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venerdì 25 ottobre 2019

VIAGGIO TRA CIPRO E TURCHIA (1)


TRA ANTICHE CIVILTA’ E MODERNE INCIVILTA’

INTRODUZIONE


Mosaico di Poseidon, Villa di Teseo, area archeologica di Paphos, Cipro greca

Avevo esitato a lungo prima di decidermi a scegliere le due mete del viaggio: Cipro e Turchia. 

In Turchia ero stata nel 2013, visitando Istanbul e la costa anatolica occidentale compresa la candida Pamukkale, e ne ero rimasta estasiata, non solo per le meraviglie di Istanbul ancora in fermento dopo le lotte popolari per salvare Gezi Park[1], o per l’unicità monumentale dei resti della Magna Grecia, ma anche per gli incontri, dall’indimenticabile generosità dell’aiuto ricevuto, appena scesa a piazza Taksim  (Istanbul) dall’autobus di Alexandropolis, da parte di un gruppo di giovani attivisti delle recenti proteste, all’insegnante di Bursa che mi aveva fatto da guida e introdotto in un circolo riservato dove i dervisci danzavano la sema[2] per sé e non per i turisti, all’incontro in treno con una studentessa e sua madre che mi avevano poi accolto a casa loro. L’ultima visione del paese che mi portavo dietro era l’incanto di Dalyan[3], del lento incedere della barca sul canale nella luce dorata di fine settembre tra due pareti a strapiombo di rocce scolpite dalle tombe Licie, intagliate come facciate di templi greci, con timpani e colonne - e il sapore del succo di melograno ancora in bocca. 
Cartolina di Dalyan, Anatolia occidentale, comperata nel 2013

Negli anni successivi l’avevo evitata per ragioni politiche, dato l’inasprimento del regime dell’AKP e il vero e proprio assedio e bombardamento del Kurdistan turco dopo il “golpe” del 2016. Quest’anno però la vittoria dell’opposizione a Erdoğan ad Ankara e Istanbul mi ha spronato ad andarci per cercare di capire se le basi del potere del Sultano si stavano cominciando a sgretolare. Quanto a Cipro, rifuggita anche in seguito alla conversazione con una ragazza greco-cipriota incontrata in Grecia che mi aveva edotto sulla sua cementificazione selvaggia, il film “Torna a casa Jimi!” mi ha incuriosito e incoraggiato ad andare a vedere come i ciprioti vivessero questa divisione dell’isola così anomala dopo secoli di convivenza.

Particolare, Castello di Lemesos, Cipro greca
Ma di fatto ho mancato in gran parte ambedue gli obiettivi di partenza. In Turchia, le due persone di riferimento con le quali speravo di poter discutere e chiarire i miei interrogativi, per varie circostanze, si sono rivelate deludenti a tal fine.  A parte due eccezioni – una ragazza che fa la guida turistica e una coppia di ristoratori innamorati della cucina italiana ad Adana- nessun incontro significativo ha marcato il viaggio. E in più mi ha disorientato la sensazione persistente che ogni scoperta di tipo archeologico e culturale di per sé entusiasmante fosse poi percepita come priva d’anima, perché non riuscivo a raccordarla con il contesto odierno che restava dissonante, di una incongruità inquietante; erano diamanti dispersi in mezzo a cianfrusaglie e bric-à-brac dozzinale, quadri di Rembrandt appesi a pareti di canne e fango. 
Preparazione caffe turco, Iskele, Cipro turca

Inoltre la Turchia sud-orientale e centrale compreso il Kurdistan sono un osso duro quanto a comunicazione: zero inglese, zero francese, nemmeno da menzionare spagnolo o portoghese, solo turco, e raramente ci si imbatte fortunosamente in qualcuno che parla tedesco. Sulla costa meridionale soltanto a partire da Alanya verso ovest cambia completamente l’atmosfera (anche i prezzi!) perché, ovvio, ci sono i turisti stranieri, mentre in Anatolia orientale e centrale, in un mese, salvo in Cappadocia beninteso, ho incontrato soltanto un ex-insegnante statunitense in pensione, logorroico e un po’ strambo e, in cima al monte Nimrud, un esperto rumeno della Delegazione UE di Bucarest.

