LA FABBRICA DEL JIHAD
GLOBALE OVVERO COME DIROTTARE LE LOTTE DI CLASSE
Prima parte
Attentato di Boko Haram in Nigeria
“Il Medio
Oriente è nel 2008 un luogo più libero, più aperto alla speranza e più
promettente di quanto non fosse nel 2001……. Organizzazioni terroristiche come
al-Qa'ida hanno decisamente fallito… L’Iraq è diventato amico dell’America da
nemico che era, non sponsorizza più il terrorismo bensì lo combatte, e da
brutale dittatura si è tramutato in una democrazia costituzionale multi-etnica
e multi-religiosa” (G.W.Bush, alla Brookings Institution, ottobre 2011).
Il peggior
presidente USA post 1945 sta parlando del “suo” Grande Medio Oriente (https://en.wikipedia.org/wiki/Greater_Middle_East),
esistente solo nella sua immaginazione obnubilata. Ha un record di tutto
rispetto: ha validamente contribuito a destabilizzare ulteriormente un
Afghanistan sfiancato da decenni di guerra, a distruggere un Iraq con il quale
era perfettamente possibile trattare a livello diplomatico, ha appoggiato la
deriva fondamentalista di Israele e la colonizzazione dilagante in
Cisgiordania, ignora o finge di ignorare che il decennio di sangue 1991/2002 in
Algeria ha già figliato numerosi gruppi jihadisti che si stanno espandendo nel
Sahel; trascura il piccolo particolare che l’eliminazione del dittatore
Gheddafi (del settembre 2011) implica la creazione di una zona d’incertezza e
instabilità in un Nord Africa in piena ebollizione dopo le primavere arabe;
tralascia come bazzecola l’attacco israeliano al Libano di Hezbollah del 2006, la
guerra e le stragi a Gaza del 2008, non ricorda la guerra catastrofica in
Cecenia, da sempre focolaio islamista, che si è appena conclusa e ha generato
mercenari pronti a partire per i quattro punti del globo, né tanto meno ha
presente che la disintegrazione della Jugoslavia ha già prodotto i suoi
combattenti globali. Come vedremo, conta su solide alleanze.
Oggi ci
troviamo di fronte un Grande Medio Oriente in avanzato stato di decomposizione,
con stati sfasciati, un vivaio di conflitti irrisolti, frontiere cancellate
e semoventi, frustrazioni post-coloniali, povertà, emarginazione e
disoccupazione, con milioni di persone sfollate o rifugiate in campi
fatiscenti, fucina e centro di irraggiamento di molteplici fondamentalismi
(islamista-salafista- wahabita, ebraico-sionista, sciita e sunnita, talibano e,
se andiamo più a est, hindu e buddista).
E’ un Grande
Medio Oriente che non solo comprende tutto il bacino del Mediterraneo e il suo
entroterra ma si è allargato a sud, arruolando mafie molteplici attraverso i
traffici e narcotraffici saheliani e mediterranei sulla pelle dei migranti e
dei profughi; è esploso nella rivolta Tuareg del Mali nel 2012, ancora
irrisolta nonostante l’accordo d’Algeri della primavera 2015; include due Stati
a brandelli, Irak e Siria, oltre a una Libia che trabocca di bande armate, abbraccia la Somalia dopo che le Corti islamiche,
moderate, sono state sconfitte nel 2007 con l’aiuto occidentale all’esercito
etiope di Meles Zenawi, tanto amico di Tony Blair. Le Corti sono state opportunamente
rimpiazzate dagli agguerriti terroristi islamisti di Al Shabaab (che significa
“i giovani” in arabo), tuttora non sconfitti anche se indeboliti. ISIS[1],
sconosciuto ai più fino al giugno 2014, ora impazza su tutti i media. (a destra, attacco di Al-Shabab a Mogadiscio).
