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domenica 16 agosto 2020

ECUADOR: IL CUORE VERDE DEL SUDAMERICA (1)

 

VIAGGIO TRA VULCANI FORESTE E PETROLIO (1)

QUITO (**)

 Il vulcano Pichincha  a Quito

Ripensare oggi, dopo più di cinque mesi, al periplo ecuadoriano compiuto tra gennaio e marzo di quest’anno, che rimarrà negli annali del pianeta come l’anno dell’insorgere di un coronavirus sterminatore e del suo graduale diffondersi in ogni angolo del globo, suscita nostalgia per un’epoca così recente e insieme lontana, racchiusa in una cornice temporale congelata chissà fino a quando. Sento che debbo fare uno strano sforzo per rievocarne lo svolgimento, le sorprese, le rivelazioni che ogni viaggio ad occhi aperti regala, come se dovessi scavare in un passato remoto e archiviato, e questo durante un’estate così diversa da quelle abituali, generalmente vagabonde e irrequiete e ora desolatamente stanziale, che mi pesa addosso come una coperta di pietra.

L’idea di visitare l’Ecuador era vecchia di anni, precedente il terremoto devastatore dell’aprile del 2016 che aveva imposto di rimandare il viaggio, ed è stato stimolato dalla stagione di nuove lotte di piazza dell’autunno del 2019 che ha visto dispiegarsi una grande compattezza delle classi popolari e il protagonismo sia della CONAIE (Confederazione delle nazionalità indigene) che del FUT (Fronte unitario dei lavoratori). E così ho pensato che fosse il momento adatto per andarci.

Convegno dei popoli indigeni, ottobre 2019 (foto da internet)

A beneficio di eventuali futuri viaggiatori che leggessero queste righe, consiglio loro di guardarsi da eccessivi allarmismi  (suggeriti sia dalla guida cartacea L.P. sia da varie persone interpellate al riguardo)  su problematici prelievi bancari con Bancomat italiano[1], o pericoli di furto in agguato su autobus o in generale nel paese, fermo restando che usare le cautele che ogni via-andante conosce è imperativo, come evitare zone deserte (non solo nottetempo e specie in montagna) o informarsi su eventuali no-go areas sul posto, anche su singole strade potenzialmente pericolose (ad esempio, nel centro di Quito: “non prenda quella strada per scendere ma prosegua dritto”, mi ha detto un calzolaio). In Italia varie persone avevano suscitato in me un’ansia infondata tanto da cercare di cambiare meta. I cajeros del Banco Pichincha mi hanno sempre fornito il contante richiesto, che sono poi dollari identici a quelli targati US, e l’Ecuador che ho visitato mi è sembrato più sicuro di altri paesi sudamericani. E’ una buona idea procurarsi una tarjeta Bancomat locale. Una preziosa amica ecuadoregna me ne ha procurato una accettata ovunque.

Ripercorrerò il mio itinerario in ordine temporale mettendo in evidenza non tanto e solo i luoghi ma le problematiche ad essi connesse e alcuni personaggi interessanti. E i musei, sempre fonte di scoperte di culture e artisti di nicchia, pochissimo conosciuti fuori dall’Ecuador.

 QUITO

Centro storico di Quito 

 

 Ho visitato soltanto (e in parte) il centro storico coloniale, che non era eccessivamente affollato nella prima metà di gennaio, centro al quale potevo arrivare a piedi dall’appartamento affittato per cinque giorni sull’Avenida 6 de Diciembre. Avevo davanti alla finestra del soggiorno la mole maestosa del vulcano Pichincha (4776 mt), una visione notturna splendida palpitante di lucciole elettriche.

 

San Augustí , campanile

A fianco della Plaza Grande si trova il Monastero di San Augustín (1573), con chiostro affrescato a grandi riquadri che illustrano episodi della vita del santo e un’imponente Sala Capitolare del 1700 con tetto in legno scolpito a cassettoni dorati. Vi si riunì il Cabildo Abierto, cioè la prima Giunta Municipale sovrana di Quito che il 16 agosto 1809 firmò l’atto che decretava l’indipendenza nazionale. Fu l’inizio della rivoluzione indipendentista nelle colonie spagnole che portò alla conclusione della sanguinosissima colonizzazione di origine castigliana in Sudamerica nel 1821. La sala è immensa e regna il silenzio, sono l’unica visitatrice: fotografo lo scranno dove il presidente della Giunta presumibilmente sedette e cerco di evocare immagini all’altezza dell’avvenimento epocale. 