Monte Nimrud, Anatolia Centrale, rovine del Regno di Commagene

In certo modo i tragici avvenimenti di questi ultimi giorni di ottobre, con l’assalto deciso dal Sultano-macellaio alla democrazia del Rojava, mi confermano e spiegano meglio le ragioni del mio disagio, della distanza umana e culturale che provavo verso la media degli abitanti del centro-est-sud anatolico, nella maggioranza sostenitori dell’attuale Presidente. E’ prevalentemente un ambiente chiuso in un orizzonte che mi è sembrato di un’angustia insostenibile, dove non ho mai visto in vendita un giornale internazionale. La presenza ubiqua del volto di Ataturk che spuntava sui vetri delle finestre, pendeva affisso sulle pareti dei negozi, negli uffici, ovunque, era diventata ossessiva, come le immancabili bandiere a ogni piè sospinto. 

Silifke, salita al Castello

Ho visto quest'anno una Turchia che aveva poco a che fare con la Istanbul scanzonata e accogliente del 2013 e con le città dall’atmosfera fatata come Pergamo e Fethye della costa ovest che avevo conosciuto sei anni prima, una Turchia che non comunicava neppure con i suoi stessi tesori custoditi nei meravigliosi musei, con le civiltà sepolte alla radice della sua stessa storia.
Il massimo della sensazione di estraneità e di alterità culturale rispetto al contesto quotidiano turco è culminato in quel di Taşucu, piccolo centro balneare e terminal dell’unico traghetto da e verso Cipro, durante (e dopo) un kafkiano sequestro di quasi cinque ore nella stazione di polizia locale da parte di poliziotti naturalmente solo turcofoni, con l’accusa (ho capito dopo un’ora) di furto ai danni di un sedicente bagnino (il calunniatore), increscioso equivoco che descriverò successivamente a perpetuo memento per altri eventuali viaggiatori. Fate attenzione se passate da Taşucu!! Hic sunt leones.


Fiume di Silifke dove annegò Federico Barbarossa
Quanto a Cipro, certamente la comunicazione è stata più facile per una maggiore omogeneità culturale; le aree archeologiche non mi sono apparse isole in un mare alieno; a Iskele, vicino a Famagosta, ho incontrato una simpatica e accogliente gerente turca di un hotel boutique. Peccato che la spiaggia e la campagna intorno all’hotel, fino a cinque anni fa intatte, siano oggi assediate e squartate da società immobiliari, soprattutto russe, di una voracità senza limiti, responsabili della cementificazione di terreni su terreni e di una lottizzazione infinita: i temibili “property-developers”, gli odierni yeti.

Speculazione a Iskele, Cipro turca


 E peccato che Nicosia fosse sventrata qua e là da voragini sulle quali incombevano i colli mostruosi di lunghe gru, e che le facciate delle sopravvissute case tradizionali, con persiane accostate e scalini consumati dall’uso davanti al portoncino con battenti di ferro lavorato fossero soffocate e sovrastate da palazzacci sgraziati.
Nicosia parte greca
Quanto alla partizione dell’isola, mi è sembrato di percepire rassegnazione/accettazione per la situazione che dura da 45 anni, e ho constatato con un certo stupore che gli scarsi trasporti pubblici - che non servono l’interno dell’isola -  sono rigidamente mono-nazionali, e quindi non contemplino nessun transito tra zona greca e zona turca, per cui ad esempio da Larnaca, greca, non si può andare direttamente a Famagosta, turca, a pochi chilometri di distanza  a est sulla stessa costa meridionale, ma bisogna salire a Nicosia, passare alla parte turca e scendere di nuovo a sud. Le due popolazioni prima mescolate ovunque sono ora rigidamente divise e abitano nelle rispettive enclaves. C’è solo un villaggio, Pyla, abitato ancora sia da greci che da turchi, dove non sono riuscita ad andare per la complicazione degli orari del bus. E d’altra parte in che lingua avrei potuto comunicare non conoscendo né greco né turco? L’unico passaggio pedonale da un’area all’altra previo controllo passaporto nei due rispettivi posti di blocco è in una via centrale di Nicosia. 

A Larnaca, nell’ex quartiere turco, ci sono molte vecchie case ridotte a ruderi, con portoni sprangati, e qualche cartello di “vendesi” sulle mura rosicate.
Larnaca, strada vicino all'ex quartiere turco


Rovine di Salamina vicino a Famagosta, Cipro turca


[1] Nella primavera del 2013 c’era stato il tentativo di eliminare un parco a lato della grande piazza Taksim ,nel cuore di Istanbul per costruirvi palazzi o uffici, il che aveva innescato una violenta lotta popolare per difendere il verde e contro il potere autocratico che stava dietro alla decisione. Vi erano state morti e feriti. Ancora in agosto, durante la mia visita, c’erano frequenti sit-in e la polizia stazionava in permanenza nei pressi della piazza.
[2] Parola turca che designa la danza trascendentale dei dervisci rotanti.
[3] L’antica Caunos.

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