Il Grande
Medio Oriente è sbarcato da tempo nel nord del Kenya scavando nelle frustrazioni
del popolo della costa Swahili. Nel nord della Nigeria Boko Haram (l’istruzione
occidentale è proibita, questo il significato della sigla) semina morte e terrore dal 2009
dopo che la criminale insipienza del presidente Goodluck Jonathan e la
brutalità dei suoi sgherri l’ha trasformata da relativamente innocua setta in
un sanguinario gruppo di assassini nichilisti - e islamisti - che hanno
prestato fedeltà al sedicente Stato islamico ISIS.
(a sinistra, donna accusata di essere una reclutatrice di Boko Haram)
E’ un Grande
Medio Oriente le cui diramazioni proteiformi si proiettano in ogni direzione,
verso l’Asia centrale e meridionale, verso l’Europa, e hanno terribilmente e
spettacolarmente raggiunto l’America del Nord nel 2001. Menziono solo alcune
delle tappe del terrore islamista: Luxor 1997 (stavo lavorando proprio là in
quel novembre), Bali 2002, Casablanca 2003, Madrid 2004, Londra 2005, Mumbai
2008, Marrakesh 2011, Peshawar 2014 (una scuola colpita, 141 morti), Nigeria
2009/2015, Ciad, Camerun, Niger (2014/15), Tunisi 2015, Parigi 2015. Le stragi di Mosca
(2002) e Beslan (2006) hanno una cifra diversa benché egualmente
raccapricciante. Una lista completa occuperebbe molte pagine.
Oggi la
parola “caos” è un concetto infelicemente calzante, usato da vari analisti
politici (i primi libri che vengono in mente sono di Ahmed Rashid (Caos Asia, 2008) e di Federico Rampini (L’età del caos, 2015), ma le Monde Diplomatique parla da anni di “Geopolitica
del caos” come chiave di lettura del presente storico. E il XIII Rapporto sui
diritti globali presentato il 17 novembre 2015 nella sede nazionale della CGIL presenta
un quadro improntato al “disordine globale”.
Sembra che
le armi della politica e della diplomazia abbiano ceduto il passo da un lato ai
bombardamenti massicci, alle esecuzioni extragiudiziali, ai barili di polvere
incendiaria, ai gas letali usati contro civili (http://www.monbiot.com/2014/09/30/bomb-everyone/),
alle “kill lists” firmate giornalmente da un presidente democraticamente eletto
con entusiasmo e speranza nel 2008 ( The
New Yorker, 5 maggio 2012), e dall’altro a nemici elusivi, a sigle
cangianti le cui alleanze variano a seconda delle circostanze, il cui hobby più
diffuso è disseminare bombe in luoghi affollati da gente qualsiasi o farsi
saltare in aria in quegli stessi luoghi sterminando il maggior numero possibile
di persone. Non si tratta più della strategia suicida e omicida in qualche modo
mirata delle Tigri Tamil in Sri Lanka, dell’omicidio di Rajiv Gandhi nel 1991
(ma dopo il 2005 le stesse Tigri avveleneranno sciaguratamente la loro lotta
pur fondata su rivendicazioni legittime, mettendo bombe su autobus di linea e
nei mercati, finendo schiacciati da una guerra senza quartiere scatenata dal Presidente
Mahinda Rajapakse nel 2009, contro combattenti e civili egualmente, in un carnaio
che ancora attende giustizia).
Non si
tratta della disperazione dei palestinesi che nel 2002-2003 seminò decine di
morti negli autobus e nei ristoranti di Gerusalemme o Tel Aviv, che scaturiva
dalla morte della speranza di un orizzonte di pace e di rinascita, ancora una
volta, di giustizia. Né tanto meno è niente di paragonabile alle aggressioni
recenti di singoli palestinesi contro civili e militari israeliani, nonostante
gli sforzi del Primo Ministro israeliano per assimilarli al terrorismo
jihadista. La tattica degli attacchi
suicidi fu fatta propria anche dai ceceni dopo il 2000 per colpire comandanti
russi. Azioni distruttive asimmetriche che denunciano il venir meno di ogni
orizzonte strategico a breve, dirette contro un nemico identificato che sta aggredendo
a sua volta.
