DA UN VERBO INGLESE AL FAUST: RICORDI D'UNIVERSITA'
Chissà se il cuoco ha "basted" il maialino? |
Stamattina, all’improvviso e zip, mentre attendevo a consuete e sgradevoli occupazioni domestiche, mi è venuto in mente un verbo inglese di uso non quotidiano, che senz’altro non ho mai usato nelle mie frequentazioni anglosassoni né tantomeno culinarie: to baste. Per assicurarmi che il ricordo del suo significato fosse corretto sono andata a controllarlo sull’Oxford. Ebbene si: era proprio lui. Un verbo che significa: versare il sugo di una carne che si sta arrostendo, o il suo grasso sciolto, precedentemente raccolto in una scodella, con un mestolino sulla carne stessa mentre gira sullo spiedo per evitare di farla seccare troppo. Un verbo antico, già di uso medievale (XV° sec.) per indicare l’operazione gastronomica davanti al girarrosto. E con il verbo emergeva dalla nebbia di più di quaranta anni trascorsi da allora l’immagine di chi ci aveva con meticolosa precisione illustrato l’arcano, probabilmente commentando il corso monografico su “Piers Plowman”, un poema allegorico medioevale anglosassone: il professor Casieri. Esperto di letteratura anglosassone e affini alla Bocconi, Facoltà di Lingue, tosto abolita dopo l’occupazione del ’68, eravamo rampolli degeneri della buona borghesia. O cattiva. Il professor Casieri, senza dubbio ormai buonanima, dato che già allora era alquanto attempato e cattedratico, ci aveva descritto la suddetta operazione con indescrivibile amore, un amore sviscerato per le sottigliezze della lingua e non certo per la buona cucina, almeno apparentemente. E citava, ad esempio di dedizione incondizionata al culto del sapere per il sapere, che per lui si concretizzava in amore per la lingua e la filologia, come fine sommo, onnicomprensivo e sufficiente a riempire una vita, l’esempio di un suo collega - o sarà stato egli stesso? - che aveva dedicato anni e anni di sudata carriera alla traduzione di un dizionario di non so più qual lingua morta in un altro idioma altrettanto morto in quanto strumento di comunicazione tra viventi negli ultimi mille anni (almeno). Mi aveva molto colpito, l’idea di quella oscura e nobile fatica, diconsi anni di vita spesi per creare uno strumento interpretativo che forse venti studiosi in futuro avrebbero potuto usare, o forse anche trenta, che pacchia. E di tanto in tanto in questi quaranta anni la figura di un Faust in una soffitta polverosa immerso tra scartoffie era già emersa, disturbante devo dire, perché mi dicevo che io no, non sarei mai stata capace di tale eroico sforzo per puro amore di scienza, e tale pensiero ancorché buonsensaio mi creava disagio. Ma mai mi era balzato in mente l’altro ricordo che lo affiancava filologicamente parlando. Quanto alla etimologia di to baste l’Oxford sentenzia: etimologia sconosciuta. Ecco, potrei dedicarmi alla ricerca dell’etimologia di to baste e trovare un vero scopo nella vita. Ma che dire del ritornello della strega faustiana? “Die hohe Kraft der Wissenschaft der ganzen Welt verborgen, und wer nicht denkt, dem wird sie geschenkt, er hat sie ohne Sorgen”[1]. Fregatura.
[1] “L’alta forza della scienza nascosta a tutto il mondo, e chi non pensa, a lui essa è regalata, la ottiene senza fatica”.