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lunedì 11 maggio 2020

CAFFE' CONFINAMENTO RICETTA INEDITA


CAFFE' A BAGNOMARIA! NEW!


Fornello del ripiano vetroceramica bruciato

Grazie ai due mesi passati in un monolocale di Lione dotato di vari confort moderni ma con un difettuccio a mio avviso non da poco, vale a dire assenza di abituale cucina economica dotata di fornelli che cuocciono gli alimenti con la ancestrale risorsa della fiamma, scoperta umana fondamentale, con fornelli facili da usare, ho avuto modo di arrivare a scoprire una ricetta che  ho deciso di rivelare.

In detto monolocale l'angolo cucina è dotato di futuribile ripiano in splendente vetroceramica sulla cui levigata superficie beige sono disegnati quattro cerchi di diametro diverso che riscaldano per induzione schiacciando l' accensione e  poi tondini con segni di più o meno aritmetici per aumentare o diminuire il calore. Facile in teoria ma vacci a capire come dosare i numeri a seconda delle vivande. Infatti ho capito come usarli dopo vari classici tentativi/errori, tra i quali una pentola trascurata a vantaggio di interessante lettura che ha provocato una orribile e ancora visibile orma scura ad anelli concentrici su uno dei cerchietti prima tutti impeccabil; dopo ore di strofinamenti con morbidissimi tessuti imbevuti di diavolerie del supermercato e infine di sapone di Marsiglia, le cicatrici sono ancora evidenti.
Premessa questa a mo' di presentazione: detesto queste inutili se pur eleganti innovazioni. C'è il fuoco, funziona da millenni, che bisogno c'è di elucubrare nuove diavolerie pure delicate da maneggiare?
Arrivo però al dunque: tale ostico elettrodomestico  mi ha permesso di scoprire una nuova ricetta per rallegrare il mattino degli amanti del caffè tra i quali mi anmovero: il caffè a bagnomaria, che non bolle e conserva tutta la sua fragranza. Io lo ammorbidisco con cacao amaro, ovviamente optional.
Preparazione:
Prendete una cuccuma con il manico lungo di quelle che si usano in Grecia e Turchia- io non l'ho di rame ma di acciaio inossidabile- metteteci dentro due cucchiaini colmi di caffè ovviamente Arabica, aggiungete almeno un cucchiaino di cacao amaro se amate la cioccolata altrimenti usate tre cucchiaini di caffè, poi mescolando con mestolino di legno aggiungete acqua fresca q.b. a seconda che vi piaccia più o.meno denso, e immergete la cuccuma piena in una casseruola con acqua calda avviata a bollore. Rimestate dolcemente di tanto in tanto mentre apparecchiate e lasciate sul fuoco qualche minuto mentre l'acqua bolle abbassando il fuoco (se lo avete) o il calore comunque.
Il caffè si raddensera' leggermente; togliete dal fornello, macchiate a piacere con latte intero tiepido e gustate. Eccezionale!

Forse ci si chiederà: perché non mettere direttamente la cuccuma sul fornello?  Qui cade l'asino. Ho inventato il metodo costretta dalle circostanze. La prima mattina del soggiorno nel monolocale misi tranquillamente la cuccuma piena sul cerchietto fatale inserendo il 5 come possibile calore moderato ma immantinente il 5 si trasformò in una F che indicava errore dato che la piastra rimaneva fredda. Ritirata la cuccuma spento ordigno e riacceso, ripetutamente, niente da fare. Il proprietario avvisato sentenziava: forse la superficie del fondo della cuccuma non è liscio. Un controllo rivelava scanalatura compromettente. Ecco la ragione. A questo punto il lampo: immersione in acqua bollente in casseruola con fondo piattissimo.
Ottimo risultato, caffè quasi migliore a bagnomaria. Provare per credere..



sabato 18 aprile 2020

I CANI DI BISSAU (2)

AVVOLTOI A COLAZIONE E CANI A CENA

Settembre volgeva al termine e l'ONG che pagava l'albergo avrebbe cessato di farlo a fine mese. Urgeva trovare una casa in affitto, ammobiliata per giunta, perché mai avrei avuto il tempo di occuparmi dell'acquisto di elettrodomestici e suppellettili. Cadde come manna dal cielo un annuncio di ricerca di affittuario per una casetta indipendente abbastanza centrale con possibilità di acquisto congiunto del mobilio completo. Fu affare fatto senza andare per il sottile. Ricordo che mi sembrò  esoso il prezzo del ferro da stiro,.
Trasloco emozionante il 1 ottobre. Pazienza per il cancelletto d'accesso ballerino, il giardino ingombro d'erbacce, i gradini sgretolati e l'interno buio a mezzogiorno, tutto in perfetta sintonia con l'atmosfera della città. Ereditai anche l'empregada, cioè la signora delle pulizie e l'indispensabile guardiano notturno, che fu licenziato dopo poche settimane in quanto probabilmente in combutta con un tristo figuro che fece capolino in sala alle tre di notte e, spaventato sorprendentemente dalle mie vive rimostranze (mi ero alzata casualmente per bere), scappò a gambe levate con la mia cartella di lavoro piena di documenti preziosi, inservibili per lui. Infatti la ritrovai in un fosso a poca distanza il mattino successivo all'incursione, che tuttavia mi agitò alquanto. Fortunatamente avevo avuto a che fare con un dilettante, pure fifone.