Ma i
ripetuti attentati di Boko Haram ai mercati affollati di Maiduguri (giugno e
luglio 2015) o alla stazione di autobus di Abuja il mattino presto (aprile
2014), quando i pendolari prendono i mezzi per recarsi al lavoro e più recentemente
nei villaggi di tutta la zona intorno al lago Ciad, sul quale si affacciano
quattro paesi: Camerun, Niger, Ciad e Nigeria, le bombe sul metro a Madrid, in
un hotel a Mumbay, al Bataclan, sono diversamente indiscriminati e hanno un
solo obiettivo: fare vittime, quali che siano, a qualunque strato sociale o
fede religiosa appartengano. C’è una volontà di morte e distruzione che lascia
annichiliti e paralizza il pensiero. Questa mattina, una ragazzina di 11 anni
si è fatta esplodere in un mercato di Kano, nord Nigeria, insieme a un’altra
donna, uccidendo 15 persone. Come è possibile che ciò accada? 11 anni !! (http://m.faitsdivers.org/21395-Une-fillette-de-11-ans-se-fait-exploser-sur-un-marche-15-morts-et-50-blesses.html).
Eppure
dietro a questo garbuglio apparente di traiettorie impazzite è indispensabile
individuare qualche filo conduttore, coincidenze, decisioni politiche da
contestualizzare a seconda delle circostanze storiche, dei contesti geografici
e delle condizioni socio-economiche, fatti e scelte operate (o non operate) da
chi ha in mano i destini di milioni di esseri umani.
Il risultato di tale analisi non può non fare sospettare un disegno,
una volontà politica convergente di attori politici ed economici dispiegata in un quadro ormai planetario che lascia
altrettanto annichiliti, quasi increduli. Crisi prevedibili sono pilotate ad
arte per non portare soluzioni. Alleanze non credibili sono appoggiate a
detrimento degli interessi di intere popolazioni. Informazioni chiave vengono
trascurate. I satelliti sono ciechi.
Peshmerga combattono per riprendere Sinjar
Ovviamente si lascia che L’Arabia Saudita continui a distruggere lo Yemen, mentre si fanno lucrosi affari rifornendolo di armamenti. Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, tra i finanziatori riconosciuti di ISIS, sono gli amici dell’Occidente, mentre la Turchia ha appoggiato sin dall’inizio il dilagare degli islamisti in Siria. E continua a farlo.
La mia tesi
è espressa nel titolo di questo post: il caos generato dai vari terrorismi che
impazzano nel mondo post 1989 tra vecchie e nuove povertà, nel degrado di un
ambiente sempre più difficile da controllare e la continuazione della razzia
delle ricchezze del sottosuolo, è il risultato della strategia di un
capitalismo finanziario, il finanz-capitalismo così bene descritto e analizzato
dal compianto Luciano Gallino, che lo ha fomentato, a volte creato, infine usato
per asfissiare le molteplici lotte di classe del mondo (lotte di classe
implicitamente se non esplicitamente tali) e dirottare le innumerevoli
rivendicazioni, frustrazioni, ribellioni su obiettivi fittizi, usando a man
bassa la religione intesa settariamente. Lo storico scisma tra sunniti e
sciiti, attutito e quasi cancellato in ampie aree con popolazioni di fede
musulmana, è stato ad arte resuscitato e infiammato ed è ora uno dei fattori
cruciali del caos mediorientale. Il sionismo e l’ebraismo ortodosso dilagano in
Israele. Cercherò di rintracciare alcune delle tessere di questo
complicatissimo mosaico storico a partire da un passato recente, dalla data
simbolica del 1989, quando cadde un muro e si stavano già creando le premesse
di altre decine di muri.
Per capire a chi fa comodo che ISIS sia una
entità di franchising globale, utile a decretare la militarizzazione delle
società.
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