 

Scranno sala capitolare
 Uscendo in un sole sfolgorante, poco vicino mi imbatto in una manifestazione di venditori ambulanti, passaggio brusco tra passato e presente: protestano perché una ordinanza municipale dell’odierna giunta vorrebbe bandire le loro povere merci da marciapiedi e crocicchi, sopprimendo la loro unica fonte di sussistenza.  Esprimo solidarietà militante e fotografo.

Protesta degli ambulanti

Bellissima e barocchissima la facciata della Chiesa dei Gesuiti e suppongo anche l’interno, ma eccessivo ed oltraggioso è il biglietto d’ingresso per gli stranieri e mi rifiuto di entrare. Ricostruita dopo due incendi e due terremoti, la costruzione durò complessivamente 160 anni[2], informano i pannelli esterni (gratis).

Facciata della Chiesa del Gesù, Quito
 

Il giorno successivo è dedicato quasi interamente al Museo della Casa de la Cultura, di fronte al piacevole Parco El Ejido, oasi di verde in un traffico pesante.

Ad una prima sala di dipinti moderni segue una bella esposizione di strumenti musicali precolombiani: idiofónos [3]de sacudimiento (da scuotere: sembrano collane), idiófonos de golpe (pietre a forma di pentaedro), flauti di osso umano, flauti antropomorfi che ricordano le arcaiche donne-uccello in terracotta di Cipro: questi risalgono al 3000 a.C. 

Flauto donna uccello

Non può mancare il rondador, mesto protagonista di tanti canti indios, simile alla siringa di Pan, strumento della Sierra, zona del vulcano Imbabura. Si suonava ritualmente a settembre, in occasione dell’equinozio e in omaggio al sole, l’onnipresente Inti della cultura Inka. Segue un piccolo ma ricco museo etnografico, con foto delle aree e descrizione delle peculiarità delle 33 popolazioni indigene ecuadoregne (e dei meticci); sono però riconosciute ufficialmente soltanto 14 nazionalità distinte di altrettanti gruppi etnici, i più numerosi. Gli sciamani delle varie culture (ne vedrò ieratiche statue nei musei in giro per il paese) [4]usano tutti, dice un pannello esplicativo, una bevanda sacra chiamata nepi a base di ayawaska. Ma di “piante sacre” ce ne sono molte a seconda dei popoli e delle culture.

Mappa del mosaico di culture e popoli dell'Ecuador

In un’altra sala si proietta un documentario sull’Oriente amazzonico, Proyecto Amazonia[5]; nella libreria vicino all’entrata prendo in mano e sfoglio uno spesso volume. Ne leggo alcune pagine qua e là; titolo: Petróleo, lanzas y sangre di Jorge A. Viteri Toro, edizione del 2008. L’autore ha lavorato con diverse mansioni e in varie campagne di perforazione per 30 anni nell’Oriente ecuadoregno e narra la terribile storia della scoperta del petrolio e dei conflitti che ne conseguirono, tuttora vivissimi, a partire dal 29 marzo 1967, quando risuonò il grido: Petróleo! Petróleo! nella remota Provincia di Orellana. Dal pozzo era zampillato fuori un rivolo nero: si era nel blocco della Texaco-Gulf, compagnia sorta dalla fusione di due delle “sette sorelle” che hanno controllato il mercato del petrolio dagli anni 1940 alla crisi del 1973[6]. Coca, Orellana, è ancora oggi considerata l’ultima città della “civiltà” al margine nord-est dell’Amazzonia più remota, alla confluenza del rio Coca e del Rio Napo. Apparentemente, civiltà = petrolio, ben triste associazione! Mi ero ripromessa di arrivarci ma mi sono fermata ben prima, nelle province di Pastaza (a Puyo) e Napo (a Tena), molto più a sud: molti mi avevano dissuaso di andare fino a Coca e me ne sono pentita. Il petrolio è sempre più al cuore dello scontro tra i popoli nativi e le multinazionali, e fonte di inquinamento infinito di terra e falde acquifere, le risorse fondamentali di chi ci abita. Nella prima sala c’è un quadro fantastico di una remota oasi amazzonica di pace, forse Yasuní. Si trova ben oltre Coca: chissà, un prossimo viaggio post-Covid?

Il giorno seguente visito la Fondazione Guayasimin[7] e l’annessa Capilla del Hombre, altra bella scoperta, che sorge “per rendere omaggio all’essere umano, ai suoi popoli, alla sua identità”. 