Mi chiesi se rientrando stremata la sera precedente dall'ufficio non avessi lasciato io stessa le chiavi nella serratura esterna del portoncino, poiché non vidi segno di effrazione. Chiaro che il guardiano dormisse o avesse lasciato fare sperando di guadagnarci qualcosa anche lui.

Altra disavventura mi accadde poco dopo, e l'unica responsabile fui io in tal caso.
Una sera mi accorsi di avere dimenticato una bottiglia di birra sul bancone del negozio vicino e decisi di andare a reclamarla. Uscii di fretta a piedi e mentre mi sbattevo dietro la porta sentii il tintinnio delle chiavi appese all'interno... Mi si gelo' il sangue. Le finestre erano tutte al pian terreno ma avevano sbarre. L'accesso al retro del giardinetto era sbarrato e vi si poteva giungere soltanto passando dal retro della cucina. Così non solo non trovai la birra ma rischiai di dare fuoco alla casa perché, come spesso accadeva, quella sera mancava la corrente ed io avevo acceso le solite candele. Scoppiò un temporale; dal marciapiede guardavo una fiammella alla finestra contorcersi ma non spegnersi al vento e maledicevo la birra e me stessa. 
La mattina seguente alle 7, quando finalmente rientrai in casa dopo una notte di incubi trascorsa come rifugiata su un divano nella casa di un collega medico del Follerau e grazie alla puntualità  dell'empregada, vidi che dei fogli pericolosamente vicini ad una candela ormai spenta erano bruciacchiati. Nella malasorte ebbi una bella fortuna: la pioggia che mi aveva infradiciata aveva anche salvato non solo la casetta ma anche il mio incarico e la mia reputazione professionale.

A prescindere da questi spiacevoli incidenti di percorso stavo cominciando a carburare ed entrare nel mío ruolo; ero più disinvolta nel ricevere visitatori e colleghi di altri progetti e nel coordinare i miei collaboratori.
Peccato che nell'aprire la porta ogni mattina verso le 8 il primo colpo d'occhio includesse un gran frullar d'ali nere come la pece sopra i ventri gonfi di enormi cassonetti simili a vasche, traboccanti di rifiuti d'ogni genere: erano volenterosi avvoltoi, che in Africa suppliscono insieme ai maiali (assenti nei paesi musulmani come la Guinea Bissau) alla carenza dei servizi dei netturbini. Orribili crani pelati curvi sul pasto e un vago fetore di marciume non erano un augurio di buongiorno gradito.
Si era inoltre in pieno sbocciare di casi di colera. 

Tuttavia quando telefonai dall'ufficio all'agenzia comunale responsabile per la raccolta rifiuti la mia sentita protesta fu accolta  e zittita da una lapidaria replica: signora, dispongo di un solo camioncino per tutta la città. Faccio quel che posso. Mi scusai e riappendendo il ricevitore mi augurai che l'appetito dei rapaci aumentasse. Non so se ciò si verificò ma certamente ricevettero un valido aiuto dalle gang di famelici cani randagi che al calar della notte iniziavano scorribande indiavolate davanti a casa e si contendevano i brandelli alimentari che attorniavano i cassonetti. Li sentivo ululare su e giù per la strada padroni incontrastati del territorio fino a tarda ora. Dopo cena li sorvegliavo dalle fessure delle persiane, nel timore che potessero sconfinare nel giardinetto. E poi mi abituai al loro concerto serale che si sovrapponeva alla musica che sgorgava salvifica dal Sony.
Ma quel che contava di più era che ormai intravedevo il cammino da percorrere per sviluppare la strategia per la seconda fase del progetto. Mi fu preziosa l'esperienza della mia militanza politica e il lavoro pedagogico in quanto  ex-insegnante di adolescenti. Alcuni contatti li ereditai dal mio predecessore: un'assistente sociale che aveva seguito e offerto supporto ad un gruppo di prostitute, un soldato in gamba rispettato e stimato dai commilitoni, e qualche "fanadore", cioè quegli uomini incaricati dei riti di iniziazione per i ragazzi al passaggio della pubertà, che tra le varie cerimonie e sessioni di formazione in vista della maturità sessuale comportava anche la circoncisione con strumenti spesso non sterilizzati e usati su vari individui. Con ovvio pericolo di infezioni, setticemie e non solo, di eventuale trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili (MST) e forse dell' HIV. In seguito il rischio di questo meccanismo di trasmissione per l’ HIV si rivelò pressoché vicino a zero. Il grosso delle seroconversioni dipendeva da rapporti eterosessuali, date le abitudini assai permissive sia maschili che femminili. Accantonai  per il momento la questione omosessualità, che non sarebbe stata facilmente affrontata. C'era già abbastanza carne al fuoco. Per quanto riguardava i riti di iniziazione delle ragazze, purtroppo questi culminavano con l'escissione più o meno  radicale del clitoride. Chi eseguiva l'operazione con coltelli "consacrati dalla tradizione" passati da madre a figlia erano le "fanadoras", donne anziane che godevano di reverenziale rispetto. Grazie all'assistente sociale riuscii a conoscerne una che abitava in un quartiere dela città (molte volte abitano nei villaggi), ad entrare nelle sue grazie e ottenerne la fiducia. Chi mi aiuto' nel comunicare con lei fu la cara Manuela, segretaria tuttofare, perché ancora non capivo bene il crioulo , una mistura di portoghese e lingue locali. In Guinea Bissau, che ha una superficie di sole 36.000 km2, ci sono almeno una decina di gruppi etnici con relativa lingua e cultura, l'una distinta dalle altre.

