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mercoledì 8 aprile 2020

REQUIEM PER UN'AMICA

REQUIEM PER UN'AMICA IN CAMMINO VERSO L'ADE

Aqsu boliviano


Ci siamo conosciute nel 1994. La prima immagine ancora vivida che ho di te è  quella di un visetto con un'espressione tra maliziosa e curiosa che fa capolino dalla porta appena schiusa di un ufficio del CESTAS, l'ONG che ci aveva arruolato per una missione in Guinea Bissau, breve la tua, più lunga la mia.
Era primavera inoltrata a Bologna e il briefing è durato qualche giorno. Abbiamo fatto lunghe passeggiate andando o tornando dal ristorante la sera in strade anonime e grigiastre: non era bella la zona intorno all'ufficio. Poi ci fu la prova del fuoco che sigillò la nostra nascente amicizia. Arrivate insieme a Bissau restammo di stucco di fronte a una città che sembrava sul punto di sgretolarsi, tanto vetuste e cadenti erano strade, case, piazze: trasudavano una tristezza quasi immane, arcana. Ben altra  era l'immagine tua e mia dell'Africa finora conosciuta, tu in Mozambico, io sia in Mozambico che in Africa Occidentale, così variopinta e festosa pur nella povertà di case in banco. Fu un'esperienza iniziatica e sofferta. Ricordo un solo momento di esplosione nostra di allegria ironica quando, invitate a cena da Jorge..., funzionario OMS, non so cosa ci prese e saltammo su un tavolo o un qualche aggeggio ad almeno un metro dal pavimento e guardandoci ridendo cominciammo a cantare LOTTA LOTTA DI LUNGA DURATA  ecc agitando il pugno chiuso. Jorge e la moglie, una paciosa congolese, devono aver pensato: ma che matte mandano dall'Italia come esperte!

Ci vedemmo l'estate successiva a Salinas, poi a Itaca, eravamo amiche di viaggio e di vacanze assolate. Infine ti innamorasti di Sirolo, che era il luogo che preferivo quando rimanevo in Italia d'estate.
Per fortuna l'hai conosciuta prima della criminale lottizzazione che l'ha sfigurata e squartata negli ultimi dieci anni. Arrivavi appena ti avvisavo che stavano cominciando a sbocciare le ginestre. Sentivo al telefono la tua eccitazione e ti vedevo brillare gli occhi mentre pregustavi il piacere di tuffarti in acque ancora decenti guardando la rupe scoscesa che diventa in giugno un immenso fascio di fiori gialli immersi nel verde cupo dei pini e dei lecci. O diventava? Non ci vado più da anni.
Scendevamo all'Hotel Beatrice, un po' fuori dall'abitato, e prendevamo una stanza doppia che guardava verso la campagna, e il mare si vedeva appena, sotto la rupe a picco. La sera dopo cena risalivamo la strada verso il campo di grano ormai maturo lì a due passi per vedere le lucciole zigzaganti nel buio.
E la giornata intera la passavamo al mare: tu ti piazzavi su un lettino al sole, io preferivo il mio ombrelletto e una capulana  sui sassi, entrambe con libro e giornale. 
Poi il pendolo oscillava verso Roma. Quante volte mi hai accolto in partenza o di ritorno dalle mie missioni di lavoro, cui tu avevi rinunciato per dedicarti alla scuola. Quanti brindisi  con vino rosso e sottofondo musicale, quante passeggiate poi se la serata era calda a Santa Maria di Trastevere.  

Poi una mattina di gennaio ti ho chiamato da Conakry e mi hai annunciato la diagnosi della tua malattia. Avevo notato negli ultimi incontri una strana lentezza, una volta mi ero anche arrabbiata in
montagna perché rimanevi sempre indietro mentre dovevamo affrettarci per prendere l'ultimo autobus per l'hotel. E continuavi a ripetere: ma perché mi devi far correre così? Non capivo che ti stesse succedendo.
È arrivata la malattia a spegnere poco a poco il tuo luminoso sorriso, il brillio di gioia e piacere nei tuoi occhi bruni, a bloccare la tua sete di esplorare ancora e ancora il mondo.
Addio cara Daniela, Addio amica.



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