-drone-attack-marriage-procession-Yemen

[17] https://it.wikipedia.org/wiki/Usman_dan_Fodio

[18] Vedi ad esempio Loretta Napoleoni. Isis Lo Stato del terrore, Feltrinelli, 2015

[19] Personalmente ricordo che mentre lavoravo in Mali nel 1990 osservavo sbocciare d’incanto in molti villaggi assai poveri moschee nuove di zecca con tanto di uova di struzzo sui minareti e mi chiedevo da dove venissero quei soldi.

[20] Vedi Robert Fisk. The great was for civilization. Sottotitolo: The conquest of the Middle East. Harper Perennial, 2006

[21] https://www.ibs.it/crociate-viste-dagli-arabi-libro-amin-maalouf/e/9788834601488

[22]https://www.hurstpublishers.com/book/everything-you-have-told-me-is-true/

[23] https://www.seuil.com/ouvrage/la-revanche-de-dieu-chretiens-juifs-et-musulmans-a-la-reconquete-du-monde-gilles-kepel/9782020129299

[24] https://it.wikipedia.org/wiki/Procuste