Nel frattempo cercavamo contatti con giovani nei quartieri e preparavamo una pubblicazione da distribuire nelle scuole, nella quale il piatto forte era la penosissima foto in bianco e nero di un uomo malato di AIDS terminale, scheletrico, che era stata fatta all'Ospedale del Raoul Follerau, in quanto ancora gran parte della popolazione non credeva all'esistenza di una malattia chiamata AIDS e trasmissibile principalmente per via sessuale. Le tesi cospirazioniste abbondavano.. Non so quanto quell'immagine fosse convincente. dato l'alto tasso di mortalità di TBC nella popolazione, ma la cosa era stata decisa prima del mio arrivo.

Sarebbe lungo elencare il repertorio di "credenze" negazioniste diffuse per spiegare la prevalenza delle MST: ricordo solo l'enjambent cioè lo scavalcare qualcosa di impuro a terra, come un rivolo  di urina animale ad esempio. " Ecco perché ho la gonorrea!" Frequentissimo sentire discorsi del genere a detta dei miei informatori.. Le MST provocano lesioni che facilitano la trasmissione delll'HIV.
Concludo la parentesi epidemiologica  spiegando che l'HIV2, diffuso in Guinea Bissau e in Africa occidentale, differisce dall'HIV1 (presente in Europa USA  Africa australe e centro-orientale e Asia) in quanto è meno aggressivo, ha un periodo di latenza più lungo e una minore efficienza nel contagio, anche perinatale.

Ormai il 1 dicembre, giorno dedicato all' AIDS, si avvicinava e molte delle ONG e perfino la Commissione per la lotta all'AIDS del Ministero della Sanità propendevano per cancellare le celebrazioni previste a causa dell' epidemia di colera. Noi del CECOMES, questo il nome del nostro progetto, ci eravamo spesi a preparare manifesti, volantini educativi, cartelloni e soprattutto avevamo già pagato un team di teatro di strada perché preparasse e rapprentasse una piece centrata sulle terribili conseguenze che la leggerezza di costumi può irmplicare. Avevamo già pubblicizzato l'avvenimento andando a Bafata, a circa 100 km da Bissau, tra la popolazione, nel cui centro culturale si dovevano svolgere le celebrazioni e la rappresentazione.Mi opposi fermamente quindi ad annullare il tutto. Temevamo fortemente tuttavia un clamoroso flop.

Il 30 novembre ci recammo con la sgangherata Land Rover a Bafata con tutto ill
materiale e un megafono, percorrendo la città reclamizzando l'evento con codazzo di ragazzini eccitati e urlanti. La sera andammo ad attaccare i manifesti in giro per la città e finalmente attendemmo  che accadesse ciò che doveva accadere.
Fu un insperato trionfo. Perfino il Primo Ministro arrivò e lodò l'iniziativa.
Unico neo nella mia giornata di gloria: oberata di lavoro avevo pregato l'amico Jorge funzionario OMS di far stampare lui i bigliettini d'imvito da spedire alle varie rappresentanze ufficiali e al governo. Il furbastro aveva  ottemperato "dimenticando" di sottolineare  il nostro essenziale contributo come progetto UE. Questo mi fu più tardi gentilmente rimproverato dallo stesso Delegato: tacqui, troppo lungo spiegare.
Ma fu una grande soddisfazione che mi fece superare a cuor leggero le ultime amenità guineennes: numerose invasioni serali su gran parte del pavimento di casa di giganteschi grilli neri (mi sembrarono grilli) da sterminare imprecando con gli zoccoli Scholls  prima di pensare alla cena, e per ultimo regalo il taglio della luce per errore della società elettrica effettuato opportunanemente un venerdì sera per tutto un fine settimana.

Partii da Bissau poco prima di Natale e giurai a me stessa che sarei si tornata a lavorarci ma non certo come capo progetto. Ed infatti nel 1995 e nel 1996/7 mi occupai della parte socio- antropologica e della componente di educazione sanitaria. Peccato che in occasione della Pasqua del 1995 vissi l’emozionante esperienza di una rapina in casa a mano armata. Ma questa è un’altra storia.

mercoledì 8 aprile 2020

REQUIEM PER UN'AMICA

REQUIEM PER UN'AMICA IN CAMMINO VERSO L'ADE

Aqsu boliviano


Ci siamo conosciute nel 1994. La prima immagine ancora vivida che ho di te è  quella di un visetto con un'espressione tra maliziosa e curiosa che fa capolino dalla porta appena schiusa di un ufficio del CESTAS, l'ONG che ci aveva arruolato per una missione in Guinea Bissau, breve la tua, più lunga la mia.
Era primavera inoltrata a Bologna e il briefing è durato qualche giorno. Abbiamo fatto lunghe passeggiate andando o tornando dal ristorante la sera in strade anonime e grigiastre: non era bella la zona intorno all'ufficio. Poi ci fu la prova del fuoco che sigillò la nostra nascente amicizia. Arrivate insieme a Bissau restammo di stucco di fronte a una città che sembrava sul punto di sgretolarsi, tanto vetuste e cadenti erano strade, case, piazze: trasudavano una tristezza quasi immane, arcana. Ben altra  era l'immagine tua e mia dell'Africa finora conosciuta, tu in Mozambico, io sia in Mozambico che in Africa Occidentale, così variopinta e festosa pur nella povertà di case in banco. Fu un'esperienza iniziatica e sofferta. Ricordo un solo momento di esplosione nostra di allegria ironica quando, invitate a cena da Jorge..., funzionario OMS, non so cosa ci prese e saltammo su un tavolo o un qualche aggeggio ad almeno un metro dal pavimento e guardandoci ridendo cominciammo a cantare LOTTA LOTTA DI LUNGA DURATA  ecc agitando il pugno chiuso. Jorge e la moglie, una paciosa congolese, devono aver pensato: ma che matte mandano dall'Italia come esperte!