Oswaldo Guayasimin Eruzione del vulcano Pichincha
 

Il nome di Oswaldo Guayasimin, grande pittore e intellettuale ecuadoregno, grande collezionista d’opere d’arte, mi era totalmente ignoto; la sua pittura possente con i volti tesi a invocare giustizia, la sua biografia e le sue parole mi hanno profondamente colpito e affascinato. I suoi quadri sono esposti in varie gallerie d’arte e musei del mondo, ma la Capilla del Hombre è unica per la ricchezza delle opere esposte, la varietà dei temi e l’atmosfera intensa e raccolta, che si riassumono in un vero e proprio inno a ciò che di migliore c’è nell’umano. Guayasimin fu anche un militante comunista legato alle radici del suo popolo più umile e povero, ai campesinos e agli indios. Ho copiato alcune sue frasi di un racconto di viaggio nell’Ecuador profondo da un pannello:

Di villaggio in villaggio, di città in città, fummo testimoni della più profonda miseria: villaggi di fango nero, terra nera, con bambini sporchi di fango nero, uomini e donne con visi bruciati dal freddo dove le lacrime erano congelate da secoli, fino a non sapere se fossero di sale oppure di pietra, musica di zampogne e rondadores, che svelano la immensa solitudine senza tempo, senza dei, senza sole, senza mais, solamente il fango e il vento[8]”.

Oswaldo Guayasimin, Capilla del Hombre
 

Infine a Quito non si può non salire, se non a piedi almeno in teleferica, sulla vetta (quasi, soltanto fino a 4100 mt in effetti) del vulcano Pichincha e fare una passeggiata almeno fino al belvedere poco sopra il terminal della cabinovia. Purtroppo le nuvole della stagione delle piogge mi hanno impedito di scorgere con nettezza le cime a corona dei vulcani che si inanellano intorno alla capitale. Panorama comunque superbo.

Dopo il soggiorno quiteño è iniziata l’esplorazione del paese, a cominciare dagli altopiani settentrionali. Non ho preso in considerazione l’arcipelago delle Galápagos, funestate da orde di turisti, a scapito della conservazione della natura. Proprio sulla teleferica del Pichincha ho parlato a due turisti americani: soggiorno di 8 giorni in Ecuador, di cui 7 tra andata soggiorno e ritorno alle isole delle iguane giganti. Il resto dell’Ecuador, ho chiesto? Non interessava evidentemente, l’importante era potersi vantare di essere stati alle Galápagos, anche al prezzo di distruggerle.

 

Vista dal belvedere sul vulcano Pichincha, 4150 mt circa

 ** N.B. Google mi ha cambiato improvvisamente le impostazioni del blog e l'impginazione è diventata un tormento, le opzioni sono cambiate e la visione della bozza è diversa dal risultato finale nella pubblicazione, per cui le foto e il testo non sono reciprocamente più controllabili come prima e ho dovuto impaginare con foto tutte al centro. Intanto ho acquistato un dominio e presto questo blog transiterà su wordpress, su un sito mio.


[1] Il codice bancomat ecuadoriano è di 4 cifre, ma il nostro di 5 non mi ha posto problemi.

[2] https://es.wikipedia.org/wiki/Iglesia_de_la_Compa%C3%B1%C3%ADa_(Quito)

[3] Negli strumenti musicali denominati idiofoni secondo la classificazione Hornbostel-Sachs il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso dello strumento, senza l'utilizzo di corde o membrane tese e senza che sia una colonna d'aria a essere fatta vibrare. Wikipedia

[4] L'ayahuasca (aya-wasca, letteralmente "liana degli spiriti" o "liana dei morti" in lingua quechua), spesso detta anche, a seconda dei paesi di provenienza: Yage, Hoasca, Daime, Caapi; è un infuso psichedelico a base di diverse piante amazzoniche in grado di indurre un effetto visionario[1] oltre che purgante (Wikipedia)

[5]https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwi0pryzlJ3rAhWGjKQKHakEDjoQwqsBMAB6BAgKEAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.cepal.org%2Ffr%2Fvideos%2Fproyecto-amazonia-posible-y-sostenible&usg=AOvVaw1krCu9ZGNm2at2FqGtl5hw

[6] Il contrasto con le grandi multinazionali del petrolio, in primis le “sette sorelle”, nel contesto della crisi dei missili tra Cuba, URSS e US e gli interessi petroliferi delle grandi potenze nel Mediterraneo furono la causa dell’attentato all’aereo di Enrico Mattei, fondatore e primo presidente dell’ENI. Ovviamente mai pienamente riconosciuto come tale in sede giuridica, “more italiano” (https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei)

[7] https://www.quitocultura.info/venue/fundacion-guayasamin/

[8] Oswaldo Guayasimin, traduzione mia

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