COME SI ARRIVÒ ALLA VERSIONE DEFINITIVA
IL DRAMMA
Il già celebre scrittore Alessandro Manzoni, perfezionista meticoloso, aveva finalmente terminato la scrittura del grande romanzo storico “I Promessi Sposi”, che doveva restare nei secoli “Il” romanzo italiano per eccellenza, che generazioni di liceali futuri avrebbero se non detestato, poco amato, ingollato a cucchiaiate giorno dopo giorno fino a che noia non uccida.
Il perfezionista temette che la lingua usata nel suo caro romanzo sudato per anni risentisse di solecismi milanesi, di vezzi settentrionali, mentre avrebbe dovuto essere un solido cemento in puro italiano, scevro da cadenze regionali. Con ciò intendeva la quintessenza dell’italiano, con intenti unificanti anche se ancora, com’è noto, l’Italia era semplicemente una espressione geografica. Così all’inizio del fatidico 1827 prese la decisione di trasferirsi con la famiglia a Firenze per ripulire il suo romanzo, immergendolo nel crogiolo dantesco, petrarchesco, eccetera.
Detto fatto, con baracca e burattini arrivò dopo varie peripezie e divagazioni stradali a Firenze, si installò in un super albergo che reca tuttora una targa commemorativa del suo soggiorno, sul Lungarno Corsini, e si accinse alla risciacquatura programmata.
Oltre ad intavolare conversazioni qua e là fino alla nausea (sia detto senza malevolenza) degli intavolati, si procurò una capace e robusta rete per farfalle. La moglie Enrichetta, patita di farfalle, lo ringraziò con le lacrime agli occhi del pensiero. Ma Alessandro, bruscamente, chiari’ che la rete sarebbe servita a lui, e tagliò corto a domande insidiose. Cosa aveva architettato? Nottetempo, addusse impegni letterari improrogabili e si assento’ nascondendo la rete per farfalle in un valigione dove infilò anche il suo prezioso manoscritto dei Promessi Sposi e una canna da pesca pieghevole. Chiotto chiotto si diresse verso Ponte Vecchio e quando ritenne di non essere visto da nessuno si avvicinò al parapetto, allungò il manico della rete per farfalle con la canna da pesca, mise nella rete il prezioso manoscritto e lo calo’ in Arno per la famosa risciacquatura. Sollevò varie volte il tutto, lo immerse di nuovo per una pulizia sicura, e infine lo riprese in mano, lo strizzò con cura prima di riporlo nel valigione con il resto della sua attrezzatura. Era soddisfatto. Ma il celebre scrittore aveva dimenticato che le penne biro con inchiostro indelebile non erano state ancora inventate. Porca miseria! Appena arrivato in albergo, alla luce dei lussuosi candelabri, il tapino dovette constatare che la risciacquatura era stata troppo radicale. Il testo non era più leggibile! Le pagine avevano una vaga macchia bluastra e nulla più. Che fare? (famoso titolo di Lenin in successive e diverse circostanze). Non restava che riscrivere il tutto alla luce delle acquisizioni linguistiche recenti, che erano indubbie. Fu così necessario prolungare il soggiorno di molte settimane, con soddisfazione della famigliola che gradi’ le gite nei dintorni mentre Alessandro, tra una imprecazione in puro fiorentino e l’altra, era incollato alla sedia puro Rinascimento a risputare in puro toscano/fiorentino la tormentata vicenda di Lucia e Renzo, peste compresa. Negli intervalli del lavoro di riscrittura cercava di attaccare bottone con vari interlocutori che riteneva validi esemplari linguistici, incontrando difficoltà crescenti perché ormai era scansato come un pericolo pubblico.
Ma l’opus magnum fu ultimato, Alessandro ormai doveva usare gli occhiali tanto la vista gli era scemata ma avrebbe fatto salti di gioia quando vergo’ l’ultima pagina. L’espressione “missione compiuta “ non era ancora di moda ma la sostanza c’era tutta.
La carrozza che riporto’ la famiglia a nord avrebbe potuto essere una marcia trionfale.
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