Ci vedemmo l'estate successiva a Salinas, poi a Itaca, eravamo amiche di viaggio e di vacanze assolate. Infine ti innamorasti di Sirolo, che era il luogo che preferivo quando rimanevo in Italia d'estate.
Per fortuna l'hai conosciuta prima della criminale lottizzazione che l'ha sfigurata e squartata negli ultimi dieci anni. Arrivavi appena ti avvisavo che stavano cominciando a sbocciare le ginestre. Sentivo al telefono la tua eccitazione e ti vedevo brillare gli occhi mentre pregustavi il piacere di tuffarti in acque ancora decenti guardando la rupe scoscesa che diventa in giugno un immenso fascio di fiori gialli immersi nel verde cupo dei pini e dei lecci. O diventava? Non ci vado più da anni.
Scendevamo all'Hotel Beatrice, un po' fuori dall'abitato, e prendevamo una stanza doppia che guardava verso la campagna, e il mare si vedeva appena, sotto la rupe a picco. La sera dopo cena risalivamo la strada verso il campo di grano ormai maturo lì a due passi per vedere le lucciole zigzaganti nel buio.
E la giornata intera la passavamo al mare: tu ti piazzavi su un lettino al sole, io preferivo il mio ombrelletto e una capulana  sui sassi, entrambe con libro e giornale. 
Poi il pendolo oscillava verso Roma. Quante volte mi hai accolto in partenza o di ritorno dalle mie missioni di lavoro, cui tu avevi rinunciato per dedicarti alla scuola. Quanti brindisi  con vino rosso e sottofondo musicale, quante passeggiate poi se la serata era calda a Santa Maria di Trastevere.  

Poi una mattina di gennaio ti ho chiamato da Conakry e mi hai annunciato la diagnosi della tua malattia. Avevo notato negli ultimi incontri una strana lentezza, una volta mi ero anche arrabbiata in
montagna perché rimanevi sempre indietro mentre dovevamo affrettarci per prendere l'ultimo autobus per l'hotel. E continuavi a ripetere: ma perché mi devi far correre così? Non capivo che ti stesse succedendo.
È arrivata la malattia a spegnere poco a poco il tuo luminoso sorriso, il brillio di gioia e piacere nei tuoi occhi bruni, a bloccare la tua sete di esplorare ancora e ancora il mondo.
Addio cara Daniela, Addio amica.



giovedì 2 aprile 2020

I CANI DI BISSAU

1994: A BISSAU TRA HIV E COLERA*

Era la fine di agosto e dopo un anno di disoccupazione angosciante attendevo la telefonata di una ONG specializzata in interventi sanitari che mi desse il via libera per partire per la Guinea Bissau, dove era già in piedi un loro intervento di educazione sanitaria a livello nazionale per la prevenzione dell'infezione da HIV, pericolosamente diffusa in ampi strati della popolazione soprattutto urbana. Avevo passato tutta l'estate a studiare a tempo pieno per prepararmi all'incarico di capo progetto in un campo per me nuovo, specifico ma anche complesso, di natura non solo sanitaria ma anche sociale e antropologica, e a compiti di gestione e amministrazione.
Credo fosse il 30 di agosto, quando la maggior parte dei rientri dalle ferie si esauriva, che infine misi le valigie sul treno per Roma e poi sull'aereo per Bissau: incarico  provvisorio di tre mesi in vista di rinnovo per successivi tre anni una volta che fosse stata approvata la seconda fase del progetto.

Bissau! Avevo visto capitali africane malconce, villaggi di case in banco (terra impastata con paglia e spesso sterco di vacca), discariche urbane a montagne russe chiamate parchi giochi infantili da un ironico collega per sdrammatizzare, carreggiate e piste butterate, ma una capitale così triste e cadente no, non l'avevo ancora vista. Una tristezza di impronta tutta lusitana, sulla quale sembrava alitare l'eco dei fados, quelle melodie lamentose cariche di una saudade (nostalgia in portoghese) di non si sa cosa. Il fronte del porto, con facciate dilavate da anni di pioggia e fiorite di muffa che contemplavano cieche sfasciumi arrugginiti di scafi da tempo destinati alla marcescenza erano un pugno nello stomaco, una piaga per l'occhio. E per il resto l'oceano era invisibile, una città di mare senza mare, dove soltanto lontano, in periferia, si intravedeva  qualcosa di simile a una superficie acquea ingombra di mangrovie e di fango.

