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sabato 23 novembre 2013

PUNTI CALDI


FRIA, DADAAB, KABUL, VARSAVIA, TACLOBAN, VANUATU, OGLIASTRA
 
Campo di rifugiati, Darfur


Che cosa hanno in comune questi luoghi sparsi ai quattro angoli del mondo? Cercherò di spiegare  in poche righe perché li raggruppo.

Dadaab è il più grande campo di rifugiati al mondo: situato nel nord del Kenya: nel 2012 ospitava 465.000 rifugiati somali (www.care.org) e non è detto che non siano aumentati. Zakaria Yusuf, analista somalo dell’International Crisis Group, dopo la riunione del 30 ottobre del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, opinava che la cosa migliore da fare  fosse aumentare “risorse” e “livello di truppe” di AMISOM, la missione dell’Unione Africana che dal 2007 cerca di “stabilizzare” la Somalia. In ultima istanza, alla fine dell’intervista, consente che è urgente che “the solution is not in increasing AMISOM troops alone, but rather reconciliation and talks among Somalis.” (http://www.crisisgroup.org/) Che bell’idea.

Fria è una città a nord di Conakry, capitale della Guinea, dove in settembre si sono tenute le più volte rimandate elezioni legislative dopo anni di sospensione di un regime parlamentare. Neanche a dirlo, l’opposizione, e con ragioni che sembrano più che fondate, contesta i risultati favorevoli al partito del presidente Alpha Condé e annuncia per lunedì 25 novembre (2013) manifestazioni di protesta. Nel frattempo, gli abitanti di Fria protestano perché da una settimana non hanno né acqua né energia elettrica e la polizia spara facendo 11 feriti (http://www.anouslaguinee.com). Notare che gli indicatori sociali della Guinea sono tra i peggiori del mondo.

A Kabul si è aperta qualche giorno fa la loya jirga per discutere dell’assetto del paese dopo il 2014 e soprattutto del patto di sicurezza con gli USA, che comporterà la continuazione dell’impunità per le migliaia di truppe americane stanziate, e presumibilmente della licenza di uccidere civili per sbaglio.

Tacloban, isola di Leyte nell’arcipelago delle Filippine, dove lavorai più di 20 anni fa per una missione di cooperazione internazionale e che ricordo come un paesaggio verde e ridente, è stata rasa a zero da un tifone di violenza senza precedenti, causato fondamentalmente dal riscaldamento eccessivo delle acque del Pacifico. Più di cinquemila almeno i morti.

L’arcipelago di Vanuatu è uno dei tanti gruppi di isole perdute nel Pacifico meridionale e uno dei luoghi della terra più minacciato dal riscaldamento climatico. Rischia semplicemente l’estinzione per sommersione.

Al vertice sul clima di  Varsavia  i delegati  stanno come sempre trascinandosi in discussioni “fuori orario” per raggiungere uno straccio di compromesso che sarà come i precedenti per lo più disatteso. Nel 2013 si è raggiunto un picco di emissioni di gas serra, quasi 40 miliardi di tonnellate di CO2, il 2,1% in più rispetto al 2012 (Le Monde, 20 novembre 2013). Si cominciò con Rio nel 1992, si dovevano rispettare i livelli di emissione precedenti il 1990, mi pare di ricordare (United Nations Framework Convention on Climate Change).

Tralascio le quisquilie italiane: mentre la povertà e la disoccupazione aumentano, e cresce quello che i francesi chiamano “la grogne” e il “ras-le-bol”,cioè il "nonsenepuòpiù" che confina pericolosamente con un qualunquismo destrorso,  il nostro Presidente del Consiglio si congratula con se stesso per “i conti a posto”. Intanto la Sardegna piange i suoi morti per un ciclone la cui violenza è stata resa letale per gli squarci inflitti a un territorio utilizzato come Bancomat.

La nave dei folli continua la sua corsa. Riusciremo a fermarla e a farle mutare  rotta?


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