TRA ANTICHE CIVILTA’
E MODERNE INCIVILTA’
INTRODUZIONE
Mosaico di Poseidon, Villa di Teseo, area archeologica di Paphos, Cipro greca |
Avevo esitato a lungo prima di decidermi a scegliere le due
mete del viaggio: Cipro e Turchia.
In Turchia ero stata nel 2013, visitando Istanbul e la
costa anatolica occidentale compresa la candida Pamukkale, e ne ero rimasta
estasiata, non solo per le meraviglie di Istanbul ancora in fermento dopo le
lotte popolari per salvare Gezi Park[1],
o per l’unicità monumentale dei resti della Magna Grecia, ma anche per gli
incontri, dall’indimenticabile generosità dell’aiuto ricevuto, appena scesa a
piazza Taksim (Istanbul) dall’autobus di
Alexandropolis, da parte di un gruppo di giovani attivisti delle recenti
proteste, all’insegnante di Bursa che mi aveva fatto da guida e introdotto in un
circolo riservato dove i dervisci danzavano la sema[2]
per sé e non per i turisti, all’incontro in treno con una studentessa e sua madre
che mi avevano poi accolto a casa loro. L’ultima visione del paese che mi
portavo dietro era l’incanto di Dalyan[3],
del lento incedere della barca sul canale nella luce dorata di fine settembre
tra due pareti a strapiombo di rocce scolpite dalle tombe Licie, intagliate
come facciate di templi greci, con timpani e colonne - e il sapore del succo di
melograno ancora in bocca.
Negli anni successivi l’avevo evitata per ragioni politiche,
dato l’inasprimento del regime dell’AKP e il vero e proprio assedio e
bombardamento del Kurdistan turco dopo il “golpe” del 2016. Quest’anno però la
vittoria dell’opposizione a Erdoğan ad Ankara e Istanbul mi ha spronato ad
andarci per cercare di capire se le basi del potere del Sultano si stavano
cominciando a sgretolare. Quanto a Cipro, rifuggita anche in seguito alla
conversazione con una ragazza greco-cipriota incontrata in Grecia che mi aveva
edotto sulla sua cementificazione selvaggia, il film “Torna a casa Jimi!” mi ha
incuriosito e incoraggiato ad andare a vedere come i ciprioti vivessero questa
divisione dell’isola così anomala dopo secoli di convivenza.
Particolare, Castello di Lemesos, Cipro greca |
Ma di fatto ho mancato in gran parte ambedue gli obiettivi
di partenza. In Turchia, le due persone di riferimento con le quali speravo di
poter discutere e chiarire i miei interrogativi, per varie circostanze, si sono
rivelate deludenti a tal fine. A parte
due eccezioni – una ragazza che fa la guida turistica e una coppia di
ristoratori innamorati della cucina italiana ad Adana- nessun incontro
significativo ha marcato il viaggio. E in più mi ha disorientato la sensazione
persistente che ogni scoperta di tipo archeologico e culturale di per sé
entusiasmante fosse poi percepita come priva d’anima, perché non riuscivo a
raccordarla con il contesto odierno che restava dissonante, di una incongruità
inquietante; erano diamanti dispersi in mezzo a cianfrusaglie e bric-à-brac
dozzinale, quadri di Rembrandt appesi a pareti di canne e fango.
Preparazione caffe turco, Iskele, Cipro turca |
Inoltre la Turchia sud-orientale e centrale compreso il
Kurdistan sono un osso duro quanto a comunicazione: zero inglese, zero
francese, nemmeno da menzionare spagnolo o portoghese, solo turco, e raramente
ci si imbatte fortunosamente in qualcuno che parla tedesco. Sulla costa
meridionale soltanto a partire da Alanya verso ovest cambia completamente
l’atmosfera (anche i prezzi!) perché, ovvio, ci sono i turisti stranieri,
mentre in Anatolia orientale e centrale, in un mese, salvo in Cappadocia
beninteso, ho incontrato soltanto un ex-insegnante statunitense in pensione,
logorroico e un po’ strambo e, in cima al monte Nimrud, un esperto rumeno della
Delegazione UE di Bucarest.