Rivedo la strada che dall"aeroporto arrivava dritta in centro, piena di buche, l'albergo dove trascorsi il primo mese del mio soggiorno, mi rivedo arrivare con  l'autista più scheletrico  e silenzioso che abbia mai avuto in una vecchia  Land Rover a due posti, scomodissima, nello spiazzo dell'Ospedale Raoul Follerau  (dove avevamo l'ufficio) per malati di TBC e di AIDS. Era presente anche l'ONG  Raoul Follerau che svolgeva un intervento clinico. Praticamente tutti i tubercolotici erano malati di AIDS conclamato. E condannati.
Chi ben comincia... mi fu piuttosto difficile mantenere alto il morale e imprimere un abbrivio ottimistico ai miei collaboratori, tutti uomini i tecnici e anche il partner  principale, il cosiddetto omologo, il trait-d'union con la Commissione del Ministero della Sanità per la lotta all'AIDS.
Avevamo una stamperia per produrre manifesti con serigrafia, computer, telefono e fax, ciclostile, carta di vario formato, non male. Il mio predecessore, più tecnologico di me, in pochi giorni,prima di rientrare in Italia, mi dette una grossolana infarinatura su tutto ciò che aveva fatto in tre anni mettendo a dura prova la mia capacità di assorbire rapidamente una montagna di informazioni dati nomi strutture burocratiche nazionali e internazionali compresi gli arcani rapporti con il nostro donatore, la Commissione Europea, incarnata localmente dalla Delegazione e soprattutto dal Delegato, rapporto da coltivare con la massima cura e scaltrezza. Ogni sera avevo mal di testa. Infine l'ex capo progetto parti' e mi trovai "sola al comando". Con l'aiuto, per fortuna, di una volenterosa ed efficiente segretaria, moglie del capo della Federazione sindacale dei lavoratori della Guinea, ufficialmente socialista e quindi con una unica Federazione, la cui conoscenza mi fu preziosa per i contatti con la classe operaia, Cara Manuela, dove sei adesso?

Il mattino alle 7 scendevo a far colazione e il mio sorriso di bom dia si spegneva entrando nella sala dove lo splendore del sole già caldo si affiocava alle luci smunte di pesanti lampadari accesi perché polverosi tendaggi di velluto cremisi  perversamente provvedevano ad occultare ogni raggio esterno.  Stessa luce smorta la sera sulla parca cena. Ma anche il sole esitava spesso a mostrarsi e la stagione delle piogge quell'anno fu particolarmente prodiga tra temporali acquazzoni e rovesci pervicaci che scavavano sempre più le buche dell'asse principale della città, il mio percorso mattina e sera. Ormai guidavo io e per molti giorni fui tormentata dalle richieste pecuniarie della polizia stradale che cercava pretesti assurdi per spillarmi quattrini, finché non sbottai indignata e da allora mi ignorarono.

Su tale sfondo, mentre mi arrabattavo per far fronte sia a incombenze quotidiane e incontri ufficiali che per capire quale strategia proporre per la fase due del progetto alla Commissione e alla ONG, digerendo contemporaneamente faldoni su faldoni di documenti e studi, cominciarono a serpeggiare  quelli che furono inizialmente liquidati come "boatos", voci ingannevoli, rumours in inglese, di un aumento di casi di colera, colera che è endemico in quasi tutti i paesi africani ma che di tanto in tanto,  principalmente nella stagione delle piogge, diviene epidemico. Intanto gli studi epidemiologici che divoravo a decine concordavano nel valutare minacciosa l'estensione dell'infezione da HIV2 (spiegherò brevemente la differenza tra HIV1 e 2  nella seconda parte del post) in Guinea Bissau, al 10% nella popolazione generale e molto più alta tra i nostri (del progetto) gruppi target: prostitute, militari e giovani celibi sotto i 25 anni. E i boatos si tradussero presto in numeri sulle pagine dei giornali e nelle riunioni al Ministero della Sanità.

* Data la difficoltà di inserire molte foto nel testo e predisporre una impaginazione decente usando la ridotta superficie di un cellulare, ho deciso di rimandare il resoconto del mio viaggio in Ecuador, e rivangare ricordi di altri momenti difficili, ben più difficili dell'attuale personalmente, della mia lunga carriera di cooperante internazionale. E qui rievoco forse "il più peggiore".

domenica 22 marzo 2020

Dal cuore verde del Sudamerica al paese degli spettri

IL PAESE DEGLI SPETTRI
Cattedrale St Jean Lione
Sono partita da casa il 9 gennaio e dall'Italia il giorno successivo alla scoperta dell'Ecuador e, poiché amo le date simmetriche, ho fissato il ritorno per il 10 marzo così da poter godere dei primi tepori del sole primaverile. E  cogliere viole mammole. Come sempre dopo l'uggia delle radicali pulizie casalinghe e chili di polvere liquidata anticipavo il piacere degli incontri amicali e familiari.
Surprise surprise, come dicono gli anglosassoni: sbarcata a CDG Parigi dopo una notte interminabile  constato che il mio volo per Torino è stato annullato. Dopo la  trafila per ricevere buono hotel + cena in un luogo la cui ubicazione si rivelerà ardua da scovare (1 navette e due autobus) mi riprogrammano il volo per il mattino successivo con alzataccia all'alba.

È il fatidico 12 marzo e alle 4 del mattino, dopo seconda notte insonne, leggo sgomenta che tutta l'Italia è ormai zona rossa con elenco dei divieti annessi e connessi. La mia intenzione era di fermarmi in hotel a Torino per riposare le stanchissime ossa e cominciare a scendere il giorno dopo lentamente verso la mia meta distante circa 500 km lungo la costa occidentale per  poi tagliare da Chiusi verso casa.
Piano ora irrealizzabile, inoltre la prospettiva di non poter camminare le mie due o tre ore quasi quotidiane mi raggela, soprattutto dopo due mesi di montagne foreste e Pacifico. 

Decido d'istinto di annullare il volo per il momento e riposarmi in qualche posto in Francia, non a Parigi, che è ancora fredda e umida.
Mi viene in mente un paesino nel centro del paese dove un'amica aveva la casa anni fa, e dopo aver faticosamente recuperato la mia valigetta già sulla rotta dell'imbarco mi dirigo verso la stazione ferroviaria dell'aeroporto.

C'è una grande confusione perché moltissimi americani hanno anche loro annullato il volo ma fortunatamente all'ufficio SNCF non c'è ressa e apprendo che la mia casuale meta è a 8 ore di distanza. Il primo treno in partenza è un TGV per Lione e quindi che Lione sia.
Ricordo che a Lione in dicembre c'è la festa delle luci e mi tornano in mente immagini di monumenti fosforescenti e di un fiume scintillante. Una filastrocca portoghese evocata spesso  scherzosamente nel 1996 da un infermiere di Porto mio collega in Angola diceva così: 
"Joao Vermelho foi a praia/ para ver como que e' " (JV andò alla spiaggia per vedere com'è). Mancano accenti che scrivendo su una ridottissima superficie di IPhone sono impossibili da reperire.
Così vado a vedere come è Lione.
Aiuto era sparito tutto, vado al sodo.

In poco più di due ore il TGV (biglietto salatissimo) attraversa la pianura francese, visione riposante, e da recessi reconditi della memoria sorge un'immagine sepolta da decenni di una analoga traversata in senso inverso alla volta della Manica e di Bornemouth di me diciannovenne emozionata alla prima sortita in terra albionica. Ero in una cuccetta, chissà se da sola o con altri, e mi ero svegliata al chiarore lunare che illuminava il finestrino semiaperto sulla notte. Ero rimasta affascinata da quella distesa dorata che mi pareva sconfinata rispetto ai paesaggi italiani, con boschi lontanissimi e nessuna abitazione. Incrocio improvviso tra visioni attuali e remote, un balsamo dolcissimo dopo due giorni e due notti di agitazione e sballottamenti. Un passato che riprende vita per pochi attimi e vola via come una falena alla luce del mattino.

Così pacificata sbarco alla stazione centrale di Lione e non mi par vero di camminare con i miei malconci bagagli in un sole splendido. Riprendo vigore.  Non ho idea di dove volgere i passi e vado a naso, poi comincio a chiedere indicazioni. Non ho neppure internet perché il mio contratto Vodafone inizia l'indomani. E a forza di chiedere e chiedere  approdo all'Hotel de Bretagne e il giorno dopo ad uno studio in Place Carnot. Per pochi giorni, dico al proprietario. Nel doman non v'è certezza, si sa. Infatti ora non ho idea di quanto l'esilio lyonnais durerà e non mi resta che rassegnarmi a rievocare il viaggio nel cuore verde del Sudamerica su uno schermo di pochi centimetri quadrati. Inchallah.

domenica 5 gennaio 2020

NOME IN CODICE: CUCKOO


LA MACCHINAZIONE CRIMINALE ALLA RADICE DELL’ODIERNO CAOS IN M.O.
Base di Bagram in Afghanista: soldati USA guardano decollare l'aereo che porta Cuckoo in Egitto (AFP)


“Saddam Hussein ha distrutto le sue ultime armi di distruzione di massa più di dieci anni fa e la sua capacità di fabbricarne altre è scemata di anno in anno fino all’invasione dell’Irak, secondo un esauriente rapporto degli Stati Uniti diffuso ieri”[1]. L’articolo di Julian Borger corrispondente da Washington per il Guardian è del 7 ottobre 2004; il 6 ottobre un rapporto ufficiale statunitense certificava che l’invasione di un paese sovrano – e noi oggi possiamo aggiungere, la sua disintegrazione e riduzione a invivibile stato fantoccio- era stata motivata da un equivoco, uno spiacevole malinteso insomma. O, come vedremo, da una bugia trasformata in diabolica macchinazione.
Se a distanza di un anno e mezzo da quel 20 marzo del 2003, inizio della frantumazione dell’Irak, quanto già ampiamente sospettato  da tempo da esperti internazionali e da ONG e affermato dalla stessa Defense Intelligence Agency (DIA) degli Stati Uniti[2] era ormai verità accertata e assimilata poi rapidamente da un’opinione pubblica mondiale, forse non altrettanto note sono le precise circostanze dell’inganno atroce e il coinvolgimento non solo dell’intelligence USA ma anche, e fino in fondo, dei servizi segreti e del Foreign Office del Regno Unito. Oltre che dei due principali attori: i due Presidenti guerrieri da un lato e dall’altro dell’Atlantico. 
 
Colin Powell al Consiglio di Sicurezza delle N.U.

Alla luce di quanto sta avvenendo oggi in Irak, della rivolta che infiamma il paese da due mesi con centinaia di morti e dell’incendio che ancora una volta si propaga in Medio Oriente[3] credo che valga la pena rispolverare questo articolo apparso il 6 novembre 2018 su MEE, giornale online assai informato su quella regione del mondo.[4] Quanto segue è una traduzione adattata (e accorciata) dell’articolo citato a piè di pagina, ovviamente reperibile su Internet.
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“Agenzie britanniche di Intelligence fornirono una serie di domande da porre a chi interrogava una persona sospettata di atti terroristici che essi sapevano essere stata torturata in seguito agli attentati del 9 settembre 2001, e in seguito dei ministri (sic) si fondarono sulle risposte del prigioniero per giustificare l’invasione del 2003 dell’Irak”. 