Monte Nimrud, Anatolia Centrale, rovine del Regno di Commagene |
In certo modo i tragici avvenimenti di questi ultimi giorni
di ottobre, con l’assalto deciso dal Sultano-macellaio alla democrazia del
Rojava, mi confermano e spiegano meglio le ragioni del mio disagio, della
distanza umana e culturale che provavo verso la media degli abitanti del centro-est-sud
anatolico, nella maggioranza sostenitori dell’attuale Presidente. E’ prevalentemente
un ambiente chiuso in un orizzonte che mi è sembrato di un’angustia
insostenibile, dove non ho mai visto in vendita un giornale internazionale. La
presenza ubiqua del volto di Ataturk che spuntava sui vetri delle finestre,
pendeva affisso sulle pareti dei negozi, negli uffici, ovunque, era
diventata ossessiva, come le immancabili bandiere a ogni piè sospinto.
Silifke, salita al Castello |
Il massimo della sensazione di estraneità e di alterità
culturale rispetto al contesto quotidiano turco è culminato in quel di Taşucu,
piccolo centro balneare e terminal dell’unico traghetto da e verso Cipro,
durante (e dopo) un kafkiano sequestro di quasi cinque ore nella stazione di
polizia locale da parte di poliziotti naturalmente solo turcofoni, con l’accusa
(ho capito dopo un’ora) di furto ai danni di un sedicente bagnino (il
calunniatore), increscioso equivoco che descriverò successivamente a perpetuo
memento per altri eventuali viaggiatori. Fate attenzione se passate da Taşucu!!
Hic sunt leones.
Fiume di Silifke dove annegò Federico Barbarossa |
Quanto a Cipro, certamente la comunicazione è stata più
facile per una maggiore omogeneità culturale; le aree archeologiche non mi sono
apparse isole in un mare alieno; a Iskele, vicino a Famagosta, ho incontrato
una simpatica e accogliente gerente turca di un hotel boutique. Peccato che la
spiaggia e la campagna intorno all’hotel, fino a cinque anni fa intatte, siano
oggi assediate e squartate da società immobiliari, soprattutto russe, di una
voracità senza limiti, responsabili della cementificazione di terreni su
terreni e di una lottizzazione infinita: i temibili “property-developers”, gli
odierni yeti.
Speculazione a Iskele, Cipro turca |
E peccato che Nicosia fosse sventrata qua e là da voragini sulle
quali incombevano i colli mostruosi di lunghe gru, e che le facciate delle
sopravvissute case tradizionali, con persiane accostate e scalini consumati
dall’uso davanti al portoncino con battenti di ferro lavorato fossero soffocate
e sovrastate da palazzacci sgraziati.
Nicosia parte greca |
Quanto alla partizione dell’isola, mi è sembrato di
percepire rassegnazione/accettazione per la situazione che dura da 45 anni, e
ho constatato con un certo stupore che gli scarsi trasporti pubblici - che non
servono l’interno dell’isola - sono
rigidamente mono-nazionali, e quindi non contemplino nessun transito tra zona
greca e zona turca, per cui ad esempio da Larnaca, greca, non si può andare
direttamente a Famagosta, turca, a pochi chilometri di distanza a est sulla stessa costa meridionale, ma
bisogna salire a Nicosia, passare alla parte turca e scendere di nuovo a sud. Le
due popolazioni prima mescolate ovunque sono ora rigidamente divise e abitano nelle
rispettive enclaves. C’è solo un villaggio, Pyla, abitato ancora sia da greci
che da turchi, dove non sono riuscita ad andare per la complicazione degli
orari del bus. E d’altra parte in che lingua avrei potuto comunicare non
conoscendo né greco né turco? L’unico passaggio pedonale da un’area all’altra
previo controllo passaporto nei due rispettivi posti di blocco è in una via
centrale di Nicosia.
A Larnaca, nell’ex quartiere turco, ci sono molte vecchie
case ridotte a ruderi, con portoni sprangati, e qualche cartello di “vendesi”
sulle mura rosicate.
Larnaca, strada vicino all'ex quartiere turco |
Rovine di Salamina vicino a Famagosta, Cipro turca |
[1] Nella
primavera del 2013 c’era stato il tentativo di eliminare un parco a lato della
grande piazza Taksim ,nel cuore di Istanbul per costruirvi palazzi o uffici, il
che aveva innescato una violenta lotta popolare per difendere il verde e contro
il potere autocratico che stava dietro alla decisione. Vi erano state morti e
feriti. Ancora in agosto, durante la mia visita, c’erano frequenti sit-in e la
polizia stazionava in permanenza nei pressi della piazza.
[2] Parola
turca che designa la danza trascendentale dei dervisci rotanti.
[3] L’antica
Caunos.
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