In questa frase c’è già tutto: si tortura un prigioniero, questi non ne può più e si inventa ciò che capisce che i suoi aguzzini vogliono che egli dica, e su queste balle si giustifica la distruzione di un’intera nazione con un numero infinito di morti. Andiamo avanti.
“Compulsando attentamente i documenti ufficiali censurati, MEE ha stabilito che un funzionario del M16[5]era al corrente che funzionari della C.I.A. avevano messo Ibn al-Sheikh al Libi dentro una bara sigillata in una prigione USA situata in Afghanistan. Il funzionario britannico aveva constatato che la bara era stata caricata su un camion e poi su un aereo decollato per l’Egitto. In un rapporto relativo a questo fatto inviato al quartier generale di Londra dell’M16, il funzionario e i suoi colleghi scrivevano che avevano avuto la tentazione di denunciare il trattamento subito da Libi, ma non dissero nulla: “Questo incidente rafforzò in noi la sensazione inquietante di stare operando in un vuoto legale”, dissero. E malgrado sapessero che Libi era stato spedito in Egitto in una bara e malgrado fossero consapevoli della mancanza di rispetto dei diritti umani in questo paese, sia l’M16 che l’M15 decisero di passare (all’Egitto) una serie di domande da fare al prigioniero, e continuarono a ricevere rapporti sulle risposte ricevute da costui.
Libi, alias Cuckoo

“Sotto tortura, Libi disse ai suoi aguzzini di legami tra al-Qaeda e il programma nucleare del presidente dell’Irak Saddam Hussein: egli “rivelò”[6] che tre militanti dell’organizzazione erano stati inviati in Irak per essere addestrati. Quando in seguito Libi fu trasferito di nuovo in una prigione della C.I.A. affermò che si era inventato tutto per sfuggire a ulteriori torture. Ma ormai le sue affermazioni (false) erano state usate per giustificare l’invasione irachena, ed erano state inserite in un discorso che il Segretario di Stato Colin Powell fece al Consiglio di Sicurezza delle N.U. il 5 febbraio 2003, poche settimane prima dell’attacco USA in Irak, mentre nello stesso giorno il Primo Ministro Tony Blair aveva asserito in sede parlamentare che c’erano senza ombra di dubbio (unquestionably) dei legami tra al-Qaeda e l’Irak. Le parole di Blair erano state: “Sarebbe sbagliato affermare che non c’è prova di legami tra al-Qaeda e il regime iracheno”[7], e aggiungeva: “Ci sono prove di questi legami. Non è chiaro fino a che punto ma ci sono informazioni che continuano ad arrivarci sulla questione”. E poi ancora: “Io credo che il sospetto della presenza (the case) delle armi di distruzione di massa sia fondato. E’ chiaro che Saddam le possiede”.
 
Libi nel 2001 (MEE)

“Dopo l’invasione fu presto chiaro che il programma di armi di distruzione di massa fosse stato da tempo archiviato, e anche che non ci fossero rapporti tra al-Qaeda e l’Irak. Ma il ruolo del Regno Unito nell’interrogatorio di Libi, l’uomo che fu torturato al punto da fornire una falsa giustificazione per la guerra, non era venuto finora alla luce.
“Libi, il cui vero nome era Ali Muhammad Abdul Aziz al-Fakheri, era nato in Libia nel 1963. Pare che abbia lasciato il suo paese a metà anni ’80 e abbia viaggiato nell’Africa settentrionale prima di stabilirsi in Arabia Saudita dove si era unito alle forze che combattevano l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. Sembra che fosse a capo di un campo di addestramento militare patrocinato dagli Stati Uniti chiamato Khalden Military Camp e che poi, dopo la fine dell’invasione sovietica, continuasse ad offrire lezioni su esplosivi e uso di armi. Fu catturato nel 2001[8] mentre tentava di fuggire dall’Afghanistan e di passare in Pakistan: a inizio gennaio 2002 era nelle mani degli USA. E già in quest’epoca alti dirigenti dell’amministrazione americana erano alla ricerca di possibili legami tra al-Qaeda e l’Irak.
Statua di Saddam Hussein abbattuta, marzo 2003


“Già il 14 settembre, 3 giorni dopo l’attacco alle Torri, il Presidente US George W. Bush aveva accennato alla possibilità di un collegamento tra Osama Bin Laden e Saddam Hussein durante una telefonata a Tony Blair, come emerso nella Chilcot Inquiry[9]. Blair aveva risposto che avrebbe avuto bisogno di prove inconfutabili (compelling evidence) prima di accettare un’ipotesi del genere. La C.I.A. aveva già affermato che prove di legami tra l’Irak e al-Qaeda poggiavano su informazioni frammentarie, contraddittorie, provenienti da fonti di dubbia affidabilità. Però durante l’estate 2002 un certo Richard Dearlove, capo dell’M16, era ritornato da un viaggio a Washington con notizie inquietanti: aveva informato Blair che “informazioni e fatti si stavano mettendo in piedi (were being fixed) da parte degli Stati Uniti nella prospettiva di scalzare dal potere Saddam Hussein”. La Chilcot Inquiry rivelò che, cinque giorni dopo aver ricevuto questa informazione, Blair scrisse a Bush che nel costruire una solida argomentazione per una dichiarazione di guerra avrebbero dovuto “aggiungere un legame con al-Qaeda” a Saddam, poiché ciò sarebbe stato “molto persuasivo da noi nel Regno Unito”. A settembre il direttore della CIA George Tenet diceva ai senatori USA che “ci sono prove che l’Irak abbia addestrato in vari modi miliziani di al-Qaeda – al combattimento, nella fabbricazione di bombe e a livello chimico, biologico, radiologico (sic) e nucleare”[10]. In ottobre Bush arringava così il suo pubblico in Ohio: “Abbiamo saputo che l’Irak ha addestrato miliziani di al-Qaeda a fabbricare bombe, veleni e gas micidiali”[11]
21 Marzo 2003 a Baghdad, foto The Atlantic


“In seguito, il Comitato di Intelligence del Senato USA avrebbe scoperto che esisteva una unica fonte[12]dietro a tutte queste bugie: Libi, l’uomo che l’M16 aveva visto mentre lo spedivano rinchiuso in una bara verso l’Egitto.
“Dopo la sua cattura al confine pakistano Libi era stato portato nella nuova prigione USA di Bagram, una base militare ex-sovietica a nord di Kabul. Ciò che seguì è descritto esaurientemente in un paio di rapporti molto imbarazzanti sul coinvolgimento britannico nelle “extraordinary renditions” e il maltrattamento dei prigionieri pubblicati nel giugno scorso (2018) dal Comitato di Intelligence and Security (ISC) del Parlamento britannico, incaricato della supervisione delle agenzie di intelligence segrete. Infatti, mentre il coinvolgimento USA in tali pratiche è stato rivelato da tempo, il ruolo dei servizi UK era stato smentito e messo in sordina per anni. Solo quest’anno (2018), dopo le rivelazioni di vari media e un’inchiesta bloccata, sono emersi centinaia di casi di sequestri, torture e trattamenti disumani, spesso con il benestare esplicito a livello ministeriale.
A questo punto l’articolo di MEE riporta copia di “case studies”, rapporti con nomi in codice e in particolare quello relativo alla vicenda di Libi, chiamato in codice Cuckoo, spedito ben sigillato a “Cupar”, cioè in Egitto. Anche il nome del funzionario dell’M16 che lo vide “imbarcarsi” è riportato in codice: è chiamato Baird. I riferimenti alla C.I.A. sono censurati. Si sottolinea ancora una volta come gli agenti segreti britannici, pur non potendo ignorare “il vuoto legale” e le violazioni criminali compiute dai colleghi USA continuarono a inviare “domande” da porre al prigioniero, ormai in una cella egiziana, e a ricevere e utilizzare le sue risposte. La redazione del MEE è arrivata all’identificazione di al-Libi attraverso una serie di incroci tra il rapporto del Comitato parlamentare UK di Intelligence and Security e le deposizioni di altri prigionieri: Cuckoo è Libi.
Riporto ancora una “lamentela” dell’M16 alle autorità USA: “Sembrava (it sounded) che il trattamento (subito da Libi) potesse essere al di sotto degli standard che noi tutti riconosciamo come appropriati”. Una frase che dice tutto.
Novembre 2019, Tahrir square, Baghdad, candele per i caduti della rivolta, da Al Jazeera

L’unico alto dirigente che ammise in pubblico le sue responsabilità nella macchinazione che portò alla guerra sulla base delle invenzioni di un solo prigioniero buttate là per fermare le torture che stava subendo fu Colin Powell nel 2005. I principali responsabili del terribile inganno e delle catastrofi che ne derivarono, i due allora presidenti rispettivamente degli Stati Uniti e del Regno Unito, hanno continuato la loro vita di pensionati d’oro indisturbati.
Al-Libi ha finito i suoi giorni nel 2009 in una cella libica, ufficialmente per suicidio, ma Human Rights Watch afferma che nelle foto che ha potuto visionare fatte da agenti del carcere libico si constata che su varie parti del corpo erano presenti lividi.
“Nessun altro prigioniero aveva mai fatto alcuna menzione di legami tra al-Qaeda e Saddam Hussein, e dopo la guerra la Defense Intelligence Agency esaminò 34 milioni di documenti del governo iracheno non trovando alcuna traccia di tale collegamento”. Il topolino ha partorito la montagna.




[1] https://www.theguardian.com/world/2004/oct/07/usa.iraq1
[2] Despite recent information from a senior al-Qaeda trainer currently in custody, all-source intelligence has not confirmed Iraq’s involvement,” the agency said in an analysis completed seven weeks after Libi arrived in Egypt.”
[3] Tengo a precisare che uso questa denominazione geografica con riluttanza, in quanto è evidentemente un parto di un punto di vista imperialista e occidentale, così come la locuzione “Estremo Oriente”. Estremo da dove?
[5] Secret Intelligence Service britannico, si occupano di estero
[6] Le virgolette sono mie.
[8] Invasione dell’Afghanistan da parte degli USA in seguito all’attentato dell’11 settembre.
[9] L’inchiesta ufficiale britannica per chiarire le circostanze dietro l’invasione dell’Irak.
[10] In fondo all’articolo del MEE si precisa che Libi, alla domanda se l’addestramento avesse previsto l’uso di antrace, non seppe rispondere perché non capiva di cosa stessero parlando gli agenti che lo interrogavano in Egitto, non capiva cosa fossero le armi biologiche. Ciononostante Bush non esitò a inventare di sana pianta i “gas micidiali”.
[12] Grassetto mio.